QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

Una simpatia, un amore per il nostro umano

Brano di Nicolino Pompei tratto dall’approfondimento “Questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede cioè l’impareggiabile esperienza di un’avvincente attrattiva”

Il vero e primo ostacolo al riconoscimento di Cristo, all’esperienza reale della sua presenza come attrattiva avvincente, come esperienza impareggiabile e vincente, è proprio il non prendere sul serio la nostra umanità; è la trascuratezza, l’inconsapevolezza, la dimenticanza o la censura della nostra umanità per quella che è, così come è: sentirla o considerarla una specie di maledizione, qualcosa da evitare, da cui distrarsi, un fastidio insopportabile da risolvere a tutti i costi. Perché non la capiamo, non abbiamo la coscienza della sua vera natura, perché è fuori dalla nostra misura e non la possiamo controllare o possedere e quindi i “fattori” e le espressioni con cui la vediamo emergere e manifestarsi ci fanno paura, non trovando in noi la capacità di poterli capire ed abbracciare, non trovando in noi stessi una risposta adeguata a ciò che richiamano.

E invece, che grazia esserci ritrovati dentro una compagnia, un cammino dove siamo stati e siamo sempre educati a considerare tutto il nostro umano, a prendere sul serio ogni momento del nostro umano, a non trascurare nulla, a non censurare nulla di questo nostro umano, a non trascurare o censurare nessuno dei nostri bisogni e desideri; a non evitare, nascondere, dimenticare o censurare nessun momento di noi stessi - anche il più misero - senza mai scandalizzarsi o averne paura… perché sono proprio quelli, è proprio lì, dentro qualsiasi momento o condizione del nostro umano, che non solo possiamo incontrare e verificare la vera e irriducibile natura del nostro io ma, contemporaneamente, ritrovarci ad intercettare la presenza di Cristo, aprirci alla considerazione della presenza di Cristo, al cammino di riconoscimento della sua presenza viva e sperimentarla come una irresistibile ed avvincente attrattiva e compagnia presente. Per questo, nel nostro cammino siamo continuamente richiamati ad essere seri, attenti e leali con noi stessi, con quello che ci accade, con quello che proviamo e sentiamo emergere nella nostra umanità: perché possiamo sempre più sentire la realtà del nostro più profondo bisogno; perché possiamo sempre di più incontrare e comprendere la profondità e la portata infinita e irriducibile del desiderio del nostro cuore.

Senza questa continua coscienza di noi stessi non possiamo trovarci nell’incessante e anelante domanda e attesa di Gesù, nell’assoluta e imprescindibile esigenza del cammino di una continua familiarità con la sua presenza. Senza la coscienza rinnovata, appassionata, viva e vibrante della nostra umanità, senza che sia sempre in gioco tutta la nostra umanità, non solo non potremo arrivare a riconoscere Cristo, a rispondere positivamente - con certezza e convinzione ragionevole - alla domanda e alla sfida che ci ha posto Dostoevskij (“Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, credere proprio, alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?”), ma le parole che abbiamo messo a tema di questo Convegno (“Questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede cioè l’impareggiabile esperienza di un’avvincente attrattiva”) risulteranno parole vuote, parole scritte su un pannello; lo stesso Gesù risulterà solo un puro nome, un nome vuoto di un’esperienza umana e reale. Senza una continua, attenta, appassionata considerazione della nostra umanità - dentro qualsiasi condizione possa ritrovarsi ad emergere - noi non arriveremo a riconoscere, a sperimentare, a verificare la presenza di Cristo come la sua vera corrispondenza, come la sua massima esplicitazione, esaltazione e compimento. E questa coscienza, questa considerazione attenta e appassionata della nostra umanità e di quello che ci accade, non può essere un preambolo astratto o una premessa che va poi lasciata per “altro”, ma è tutto quello che in noi deve essere e rimanere sempre vivo e in gioco proprio per la continua esperienza e verifica della presenza di Cristo e di “ciò” che Cristo promette alla nostra vita.

