QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

Egli è qui. Egli è qui come il primo giorno…

Brano di Nicolino Pompei tratto dall’approfondimento “La Felicità in Persona”

L’unica “cosa” di cui c’è bisogno è la presenza di Gesù e quindi è lasciar prevalere la presenza di Gesù, è lasciarsi attrarre dalla sua presenza con questa incessante domanda del cuore: “Attirami e basta”. Tutto quello che c’è da fare, da vivere, da favorire, da seguire, da domandare è la presenza di Gesù, della Felicità in persona; è lasciar prevalere la sua presenza, il suo sguardo, la sua grazia presente dentro una semplice, quotidiana e incessante tensione di tutto noi stessi.

Ma se questa è “l’unica cosa necessaria”, è il “meglio”, è il massimo dinamismo che siamo chiamati a favorire, a lasciar prevalere sempre per il “meglio”, per il “massimo”, per la felicità della vita, ora, nel tempo di ogni istante, nel tempo di ogni adesso, come e dove incontrare la sua presenza, il suo sguardo per poter dimorare in Lui, per poter continuamente dimorare nel suo sguardo? Come ci raggiunge ora la sua presenza, il suo sguardo, per poter vivere la medesima esperienza dei pastori, dei suoi più “stretti” amici che hanno convissuto con Lui o di quegli uomini e di quelle donne che lo hanno incontrato duemila anni fa?

Questa domanda voglio farvela sentire, ancora una volta, con le parole di Péguy. Nell’opera Il mistero della carità di Giovanna d’Arco, fa gridare a Giovanna queste parole: “Felici coloro che bevevano lo sguardo dei tuoi occhi; felici coloro che mangiavano il pane alla tua tavola… Voi avete visto il colore dei suoi occhi; avete udito il suono delle sue parole… Voi avete udito il suono stesso della sua voce. Come dei fratelli minori vi siete rifugiati nel calore, nel tepore del suo sguardo. Vi siete riparati, vi siete messi al coperto, al riparo della bontà del suo sguardo. Di voi stessi ebbe pietà davanti a quella folla. Gesù, Gesù, ci sarai mai così presente…”.

Come è attuale questo grido di Giovanna, non solo per ogni uomo ma anche per noi adesso! Perché - come ho più volte, insistentemente, ripetuto questa mattina - se Gesù non è presente, la felicità non è presente, il cuore non può riposare nella felicità e di fatto inevitabilmente - prima o dopo - va o torna a cercare, a rastrellare, a seguire altri appagamenti; si perde, si disperde, si delude, si dissolve, si ammala nella ricerca, nell’ostinato tentativo di trovare una soddisfazione in altri istintivi, immediati, vacui, parzialissimi appagamenti e piaceri - più o meno estremi. Se Gesù non è presente ora - e così presente come a coloro che “bevevano” lo sguardo dei suoi occhi, come a coloro che mangiavano il pane alla sua tavola, che hanno udito il suono delle sue parole, il suono della sua stessa voce… che si sono rifugiati nel calore, nel tepore del suo sguardo… - il nostro cuore non può riposare nella felicità, e prima o dopo decade, si disperde, si intristisce, si ammala gravemente in una continua esperienza di insoddisfazione e delusione.

E attenti bene a questo passaggio: non si può vivere nemmeno di una felicità del passato. Il cuore non può essere soddisfatto da una felicità del passato, da una felicità di ieri, così come lo stomaco non può essere sfamato da un pane del passato, da un cibo di ieri. Quanto è decisivo questo richiamo rispetto ad una appartenenza che, per molti di noi, è segnata più da una nostalgia del passato, del primo incontro o dalla emotività di alcuni momenti vissuti che da una impareggiabile e centuplicata esperienza umana nel presente!

A questo grido di Giovanna, Péguy fa rispondere madre Gervaisecosì:“Egli è qui. Egli è qui come il primo giorno... In eterno è qui tra di noi proprio come il primo giorno. In eterno tutti i giorni. È qui fra di noi in tutti i giorni della sua eternità”.

Scrive Papa Francesco nella Christus vivit: “Egli vive! Occorre ricordarlo spesso, perché corriamo il rischio di prendere Gesù Cristo solo come un buon esempio del passato, come un ricordo, come qualcuno che ci ha salvato duemila anni fa. Questo non ci servirebbe a nulla, ci lascerebbe uguali a prima, non ci libererebbe. Colui che ci colma della sua grazia, Colui che ci libera, Colui che ci trasforma, Colui che ci guarisce e ci conforta è qualcuno che vive. È Cristo risorto… Se Egli vive, allora davvero potrà essere presente nella tua vita, in ogni momento, per riempirla di luce…”.

Sì, Egli è qui, Egli vive ed è qui ora e in ogni ora del nostro tempo, e ci raggiunge con il suo sguardo, la sua voce, la sua presenza. La Felicità in persona è una presenza ora, è Gesù ora. Ma come poter rintracciare il suo sguardo ora, come poterlo riconoscere ora nella medesima esperienza dei pastori, di Giovanni, di Andrea, di Zaccheo, della Maddalena, della Samaritana…? Come potergli dare del “tu” ora? Come poter dimorare in Lui, come entrare ora nella sua gioia? Come potersi sentire, ora e in tutti gli istanti della nostra esistenza, accalorati dal calore del suo sguardo, del suo abbraccio, del suo amore, del suo perdono?

