QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

L'Avvenimento della nostra Amicizia

Brano di Nicolino Pompei tratto dall’approfondimento “Quello che abbiamo di più caro è Cristo stesso”

Quello che abbiamo di più caro è Cristo stesso, Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui. Tutto ciò che viene da Lui: ecco la Chiesa, ecco la nostra Compagnia, ecco la nostra amicizia. Perché è necessario richiamare adesso la consapevolezza del dono della nostra Compagnia? Perché sia riconosciuta come dono che viene da Lui. Perché sia riconosciuta come la compagnia attraverso cui la Sua presenza ha stabilito di rendersi presente come avvenimento in noi, e come continua e reale provocazione alla nostra vita. Per questo è necessario richiamarla a ciascuno come compagnia umana, comunione di vita e modalità pedagogica stabilita e decisa dalla presenza di Cristo per la contemporaneità e l'incidenza della Sua presenza nella nostra vita. Anche su questo aspetto occorre prendere coscienza di una gravissima abitudine con cui accettiamo queste definizioni e di un gravissimo automatismo con cui le ripetiamo. Perché di mezzo, anche qui, c'è una questione imprescindibile. Imprescindibile, perché se viene meno l’esperienza della nostra appartenenza alla Compagnia per Colui che la stabilisce, e la stabilisce per l'incidenza della Sua presenza nella vita di ciascuno come Signore e Redentore, la Compagnia stessa prima o dopo diventa pari al niente. Risulterà una realtà aggregativa e un fenomeno religioso per il mondo, e per noi un passatempo e un rifugio spirituale - anche molto “caro” – dentro cui evitare o ammortizzare il dramma della vita. Ora, capite bene, che non è un modo nuovo e più puntuale di definirla o di affermarla che cambia la nostra appartenenza. Quando sento qualcuno di voi parlare della Compagnia, è come se si parlasse di un qualcosa che è fuori di noi, di una costruzione già fatta, precostituita, che deve essere abitata dalla nostra presenza e dalla nostra partecipazione. Ma se non nasce e non si afferma nella vita di ciascuno, non rinasce continuamente dall'esperienza di ciascuno, non si attesta viva e presente nella libertà e nel giudizio di ciascuno, nella crescita e nella responsabilità umana di ciascuno, la Compagnia è solo una realtà astratta. Dove si può continuare a parlare di Cristo, ma come si parla di un dato astratto, e dove la vita langue, risulta imprigionata da altrettanta astrattezza e sempre più estranea alla vita stessa e alla realtà. Non risulta quell'incontro vivo, quel luogo vivo, quella sorprendente esperienza umana e di amicizia in cui l’avvenimento della presenza di Cristo si mostra in tutta la sua possibilità concreta, reale, ragionevole e affascinante. E che ci investe in tutta la sua capacità di richiamo, di provocazione, di correzione e di sostegno. La vita della Chiesa ha nella sua origine proprio la parola amicizia, con la quale Gesù investe coloro che chiama ad essere la Sua reale presenza e permanenza nella storia. È proprio 'avvenimento della nostra amicizia che ora, ancora una volta, deve interpellare profondamente l'io di ciascuno, la responsabilità e il desiderio di ciascuno. La nostra amicizia non è né l’espressione di un sentimento spontaneo, né di un progetto di rapporti che qualcuno ha pensato. Nasce da un avvenimento assolutamente gratuito e impensato. È l'esperienza di un sorprendente legame originato dalla Grazia dell’incontro con Cristo e ritrovato da e per questa affezione a Cristo. L'esperienza di una novità di rapporti segnati dalla presenza di Cristo e dalla tensione a lasciar investire, afferrare e attaccare la vita a Lui. Ed è per questo che è chiamata a manifestarsi in ciascuno di noi come quotidiana modalità pedagogica di richiamo a Cristo come avvenimento. Come esperienza di un reciproco e permanente sostegno ad una tensione e ad un lavoro che metta sempre in gioco il nostro umano dalla parte del suo assoluto bisogno, nel giudizio della nostra esperienza quotidiana e nella verifica di ciò che abbiamo di più caro. Il dinamismo di questa amicizia, allora, non può che innanzitutto ritrovarsi nell'esperienza di un’umile, libera e ragionevole sequela e ubbidienza. In cui solo è possibile sperimentarla come il modo attraverso cui la presenza di Cristo risulta una reale provocazione quotidiana e un avvenimento di contemporaneità alla vita di ciascuno. In cui solo è possibile essere risvegliati dalla nostra estraneità, strappati da qualsiasi tentativo di interpretazione e di riduzione di noi stessi e della