QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

Il centuplo quaggiù…

Dall’approfondimento “Il centuplo adesso e in eredità la vita eterna"

Pietro allora gli disse: “Ecco noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito. Che cosa dunque avremo?”. Gesù gli rispose: “Non c’è nessuno che abbia lasciato case o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per me, a causa mia, per il regno di Dio, il quale non riceverà ora, nel tempo presente, molto di più, cento volte tanto in case, fratelli, sorelle, madri, padri, figli e campi, e in eredità la vita eterna”.

“Chiunque mi seguirà, avrà abbandonato per me, riceverà cento volte tanto e la vita eterna”. Per continuare ulteriormente a capire bene vi pongo queste domande. Come sarebbe razionalmente possibile che Dio ci crea, ci dà e ci fa con questi fattori umani, e poi ci chiede di azzerarli, di censurarli, di negarli? E Cristo, il Verbo fatto carne, dove sarebbe accolto e dove inciderebbe il rapporto con Lui? Cosa sarebbe venuto a salvare e redimere? Dio si fa Uomo in Gesù, in Lui assume tutta la nostra umanità, soffre nella carne tutta l’incidenza della carne battuta dal peccato, per venire poi a negare la carne e la nostra umanità? Non è razionalmente possibile! Lui viene per liberarci dalla schiavitù della legge della carne, dalla schiavitù in cui la nostra carne, i fattori dell’umano, sono costretti dalla menzogna del peccato, dalla strappo da Lui in cui li concepiamo; viene per salvarci dall’incidenza bestiale e devastante di una vita legiferata dalla nostra misura carnale. E quindi per ristabilire la libertà alla vita e renderci capaci di questa vita di carne e sangue. Lui viene a rivelarci il significato, la vera dinamica e la necessaria funzionalità al Destino di questa vita di carne e sangue. Quindi, il rapporto con Cristo non solo non elimina, ma è dentro la carne, i rapporti, le cose... è lì che è presente e agisce. È li che va amato, seguito, affermato. Attraverso questi si afferma come il significato, la verità e il destino. È la splendida formula di san Paolo: “Questa vita che vivo nella carne, io la vivo nella fede”. È l’estrema sintesi della vita vera e piena. Non è una eroica concessione che facciamo a Dio. È la vita che trova la sua radice vitale, la sua sorgente, la sua pace, la sua vera e inalterabile forza, la vera capacità di amore e possesso, la sua attuazione piena e vera; ed è l’inizio della vita eterna, che è già partecipata adesso, proprio nel segno del rapporto con padre, madre, moglie, figli, lavoro, fatica, dolore, malattia... quello che Gesù chiama il centuplo. Ma questa vita che vivo nella carne occorre che sia vissuta nella fede. E questo vuole necessariamente un sacrificio, il sacrificio sperimentabile di non fissare più “secondo me” ma di fissare “secondo Cristo” e per amore suo. Non è solo il richiamo che contesta la vita soggiogata dalla menzogna, ma è innanzitutto il richiamo positivo di come poter vivere tutto, pienamente, in maniera corrispondente al cuore. E Gesù ci dice che niente corrisponde se non Lui, se non vivendo tutto nella prospettiva e nell’adesione al Mistero, che si rivela in Lui. Ecco perché occorre per ciascuno, per tutti, abbandonare, lasciare. Ma cosa? La mia misura, la mia prospettiva, il mio disegno, il mio modo, il mio sentire, il mio approccio. Non contro o a svantaggio mio e del rapporto, della cosa, del sentimento, del godimento, della gioia... ma solo a vantaggio mio, di mio padre, di mia madre, di mio figlio, delle cose, della mia gioia, del godimento, della vita... L’abbandonare è la libertà che accetta e aderisce all’Essere che fa e sta nelle cose, al Disegno per cui ci sono, all’Ordine in cui sono stabilite. È la condizione esaltatrice della libertà, che ci è data per aderire a Dio, non per negarlo o strapparci da Lui. Questo genera sperimentalmente quello che Gesù chiama il centuplo come esperienza umana, non separato dall’esperienza umana; l’inizio della vita vera, non fuori ma dentro la vita, che sfocerà nella pienezza della vita eterna.