Qualche anno fa, proprio al nostro convegno, vi dicevo che la sorprendente modalità della contemporaneità della presenza di Cristo alla vita di ogni uomo è l’avvenimento di una realtà fisica, di una realtà carnale, di una realtà umana, di un incontro umano radicato nella Compagnia e nella Vita della sua Santa Chiesa. Così il Signore Risorto ha stabilito di rimanere presente e vivo nel tempo, nella storia, e di continuare a raggiungere ogni uomo. Da quel primo gruppo di uomini eletti costituisce la sua Santa Chiesa, cioè la sua compagnia permanente, la permanenza della sua presenza viva, del suo sguardo e della sua azione redentiva. Tutta la realtà e l’azione sacramentale istituite da Gesù e consegnate all’amicizia e alla comunione di quei primi uomini che chiama a sé dentro una convivenza totale, nell’azione del suo Santo Spirito, fondano la sua Chiesa come sacramento della sua presenza viva nella storia; come la modalità umana della sua contemporaneità alla vita di ogni uomo, attraverso cui continua a mostrarsi presente ad ogni uomo; a chiamare, incontrare, abbracciare, redimere, salvare la vita di ogni uomo, come quella di Zaccheo, della Samaritana, del Cieco nato, dell’Adultera, della Maddalena… L’attualità, la contemporaneità della sua presenza risorta e viva, e di tutto ciò che Cristo ha detto e fatto, è la vita e la presenza della Santa Chiesa nella storia.

Nella vita della sua Chiesa c’è una possibilità più immediata, più vicina, più facile di poter incontrare e abbracciare la sua presenza, di potersi lasciare abbracciare dalla sua presenza, di poter dimorare nella sua presenza viva. C’è una essenziale espressione di san Gregorio Magno che lo afferma in maniera commovente: “In sacramentis tui cotidie te amplexamus”: nei tuoi sacramenti, tutti i giorni, in tutti gli istanti, noi ti possiamo abbracciare, noi possiamo godere di te, noi possiamo dimorare nel tuo sguardo, godere della tua presenza, essere abbracciati e risollevati dal tuo amore. I sacramenti della sua presenza - insieme alla nostra domanda, alla nostra preghiera - sono la cosa più semplice, più facile, perché noi non facciamo nulla: fa tutto il Signore! Come la vite con il tralcio. Occorre semplicemente essere attaccati, e fa tutto la Vite. Occorre solo starci domandando, occorre solo lasciarsi abbracciare domandando, come un bambino domanda e si lascia abbracciare dalla sua mamma.

Da questa Vita, dal calore della presenza di Gesù sempre acceso e vivo nella vita della Santa Chiesa, è scaturita e scaturisce la nostra compagnia. La nostra compagnia, il nostro cammino, l’amicizia tra noi nascono e sono sempre rigenerati da questo avvenimento di grazia e di vita che inizialmente ha attratto, investito la vita di alcuni per attrarre, investire e continuare ad attrarre, investire la vita di ciascuno fino ad oggi. Dio diventato uomo, la Felicità in persona continua a raggiungere e ad attrarre la vita degli uomini attraverso le mani, gli occhi, la bocca, l’umano, la realtà fisica, umana di uomini e donne innestati nella vita della sua Chiesa e radicalmente afferrati, accalorati dalla sua presenza.

Ha affermato Benedetto XVI nella Deus caritas est: “Il Signore sempre ci viene incontro attraverso uomini nei quali Egli traspare”. In queste parole troviamo l’esaltante conferma della nostra esperienza, perché la nostra compagnia nasce da questa esperienza; il nostro cammino, la nostra amicizia nascono e sono questa esperienza, e sono solo per questa esperienza. Una compagnia, un cammino, un’amicizia fatta di uomini e donne attratti e afferrati dalla presenza di Cristo Risorto, accalorati e accesi dal suo amore presente, vicendevolmente tesi a lasciare innestare tutta la vita al suo sguardo presente: è solo questo il Valore essenziale, vocazionale, imprescindibile della nostra compagnia. Se la felicità è tutta e solo nell’avvenimento della prevalenza del suo sguardo, nel lasciar prevalere il suo sguardo nel nostro, allora tutta la nostra amicizia è solo questo continuo, incessante, vicendevole cammino e sostegno per continuare ad incontrare e a lasciarsi investire dal suo sguardo, dalla luce del suo volto presente; per lasciar prevalere la sua presenza, per lasciar dimorare e soddisfare il cuore e la vita dalla sua presenza. L’Unum Necessarium - cioè la sua presenza e la sua compagnia necessaria e vitale nel presente - è tutto ciò che segna il valore e il volto sacramentale e comunionale della nostra compagnia, del nostro cammino, della nostra amicizia.

La domanda e la verifica che non dobbiamo mai evitare è quanto la nostra compagnia sia personalmente vissuta per questa esperienza di Gesù presente: non per la compagnia e basta, ma per l’avvenimento di Cristo presente nella compagnia; quanto i nostri rapporti di amicizia “costringano”, favoriscano, facilitino la memoria viva di Gesù presente, il nostro sguardo verso lo sguardo di Gesù presente, la tensione a lasciar prevalere, a lasciar predominare la sua presenza, il suo sguardo, la sua parola, il calore del suo amore, della sua grazia nella nostra vita; quanto favoriscano, facilitino, sostengano il nostro cuore, la nostra ragione, il nostro pensiero, la nostra libertà, la nostra responsabilità - nel procedere esistenziale e quotidiano - alla preminenza della sua presenza, all’esperienza della sua attrattiva presente e vincente.

Nicolino Pompei

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