realtà; da qualsiasi tentativo di sottomissione della vita a criteri e misurazioni proprie o assunte dalla deleteria mentalità del mondo, dentro cui rischiamo ogni giorno di sottomettere o arrestare noi stessi. È più che mai necessario rimettersi in gioco e rinnovare la propria responsabilità anche verso l'avvenimento della nostra amicizia. Una responsabilità che non accetti più di farla ritrovare così facilmente nella morsa di un’abitudine o di un automatismo. Un'abitudine e un automatismo dai quali può emergere solo un'appartenenza sempre più formale, vuota e superficiale, sentimentale e intimista, immobile, oziosa e borghese. Che come contraltare può avere anche momenti di feroci reazioni, recriminazioni e pretese che rischiano di prendere il sopravvento su quella tensione di novità, di affezione e di amicizia reale in Cristo - che invece ciascuno di noi è chiamato reciprocamente a favorire, a sostenere e a testimoniare a partire dalla propria responsabilità. Una responsabilità in cui emerga un continuo coinvolgimento di noi stessi verso quella tensione di riconoscimento e di affezione all'altro come segno della medesima chiamata con cui Cristo ci ha voluto e messo insieme. Nell'esperienza di una sequela umile, in cui solo e sempre il nostro io può riconoscere la verità di sé, e imparare a lasciarsi segnare e afferrare dalla verità che Cristo è. In cui solo è possibile l'incremento dell'umano e l'emergere di una vera personalità. In cui solo la vita può guadagnare e crescere in libertà, intelligenza, amore, gioia e bellezza. Nella certezza di essere incessantemente investiti dalla Grazia, che non manca mai di mostrarsi proprio nel dono della nostra Compagnia. Proprio nell'esperienza semplice di amici da seguire e da imitare nella loro affezione a Cristo come avvenimento decisivo della vitae come provocazione quotidiana. Di amici da cui imparare l'atteggiamento più adeguato di affronto della realtà e quella tensione a riconoscerla e a viverla come ambito di rapporto con la presenza di Cristo e per l'incidenza della Sua presenza in noi. Nell’esperienza di amici da cui lasciarsi fraternamente correggere, da cui lasciarsi accompagnare a non dimenticare il nostro vero bisogno e al giudizio leale, puntuale e continuo su noi stessi; che ci salvaguarda da quel deleterio tentativo di interpretazione o riduzione soggettivistica della vita e della fede, e dal soccombere sotto la pressione della mentalità del mondo. Solo in quest'esperienza di amicizia vissuta, favorita e rinnovata, può emergere in noi l’esperienza e la crescente certezza di essere incessantemente abbracciati dalla Grazia. San Tommaso, a questo proposito, afferma: “Gratia facit fidem”, è la Grazia che fala fede. È Lui che si fa incontrare, è Lui che ci attrae e ci afferra. È Lui che stabilisce la Santa Chiesa, e la nostra Compagnia in essa, come possibilità di questa attrattiva e presa sulla nostra vita. Come provocazione quotidiana alla vita in Lui e per Lui. È sempre sua l'iniziativa originale e costitutiva. Pensate che disastro sarebbe se fosse nostra, se dipendesse da noi! Ci ritroveremmo definitivamente sconfitti da tutto quello che interpretiamo, riduciamo, manipoliamo, obiettiamo. E nell'impossibilità di rialzarci e ricominciare. Solo perché è Sua l'iniziativa è sempre possibile rialzarsi e ricominciare. San Tommaso, infatti, continua dicendo che questa Grazia non è solamente all'inizio. Che la Grazia fa la fede non solo quando la fede ha inizio, ma in ogni istante in cui dura, “quamdie fides durat”. Per questo è Gesù colui che oggi sto qui a festeggiare con voi. Non stiamo a festeggiare noi stessi, ma a festeggiare Cristo e la Sua inarrestabile iniziativa in noi. A glorificare la Sua infinita Misericordia nel dono e nella vita della nostra Compagnia. Sempre più forte e vincente su tutto quel tentativo di riduzione e di obiezione - se non addirittura di distruzione - con cui possiamo aver attentato e offeso questo dono: il dono di questa Compagnia e dell'esperienza della nostra amicizia come sacramento della Sua presenza. La certezza di questa Grazia e della Sua inarrestabile iniziativa di Misericordia ci riempie di una pace assoluta. Che non può però mai mancare del nostro coinvolgimento e del nostro lavoro, che sempre attende ciascuno di noi. La Grazia non manca e non mancherà mai: e questo è decisivo. Ma è altrettanto certo che non può e non potrà mai fare a meno di me per l'incidenza e la Sua presa di possesso sulla mia vita.

Nicolino Pompei

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