[Subito dopo l’incontro con Gesù] ritroviamo Andrea nell'entusiastica e irrefrenabile ricerca di suo fratello Simone, di Simon Pietro. Con molta probabilità si incontrarono in riva al mare, mentre Pietro - che era pescatore - è intento a riassettare le reti dopo una pesca che quasi sempre risultava infruttuosa. È facile immaginare l'umore e la faccia di Pietro. Ci pare di sentire e vedere il contrasto tra l'entusiasmo della voce e la luminosità della faccia di Andrea che gli corre incontro e la faccia di Pietro, segnata da una costante delusione e fatica. ‹‹Pietro, Pietro!›› E lui che avrà risposto: ‹‹Cosa c'è, cosa c'hai da gridare? Cos'è questo entusiasmo?››. ‹‹Pietro ascoltami, abbiamo trovato il Messia››.
Non ci sono grandi parole. Non c'è una riunione o un raduno spirituale e teologico. C'è solo e semplicemente l'entusiasmo del cuore segnato dall'iniziale certezza - che comincia a crescere in quegli uomini - di aver trovato una presenza che non ha pari e per cui il cuore sente una sconvolgente familiarità, corrispondenza e attrattiva. Per questo, senza ancora comprenderlo, Andrea indica Gesù come il Messia. Pietro, pur dentro una comprensibile e iniziale diffidenza, innanzitutto non può non considerare che è suo fratello che gli parla, e poi non può non riconoscere l'inspiegabile ma evidente certezza con cui Andrea dice quelle parole e la sua faccia che non aveva mai visto così raggiante e luminosa. C'è semplicemente da seguire quell'invito a incontrare Gesù che Andrea gli rivolge, perché possa verificare lui stesso. ‹‹Che tu possa incontrarlo almeno una volta›› gli avrà detto Andrea.
È proprio semplice la proposta cristiana, il suo metodo di conoscenza e di verifica: ‹‹Vieni e vedi››, vieni a vedere. È una provocazione semplice ed elementare che chiama in gioco tutto l'umano, che invita ad una verifica, che chiede semplicemente di essere verificata dentro a un continuo cammino, senza censurare nulla. È proprio il metodo di Dio per la salvezza di ogni uomo, che mendica semplicemente tutto il nostro umano e l'apertura del nostro cuore secondo la sua originale costituzione. E non una volta, ma in una continua tensione e sequela, in cui solo è possibile conoscere e raggiungere la certezza della sua presenza che si coinvolge nella storia facendosi Uomo, facendosi quell'Uomo, facendosi Gesù, per il compimento e la salvezza di ciascuno di noi.
Pietro segue suo fratello, ritrovando nell'incontro con Gesù la medesima esperienza di seduzione e di attrattiva. E quell'uomo di nome Gesù comincia da lì in avanti a riempire tutto il suo cuore e la sua vita, fino a non staccarsene più. La presenza di Gesù diventa per questi uomini una presenza evidentemente irrinunciabile e totalizzante. All'inizio, magari verso sera, tornano pure nelle loro case, per ritrovare i loro cari e le loro famiglie ma, in maniera sorprendente, si ritrovano uno sguardo, una commozione per quei volti prossimi che si giustifica solo per l'eccezionale imponenza di quella presenza che hanno incontrato e che si mantiene viva davanti ai loro occhi, anche quando tornano a casa. A un certo punto, la presenza di Gesù è per loro così irrinunciabile e totalizzante da diventare avvenimento e compagnia permanente. Comunque è un fatto che, nelle ore e nei giorni successivi, c'è l'ulteriore coinvolgimento di altri uomini attraverso altrettanti incontri con Gesù. Uno di questi è proprio con Filippo. Il Vangelo di Giovanni ci riferisce con essenzialità che ‹‹il giorno dopo, Gesù decise di partire per la Galilea. Lì trova Filippo e gli dice: ‹‹Seguimi!››.
Ci viene riferito che Filippo è della stessa città di Andrea e Pietro, Betsaida. Il suo nome è di origine greca come quello di Andrea, nonostante Filippo fosse di origine ebraica. È anche lui tra i primi chiamati e tra i primi a rispondere a Gesù. E anche in lui emerge evidente il documento di questa travolgente esperienza, tanto da fargli immediatamente sentire l'esigenza di incontrare un suo amico, Natanaele, al quale mostra tutto il suo ardore per avere trovato colui ‹‹del quale scrissero Mosè nella legge e i profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe di Nazareth››.
È per me sempre struggente è impressionante risentire il dinamismo di questi incontri e di questi dialoghi, tutti segnati dalla entusiastica certezza di aver riconosciuto una presenza così eccezionale, che sentono così eccezionale, così impareggiabile che - pur non comprendendolo ancora, come sappiamo - non possono che affermare come il Messia.