E il dolore, la sofferenza? Come c’entrano con l’affermazione del centuplo? Nella promessa di Gesù non c’è la semplificazione di nessun fattore della vicenda umana, e quindi della morsa di dolore, di sofferenza, di tragedia che la caratterizzano. Cristo viene a salvarci, viene a salvarci patendo e morendo, subendo l’atroce dolore, subendo l’ingiusta morte: la morte più lenta e più infame. La subisce per me e la vince per me, risorgendo per me. È risorto, come aveva promesso, per me. È la fine della fine, è la morte della morte come ultima parola sulla vita. È la fine dell’incidenza tragica della veduta corta e nichilista su di me e sul mondo come ultimo giudizio; è il prorompere della Vita come ultima parola, della sua ultima parola come Misericordia su ogni uomo; è l’inizio della vita vera, già nell’adesso. Il centuplo non è la promessa della semplificazione di questi drammatici morsi, ma è l’affermazione del senso e della forza di accettazione, di attraversamento, di affronto di questi. Si afferma il centuplo non nella loro semplificazione, ma proprio nel modo di accettarli, di attraversarli, di viverli alla presenza di Cristo morto e risorto; come partecipazione, immedesimazione al suo redentivo sacrificio; al gesto che libera l’uomo dall’incidenza mortale e definitiva del peccato, che lo apre all’esperienza certa della sua resurrezione e vittoria. E in cui s’accende la speranza dentro ogni istante, che sorregge la vita come tensione al suo definitivo destino. La sua promessa è la sua vittoria, già come esperienza adesso, su tutto ciò che ci sovrasta e ci annichilisce sempre. È la sua vittoria su tutto quello che ci vince, è la sua presenza redentiva e misericordiosa che ci strappa dall’incidenza paralizzante del nostro peccato, della nostra strutturale fragilità; e che ci rialza sempre, ci rigenera sempre, ci fa ricominciare sempre a camminare tesi al Destino - il centuplo; che ci dispiega un’onnipresente, inalterabile e inarrestabile ultima positività come esperienza dentro alla totalità del reale - il centuplo. Movente sicuro di un sguardo commosso su tutto e di una inevitabile compagnia di amore ad ogni uomo - il centuplo; che apre, sostiene e sorregge la vita alla vera speranza, nella certezza della vittoria di Cristo già nell’adesso - il centuplo - e nella tensione al suo destino, in cui questa sarà definitivamente vita eterna - e in eredità la vita eterna.

C’è un’ultima cosa su cui desidero richiamare seriamente la vostra attenzione. Se non c’è il centuplo, se non lo vediamo, se non lo verifichiamo… Se non è verificato il centuplo, c’è poco da discorrere: la vita non è in questa Presenza, non è in questa sequela di Cristo. Non è radicata nell’Avvenimento di Cristo. Le parole continuano a dirlo ma di fatto emerge in trasparenza che la radice della vita è attaccata alla tua misura e che l’esperienza umana è determinata dalla mentalità del mondo. “Eppure io desidero questo centuplo, quel centuplo con cui mi sono imbattuto incontrando l’umano di altri, tanto da sentire l’esigenza di seguirli”... Ma se non si ritrova in te adesso, come esperienza reale di ogni istante, è l’indice chiaro che ti sei fermato lì, a quel primo impatto affascinante. Che ti ha portato ragionevolmente a seguire quell’umano, ma senza che nel tempo approfondissi il senso e la ragione di quel primo impatto, il senso e la ragione di quell’iniziale sequela, il senso e la ragione di quella necessaria compagnia, il senso e la ragione di parole e fattori decisivi richiamati in essa; senza lasciare provocare tutto te stesso in questa adesione, fin dentro alla radice di te stesso. E la tua misura - che si è potuta inizialmente tacitare per l’entusiasmo di questa Novità - non ha potuto che continuare a legiferare su di te. E la mentalità del mondo a determinare il tuo modo di concepire.

Se non si vede il centuplo è perché, pur continuando ad essere partecipe di tutto quello che la Compagnia indica, insegna, afferma, la vita continua ad essere attaccata a ciò da cui dovrebbe staccarsi; e la centuplicazione che di fatto vuoi sentire è la centuplicazione di ciò che tu continui a stabilire come immagine tua, in cui rifluisce quella del mondo. Facendoti spesso ritrovare in una ostinata obiezione o in una costante fuga da chi nella Compagnia possa entrare come amico a sollecitare la tua attenzione e fraternamente a correggerti in questo. Anche perché ritrovare o non ritrovare il centuplo non è questione di coerenza o non coerenza, di più o meno errori, fragilità, cadute e tradimenti... Abbiamo più volte ripetuto che anche lì emerge l’esperienza del centuplo che Gesù afferma. Sì, anche lì: questo sguardo nuovo, questo attaccamento nuovo, questa coscienza nuova si attesta fin dentro la mia fragilità e i miei mille errori, nell’accoglienza umile della sua Misericordia, che è sempre più grande di tutti i miei mille errori e tradimenti e che non mi fa mai ultimamente soccombere ma sempre ricominciare. Il “ricominciare sempre” attesta proprio la vita in Cristo. E l’esperienza umana di un uomo che vive così, di un uomo perdonato, è uno spettacolo di bellezza, è il centuplo. Il dolore per il proprio peccato è uno spettacolo di amore, perché certifica l’Amore a cui tutto il nostro sguardo è rivolto, a cui tutto il nostro io è realmente teso. Quindi la faccenda di non sentire il centuplo è qualcosa di più radicato e di cui è urgente prendere consapevolezza.