Tante volte, invece, ci troviamo a parlare del nostro umano o in modo astratto - con parole astratte, assuefatte e supposte - o solo per condividere lamentosamente il nostro malessere, la nostra insoddisfazione, solo per elencare analiticamente una serie di fattori che non vanno o che feriscono la nostra umanità. Ci ritroviamo a parlare delle emergenze e dei sintomi del nostro umano come se fossero una tappa da superare, da non sentire più. Quasi a voler dire che una volta incontrato Cristo la nostra umanità dovrebbe essere risolta, superata, non essere più così sentita e messa in gioco. Ma è proprio per questa nostra umanità - tutta e sempre mancante e bisognosa, sempre irriducibile nel suo desiderio - che Dio si è fatto carne, che Gesù è venuto ad abitare in mezzo a noi, che si è fatto onnipresente Compagnia di Uomo alla nostra umanità. E quindi questo nostro umano - che sentiamo e dobbiamo sempre sentire vibrare in qualsiasi momento del nostro vivere quotidiano - è proprio necessario per il continuo e contemporaneo rapporto con Cristo; è proprio necessario perché Cristo non sia un nome vuoto, una presenza sempre nominata ma sconosciuta come esperienza nel e del nostro umano. Solo lasciandolo emergere e vibrare - in qualsiasi modo si trovi ad emergere o a farsi sentire - possiamo ritrovarci aperti, spalancati alla presenza di Cristo, a cercare incessantemente la sua presenza viva, possiamo riconoscere e verificare la sua presenza come l’unica capace di abbracciare, spiegare, soddisfare e compiere fino in fondo e pienamente tutto il nostro umano. Solo nell’esperienza reale e continua dello sguardo di Cristo sulla nostra umanità bisognosa di tutto e irriducibile nel desiderio del suo cuore, possiamo riconoscere e verificare la verità della sua presenza e della sua inaudita promessa.

Se Cristo è tutta la risposta alla nostra umanità, perché non sia un’espressione astratta e vuota, occorre che il nostro umano sia sempre tutto presente, vibrante e sempre in gioco dentro l’esperienza di una continua familiarità con la sua presenza, dentro l’esperienza di una continua e avvincente attrattiva. È solo dentro quest’esperienza che possiamo godere, verificare nel tempo, affermare ragionevolmente - cioè con un pieno di ragioni sempre più evidenti - e in maniera credibile, l’impareggiabilità dell’esperienza della vita e dell’umano segnati dalla sua avvincente attrattiva. E sono proprio il nostro umano e la nostra vita che lo mostrano, che sono chiamati a mostrarlo evidentemente. Innanzitutto a noi stessi.

Rifacciamo ancora una volta i passaggi: se Cristo è tutta la risposta alla mia umanità e questa mia umanità è data e fatta per riconoscere Cristo, non solo occorre che questa umanità sia sempre presente, sia sempre nella mia consapevolezza e sempre in gioco, ma occorre anche amarla; occorre ritrovarla e sentirla dentro un amore, una simpatia, un’attenzione appassionata, anche nei momenti che sembrano più contraddirla, anche nei momenti che ci appaiono più contrari o di ostacolo al suo dinamismo, anche nei momenti più miseri e incoerenti che ci fanno ritrovare piegati, abbattuti o scandalizzati.

Come poter sentire in noi stessi questa simpatia, questa passione, questo amore per la nostra umanità dentro qualsiasi condizione possa emergere? È possibile solo quando prendiamo coscienza che ogni momento della nostra umanità - anche il più contraddittorio, fastidioso, pesante, anche quello che più vorremmo non avere, non sentire, strapparci di dosso - richiama paradossalmente la nostra vera natura, la natura irriducibile e ineludibile del nostro cuore. Questa coscienza di noi stessi - questo totale svelamento di noi stessi, fin dentro i fattori che sentiamo più nemici di noi stessi - può sorgere e incrementarsi solo nell’incontro e nel rapporto con la presenza di Colui che ha tessuto la nostra umanità, di cui e per cui è fatto tutto il nostro umano; può venire solo dalla presenza di Cristo che viene e accade tra noi proprio per svelare fino in fondo, compiere e salvare tutta la nostra umanità. Solo la sua presenza, solo il suo sguardo è in grado di abbracciare tutto il nostro umano nella sua vera natura, svelarlo e soddisfarlo fino in fondo in tutta la sua esigenza, in tutto il suo bisogno più profondo. Solo la presenza di Gesù può chiarire, svelare tutta la nostra insoddisfazione, tutta la nostra tristezza, tutto il nostro malessere come sintomi dell’assoluta mancanza della sua presenza, come desiderio della sua presenza di cui è fatta tutta la nostra umanità, di cui è fatto il nostro cuore: “Ci hai fatti per te e il nostro cuore non ha pace, non trova soddisfazione, finché non riposa in te”.

Nicolino Pompei

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