“Strada facendo, mentre stava avvicinandosi a Damasco, d’improvviso una luce dal cielo gli sfolgorò dintorno: caduto a terra, udì una voce che gli diceva: Saulo, Saulo perché mi perseguiti? Egli rispose: chi sei, o Signore? E quegli: io sono Gesù che tu perseguiti; ma alzati in piedi entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare... Saulo si alzò da terra e aperti gli occhi non poteva vedere nulla. Allora, prendendolo per mano, lo condussero a Damasco. Vi stette tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda...” (At 9, 3-9). Questo è il Fatto. Come è un fatto che da lì in poi Saulo diviene Paolo, cioè un uomo nuovo. Da persecutore accanito diventa l’Apostolo delle Genti, per qualcuno addirittura il Primo dopo l’Unico. Da quel momento tutto quello che nella sua vita era risultato appassionatamente e accanitamente un valore assoluto e incontestabile, ora è giudicato perdita e spazzatura. Ponendo tutto se stesso mobilitando tutto se stesso al servizio e nell’amore - fino all’immedesimazione - di quella Presenza che lo ha investito e afferrato e in cui trova tutta la sua nuova definizione di sé. Quello che accade a san Paolo è normalmente riferito come conversione. Ma occorre che, ancora una volta, ci intendiamo bene su questa parola e usiamo di questa circostanza per poter rinnovare in noi la dinamica e la realtà dell’esperienza della conversione. Un’esperienza che è nel cuore dell’annuncio e della missione della Chiesa ed è così decisiva, come richiamo e come continua e positiva tensione, nella vita di ogni uomo. Anche in questo ci viene in aiuto il Santo Padre Benedetto XVI.
Ritorniamo alle sue parole pronunciate nell’Udienza Generale del 3 settembre 2008, che abbiamo già citato e che desidero completare: “... Il Cristo risorto appare come una luce splendida e parla a Saulo, trasforma il suo pensiero e la sua stessa vita... San Paolo quindi è stato trasformato non da un pensiero ma da un evento, dalla presenza irresistibile del Risorto, della quale mai potrà in seguito dubitare tanto era stata forte l’evidenza dell’evento di questo incontro. Esso cambiò fondamentalmente la vita di Paolo; in questo senso si può e si deve parlare di una conversione... Questa svolta della sua vita, questa trasformazione di tutto il suo essere non fu frutto di un processo psicologico, di una maturazione o evoluzione intellettuale e morale, ma venne dall’esterno: non fu il frutto del suo pensiero ma dell’incontro con Cristo Gesù. In questo senso non fu semplicemente una conversione, una maturazione del suo io, ma fu morte e resurrezione per lui stesso: morì una sua esistenza e un’altra nuova ne nacque con il Cristo risorto... Tutte le analisi psicologiche non possono chiarire e risolvere il problema. Solo l’avvenimento, l’incontro forte con Cristo, è la chiave per capire che cosa era successo: morte e resurrezione, rinnovamento da parte di Colui che si era mostrato e aveva parlato con lui. In questo senso più profondo possiamo e dobbiamo parlare di conversione. Questo incontro è un reale rinnovamento che ha cambiato tutti i suoi parametri... ciò che prima era per lui essenziale e fondamentale è diventato spazzatura, non è più guadagno, ma perdita, perché ormai conta solo la vita in Cristo... Cosa vuol dire questo per noi? Vuol dire che anche per noi il cristianesimo non è una nuova filosofia o una nuova morale. Cristiani siamo soltanto se incontriamo Cristo... solo in questa relazione personale con Cristo, solo in quest’incontro con il Risorto diventiamo realmente cristiani. E così si apre la nostra ragione, si apre a tutta la saggezza di Cristo e a tutta la ricchezza della verità”.