Benedetto XVI, parlando a Manoppello, ha detto di quei primi uomini: ‹‹Fecero un'esperienza indimenticabile, che li portò a dire: “Abbiamo trovato il Messia”. Colui che poche ore prima consideravano un semplice ‘rabbì’, aveva acquistato una identità ben precisa, quella del Cristo atteso da secoli. Ma, in realtà, quanta strada avevano ancora davanti a loro quei discepoli! Non potevano nemmeno immaginare quanto il mistero di Gesù di Nazareth potesse essere profondo; quanto il suo volto potesse rivelarsi insondabile, imperscrutabile›› (Benedetto XVI, Discorso al Santuario di Manoppello, 1 settembre 2006).
Sappiamo quanto sarà lungo il percorso che dovranno affrontare in questo cammino di conoscenza e di riconoscimento del Signore. Comunque, rimanendo ancora agli inizi, c'è un fatto indiscutibile: quegli uomini non riescono a parlare d'altro. Non riescono più a stare lontano da Lui. E non riescono a tacitare la sua presenza. Anche qui, come facciamo a non sentire la contemporaneità con questa esperienza nella memoria di cosa è accaduto a noi nell'impatto e nell'incontro con la compagnia? Ci fu un imponente e irrefrenabile passaparola che coinvolse la vita di una piazza intera nella nostra città. A chiunque si faceva la proposta di questo incontro, pari a quella che ascoltiamo nel Vangelo da parte dei primi uomini incontrati da Gesù. Quell'esperienza di inaudita eccezionalità sentita dal cuore di quegli uomini, 2000 anni dopo la ritroviamo testimoniata proprio dalle parole che usavamo per invitare a questo incontro e proporre la compagnia. E oggi, adesso, cosa rintracciamo e ritroviamo in noi di questa esperienza?
Torniamo all'incontro di Filippo con Natanaele, il quale, alle sue parole, risponde con un forte pregiudizio: “Può forse venire qualcosa di buono da Nazareth?››. (Anche alcuni di noi hanno avuto una simile reazione, facendo emergere tutto il pregiudizio, manifesto nascosto, verso il cristianesimo e soprattutto l'assoluta distanza dalla vita della Chiesa: può mai venire qualcosa di interessante, di umano e che c'entri con la felicità dalla vita della Chiesa?).
Filippo però non si arrende. Ma non ingaggia con lui una discussione, perché non è una questione ideologica quella che c'è di mezzo. Anche a lui si tratta semplicemente di riproporre quello che Gesù stesso ha proposto come metodo di conoscenza e di verifica: ‹‹Vieni e vedi››. Ancora una volta la semplice dinamica della realtà di questi due verbi, come invito alla ragione ad essere ragione e alla libertà ad essere libertà, fino in fondo e secondo la loro natura.
Benedetto XVI, approfondendo la figura di Filippo, ha affermato: ‹‹”Vieni e vedi!”. In questa risposta, asciutta ma chiara, Filippo manifesta le caratteristiche del vero testimone: non si accontenta di proporre l'annuncio, come una teoria, ma interpella direttamente l'interlocutore suggerendogli di fare lui stesso l'esperienza personale di quanto annunciato… possiamo pensare che Filippo si rivolga pure a noi con quei due verbi che suppongono un personale coinvolgimento. Anche a noi dice quanto disse a Natanaele: “Vieni e vedi”. L'Apostolo ci impegna a conoscere Gesù da vicino. In effetti, l'amicizia, il vero conoscere l'altro, ha bisogno della vicinanza, anzi in parte vive di essa. Del resto, non bisogna dimenticare che Gesù scelse i Dodici con lo scopo primario che “stessero con Lui”, cioè condividessero la sua vita e imparassero direttamente da Lui non solo lo stile del suo comportamento, ma soprattutto chi davvero Lui fosse. Solo così infatti, partecipando alla sua vita, essi potevano conoscerlo e poi annunciarlo… Come potremmo conoscerlo a fondo restando lontani? L'intimità, la familiarità, la consuetudine ci fanno scoprire la vera identità di Gesù Cristo. Ecco: è proprio questo che ci ricorda l'apostolo Filippo. E così ci invita a “venire” a “vedere”, cioè ad entrare in un contatto di ascolto, di risposta e di comunione di vita con Gesù giorno per giorno›› (Benedetto XVI, Udienza generale, 6 settembre 2006).
È l'invito più essenziale e più decisivo che deve trovare ciascuno di noi, non solo adesso ma sempre, in una reale apertura e in una continua tensione; che non può mai mancare del continuo coinvolgimento della nostra libertà e della nostra ragione; e che chiede necessariamente anche una continua “conversione” della nostra adesione alla compagnia, al cammino della compagnia, per questa contemporaneità con Gesù, per l'esigenza di ‹‹entrare in contatto di ascolto, di risposta e di comunione di vita con Gesù giorno per giorno››. Questo è il richiamo, il sostegno più necessario che deve regnare nella nostra amicizia, perché sia vera amicizia, perché sia l'amicizia secondo l'esigenza del cuore, l'amicizia secondo Cristo, l'amicizia secondo la chiamata di Cristo.
Nicolino Pompei