Vi aiuto con un esempio che traggo dalla memoria. All’inizio della nostra storia una delle affermazioni attraverso cui ho più provocato la vita dei primi fra voi, è stata: “Solo in Cristo si gode veramente, e si gode tutto ”. Non ho esagerato, è semplicemente la verità. L’errore grave e di fondo è stato quello di prendere l’affermazione affascinante senza porsi dentro l’Avvenimento che la giustifica e la realizza come esperienza. È il non aver capito che questa affermazione vuole una assunzione della vita dalla parte di Cristo, un decentramento, un ribaltamento del centro su cui gira e un distacco dalla concezione delle categorie del mondo. Si è assunto lo slogan e non si è entrati dentro la realtà di quelle parole, dentro l’Avvenimento che determina la verità di quelle parole, lasciando che la realtà fosse ancora soggettivisticamente, istintivamente determinata. Ritrovandosi a chiedere la centuplicazione del godimento secondo una propria immagine e reattività, sostenute dalla mentalità del mondo. Che invece vanno lasciate a vantaggio di una misura totalmente altra, di una concezione totalmente altra. Altrimenti si vorrebbe centuplicare proprio quello che non corrisponde mai alla nostra costitutiva esigenza di soddisfazione; centuplicare quello che apporta un momentaneo e vacuo appagamento nell’istante breve - e in tutti quegli istanti ripetuti anche mille volte - ma dove di volta in volta l’io, l’altro, le cose sprofondano e si dissolvono nella melma di un egoismo sfrenato, di una pretesa violenta, di una tragica amarezza, di una patologica insoddisfazione e dove occorre essere sempre in fuga ed esistenzialmente dimentichi. La parola godimento è giusta, ed è quella; ma la realtà, l’essenza è proprio un’altra cosa. Perché la vita in tutti i suoi fattori e rapporti è un’altra cosa da quella concepita dal mondo. Un’altra cosa dentro le cose, dentro i rapporti. Ci ammonisce san Paolo: “Non conformatevi, non uniformatevi a questo mondo, alla mentalità di questo mondo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, cos’è buono, gradito e perfetto” (Rm 12, 1-2). La parola esatta in greco è metànoia, ribaltamento della mentalità. Quello in cui hai sempre fissato la vita deve essere lasciato per Chi è la vita e che solo la può determinare come significato, dinamica e soddisfazione. Ed è un altro sguardo, un’altra mentalità, un’altra concezione, un’altra realtà di soddisfazione quella che Cristo ci viene a rivelare. Ma è quella vera, perché è nella misura di Chi fa quella cosa, quella donna, quella realtà che va vissuta, afferrata, posseduta... È una misura totalmente altra dalla tua, che tu devi lasciare a vantaggio di quella. E che se non lasci ti impedisce di accogliere l’esperienza dell’umano secondo Cristo, e quindi la sua centuplicazione. È sempre l’esperienza umana “l’oggetto” da sperimentare in tutta la sua totalità - questa vita che vivo nella carne - ma da sperimentare seguendo Cristo, immedesimandosi con Lui, quindi lasciandola redimere da Lui - la vivo nella fede. Questo è il centuplo. L’esperienza umana diventa un’altra; ma un’altra non perché negata bensì perché cento volte più vera, più intensa, impareggiabilmente più umana. È quella, però rivelata e redenta dal rapporto con Cristo, in cui tutto, ma proprio tutto, è vissuto come segno del rapporto con Lui. Questo impone necessariamente che io lasci la mia misura e il mio modo di concepire cose, persone, rapporti... con cui li percepirei e con cui su di essi mi avventerei, compromettendo la possibilità dell’amore, della gioia, della bellezza, della gratuità, della libertà, del godimento vero di essi.

Il centuplo non può essere la centuplicazione delle mie voglie o delle mie reazioni, del mio modo di percepire; del bene, del bello, del buono e del giusto che stabilisco io - per esempio - su di un figlio, sulla cosa, sul lavoro, sulla salute, sulla moglie, sulla carne... Sì, “sia che mangiate, sia che beviate”... è la stessa vita, in cui c’è la bella figura di una donna, il sentimento verso di lei, verso mio padre, mia moglie, mio marito, mio figlio; c’è il lavoro, ci sono i soldi… ma è un’altra cosa, un’altra Realtà dentro a quelle realtà, ed è ciò che Gesù ci rivela: è il Mistero dentro cui la vita in ogni suo momento e rapporto è fatta, immersa e destinata. È quindi un altro modo di essere dentro quelle, che vuole la nostra conversione a Lui, fin dentro alla percezione delle cose secondo il suo Disegno. Ci dice che è Lui l’essere di ogni cosa, e se vuoi godere è Lui che devi seguire ed amare, lasciando convertire anche il modo di percepire e rapportarti in quelle cose. Staccandoti da te stesso per guardare, sentire, possedere come guardava, sentiva, amava Lui. Perché è in Lui che si guarda, si sente, si possiede veramente, e cento volte più intensamente, proprio perché si guarda, si sente, si possiede nel Mistero, di cui donna, uomo, figli, padre e madre... sono fatti e in cui consistono.

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