Insomma, come ha affermato anche il grande teologo Hans Urs Von Balthasar, “non si può comprendere Paolo se non ci si lascia persuadere da lui che a Damasco ha contemplato la bellezza suprema, così come la contemplarono i profeti nelle visioni della loro vocazione, per riuscire quindi a vendere tutto in cambio dell’unica perla”. Quello che accade a Paolo sulla via di Damasco è proprio il sorprendente incontro con la Bellezza suprema, con Gesù risorto, che spalanca la ragione di Paolo alla Sua piena rivelazione, alla nuova e vera conoscenza di Cristo. Mandando per aria tutto quello che aveva sempre pensato di Lui e provocandogli quell’attrazione di tutto se stesso all’immedesimazione assoluta e piena di struggente amore con quella Presenza che lo ha chiamato per nome. Quanto è accaduto a san Paolo non è lo sviluppo logico di una riflessione e nemmeno di un’ascesi morale, ma il frutto di un imprevisto, di una imprevedibile e gratuita iniziativa della Grazia divina. La conversione di Paolo non è né morale né religiosa. Perché evidentemente emerge come un uomo moralmente ineccepibile, altamente devoto a Dio e alla Legge: la sua formazione farisea, il suo zelo per la tradizione dei padri, la sua assoluta passione per la Legge di Dio, costituivano il suo bene più prezioso, insieme a tutto l’insegnamento che aveva ricevuto dal più famoso e rispettato maestro del tempo, chiamato Gamaliele. Ed è questo che giustifica il suo accanimento come persecutore di coloro che lui considerava immorali, blasfemi, eretici. Nella sua furia persecutoria è certo di essere nella volontà di Dio, nella coerenza della Legge e a difesa dell’unica Legge, come una testimonianza per il suo popolo. La sua furia persecutoria non era sentita come una violenza, ma come una lotta di liberazione per il popolo d’Israele da un’eresia, da una menzogna. Che aveva il suo capo in Gesù di Nazareth e la sua propagazione nella Chiesa. Quindi la sua conversione non è il passaggio da un uomo immorale ad un uomo morale, da un uomo empio ad uno devoto, da un uomo agnostico o ateo ad uno religioso e credente in Dio. A questo proposito desidero proporvi ancora un altro stupendo momento dell’insegnamento di Papa Benedetto XVI, che abbiamo ricevuto durante la preghiera dell’Angelus il 25 gennaio 2009, festa della conversione di san Paolo. Ha detto il Santo Padre: “... Egli era già credente, anzi ebreo fervente, e perciò non passò dalla non fede alla fede, dagli idoli a Dio... In questo consiste la sua e la nostra conversione: nel credere in Gesù morto e risorto e nell’aprirsi all’illuminazione della Sua Grazia divina. In quel momento - cioè nell’incontro sconvolgente con Gesù che gli dice: «Io sono Gesù che tu perseguiti» - Saulo comprese che la sua salvezza non dipendeva dalle opere buone compiute secondo la Legge, ma dal fatto che Gesù era morto anche per lui - il persecutore - ed era, ed è, risorto. Questa verità ribalta completamente il nostro modo di vivere. Convertirsi significa, anche per ciascuno di noi, credere che Gesù ‘ha dato se stesso per me’, morendo sulla croce e, risorto, vive con me e in me”.
Tutto questo insegnamento del Santo Padre è uno splendido aiuto a risentire la verità sulla natura del cristianesimo e sul valore e la necessità dell’esperienza della vera conversione. Quella di san Paolo è certamente un parametro e un aiuto a riconoscere in cosa consiste l’esperienza della conversione. La sua è evidentemente una conversione a Cristo, determinata dall’incontro reale e sconvolgente con Cristo risorto. Uno sconvolgente incontro in cui la sua vita viene spalancata all’avvenimento di una conoscenza nuova proprio di Gesù Cristo, che gli rivela tutta la verità di ciò che fino ad allora aveva ritenuto eresia e menzogna da combattere e perseguire. Facendolo emergere in un cambiamento radicale e integrale in tutto il suo modo di guardare, pensare, giudicare e vivere. Come ci ha detto il Santo Padre, la conversione di Paolo sta nel passaggio dal ritenere che la salvezza - il senso, la pienezza, il guadagno, la felicità… - dipende dalle sue opere buone, compiute secondo la Legge di Dio, al riconoscere che questa dipende dal fatto che “Gesù era morto anche per lui” (ha amato me e ha dato se stesso per me…) “ed era, ed è, risorto” - è stupefacente e di conforto questa sottolineatura, che pone il Papa, del verbo al presente dell’avvenimento della Risurrezione! La conversione di san Paolo non è il passaggio da un non credente in Dio ad un credente, ma da un credente in Dio, com’era Paolo, ad un uomo che riconosce - grazie alla luce divina del Risorto che lo ha investito - la presenza di Dio e di tutto il suo inaudito Amore nella presenza di Gesù morto e risorto per noi, sempre vivo tra noi. È proprio uno stravolgimento che comporta uno stravolgimento di conoscenza, di giudizio e quindi di vita. Ce ne parla lui stesso nella seconda Lettera ai Corinzi: “Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne ora non lo conosciamo più così... Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova” (2 Cor 5, 16-17). Conoscere Cristo “secondo la carne” è uguale a dire “secondo la propria misura”, secondo una invalida e inadeguata capacità umana di conoscere, secondo un insufficiente, inadeguato e condizionato punto di vista umano, che è sempre segnato da pregiudizi e dalla mentitrice mentalità del mondo (in lui riferibile alla sua condizione di fariseo). Ora, conoscere Cristo è riconoscere Colui che si è fatto incontrare, che lo ha atterrato, lo ha colpito nel cuore, lo ha attratto tutto a Sé portandolo alla piena rivelazione di Sé. Quella Presenza che Paolo voleva abbattere proprio in coloro che erano intimamente connessi a Lui formando la Sua Chiesa, ora è la Presenza in cui consiste tutta la sua vita, per cui arde il suo cuore e in cui tende ad identificare tutto se stesso. Seguendo san Paolo siamo molto lontani dal cliché di una conversione intesa, anche da molti di noi, in senso moralistico o spiritualistico.
In tal senso è di aiuto ascoltare un tratto di una meditazione tenuta dal nostro amico don Giacomo Tantardini sulla conversione di san Paolo e san Agostino: “La conversione di Paolo (e qui permettetemi di riprendere le parole che sant’Agostino usa per indicare la propria conversione) è semplicemente il passaggio dalla sua dedizione a Dio al riconoscimento di quello che Dio ha compiuto e compie in Gesù. Agostino così descrive la propria conversione: «Quando ho letto l’apostolo Paolo [e subito dopo - perché non basta neppure leggere le Scritture - aggiunge:] e quando la tua mano ha curato la tristezza del mio cuore, allora ho compreso la differenza inter praesumptionem et confessionem / tra la dedizione e il riconoscimento». Praesumptio non indica inizialmente una cosa cattiva. Alla lunga decade in presunzione cattiva; ma inizialmente indica il tentativo dell’uomo di voler raggiungere l’ideale buono intuito. La conversione cristiana è il passaggio da questo tentativo dell’uomo di compiere il bene al semplice riconoscimento della presenza di Gesù. Dalla praesumptio, dedizione, alla confessio, al riconoscimento”. In san Paolo questo passaggio è proprio un’esperienza stravolgente - come non può che esserlo anche in noi. Ma stravolgente non nel senso morale, bensì nel senso di questo sconvolgente riconoscimento della presenza di Gesù tutto avviato dalla Grazia divina, che attirandoci a Lui ci spalanca alla conoscenza della verità e della salvezza di ogni uomo proprio nella Sua presenza. Un riconoscimento a cui san Paolo dà evidentemente il valore di conoscenza, di una conoscenza nuova. Di una conoscenza nuova come avvenimento, di una conoscenza nuova come esperienza dell’Avvenimento di Cristo risorto che lo ha travolto, lo ha chiamato, lo ha attratto e a cui consegna tutto se stesso. Lo ritroviamo documentato particolarmente nel brano che abbiamo scelto come tema del nostro Convegno: “Circonciso all’ottavo giorno, della stirpe d’Israele,della tribù di Beniamino, ebreo figlio di ebrei; quanto alla legge, fariseo, quanto a zelo, persecutore della Chiesa, quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge, irreprensibile. Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore; per Lui ho lasciato perdere tutte queste cose valutandole rifiuti, per guadagnare Cristo ed essere trovato in Lui” (Fil 3, 5-9).
Nicolino Pompei