Come sempre accade nel nostro Cammino sin dai suoi inizi, all’Eco di quest’anno siamo stati più volte aiutati a considerare l’esperienza dei primi uomini che hanno incontrato Gesù e che sono stati convocati all’Amicizia con Lui; siamo stati richiamati alla necessità di vivere sempre nella memoria viva dell’Avvenimento di Cristo tra i Suoi. Ritornare a quei momenti in cui i Primi s’imbattono con Gesù e cominciano a sentire il non poter più fare a meno della Sua faccia, del Suo sguardo, delle Sue parole e si ritrovano l’esigenza di tornare da Lui, l’inevitabilità di stare con Lui, è necessario perché – oltre 2000 anni dopo – è la nostra stessa esperienza. Questo stupendo brano del nostro fondatore - tratto dalla relazione di apertura al nostro XI Convegno, interamente pubblicata negli Atti – è un aiuto a riporci di fronte all’umanità dei Primi, in particolare di Pietro, totalmente coinvolta con Gesù.
Pietro, con altri uomini, è stato la prima carne (oltre a quella tutta particolare e originale di Maria, insieme a quella potente di Giuseppe il falegname) che si è impattata, con tutto il suo moto di pensieri e di incertezze, di fragilità e di istintività che ha un qualsiasi uomo, con quell’uomo di nome Gesù.
Pietro, in seguito ad un invito strano rivoltogli da suo fratello Andrea, si è ritrovato davanti al trentenne uomo di nome Gesù. Andrea, con Giovanni, normalmente seguiva quel grande uomo di nome Giovanni il Battista, nella sua missione profetica di annunziare il Messia, la salvezza al popolo di Israele, di tenere desta questa attesa. Andrea e Giovanni sono presenti nel momento in cui Giovanni Battista – tacitando di colpo il suo forte tono di voce, con cui normalmente si rivolgeva al popolo e a cui tutti erano abituati e legati e di cui erano timorosi – si sofferma con sguardo fisso, commosso e adorante su un Uomo che avanza verso di lui. E dopo alcuni istanti ascoltano le parole più attese dal cuore di un uomo: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco Colui che toglie il peccato del mondo; questi è Colui di cui dissi… è Lui il Figlio di Dio...”. Poi, rivolgendosi con tenera certezza a Giovanni e Andrea, indica loro di seguirlo.
Pietro non risulta presente, anche perché non è certamente preso da “questioni spirituali”... È tutto nella fatica del suo durissimo lavoro di pescatore. Solo successivamente a questo incontro, egli viene coinvolto dall’entusiasmo del fratello Andrea, che lo spinge a seguirlo con una provocazione sconvolgente: l’Atteso è qui, l’abbiamo trovato; il Messia è qui. Non è difficile immaginare – proprio pensando a chi lavora in mare – quello che Pietro avrà immediatamente ribattuto al fratello: Ma che cosa stai dicendo, cosa vai blaterando, lasciami lavorare e smettila di dire queste idiozie... Ma è tale l’insistenza di Andrea e la foga di ripetizione del dialogo di cui è stato testimone, che comunque Pietro, non disconoscendo nel suo cuore il richiamo continuo nel popolo di Israele del Messia, mosso anche da curiosità e – passatemi la battuta – forse per stabilire la sanezza del fratello, va e lo segue, con la testa riecheggiante dell’affermazione: il Messia è qui. Lo definiscono così, non perché capiscono la verità di quella definizione ma, prima di tutto, per l’indicazione di Giovanni il Battista, e poi per l’entusiasmo di avere trovato un uomo eccezionale già dal primissimo impatto.
Pietro va, e si trova davanti a quell’uomo di nome Gesù. Deve essere stato evidentemente un impatto eccezionale e ragionevolmente attraente, per non sopportare, da quel momento, nemmeno un momento di tempo successivo lontano da quell’uomo. Pietro, infatti, rimane e inizia a seguirlo con un manipolo di altri undici uomini. Pur non capendo ancora nulla di quell’Uomo, è evidente a Pietro e a tutti gli altri che si trovano davanti ad un Uomo eccezionale e affidabile, tanto da suscitare da quel momento una convivenza immediata e totale con Lui. L’eccezionalità di quell’Uomo in fondo dove stava? Nel far emergere, come nessuno aveva fatto prima, il cuore, la normalità del cuore. Era eccezionale perché parlava di loro a loro stessi come se li conoscesse dalla nascita, mostrando una familiarità con la vita e il cuore, il tessuto del cuore; sapendo dell’uomo come se lo avesse fatto Lui. E nello scorrere del tempo di quella convivenza, parlava della realtà, della natura come se tutto dipendesse da Lui. Parlava della Legge come se Lui l’avesse legiferata. Parlava delle Scritture come se Lui le avesse scritte. Parlava dei padri del popolo di Israele come se li avesse personalmente conosciuti. Parlava di Dio rivolgendosi a Lui col nome di Abbà, Papà. Iniziava sempre qualsiasi insegnamento con: Amen, amen… In verità, in verità, io dico... Insomma era eccezionale perché immediatamente faceva esplodere la normalità spesso sotterrata di un uomo, dove c’è la questione decisiva di ogni uomo: il cuore, la normalità del cuore, che è esigenza di... di significato, di pienezza, di felicità...
Quell’uomo è eccezionale perché, immediatamente, ti fa sentire in gola la vera natura del cuore, la vera questione. La vera questione quasi sempre seppellita da cumuli di cemento di diversificate maschere, che l’uomo, per presunzione o rassegnazione, si appiccica o si lascia appiccicare pur di evitarla. E quell’uomo risponde. Non solo faceva emergere ma rispondeva. Le sue parole, il suo sguardo, le sue azioni... sembrava, lo ripeto, che possedesse tutto, che tutto dipendesse da Lui, che con tutto avesse quella familiarità tipica di chi è proprietario di tutto: della mente, dei pensieri, del cuore, del dolore, della realtà, della natura, dell’amore, della legge.
Questo, entusiasmante e contemporaneamente drammatico, spettacolo dell’umano si ritrova davanti Pietro nei primi passi di convivenza con Lui. E poi quei miracoli... che stupiscono, azzittiscono, commuovono, esaltano; ma che in Lui non sono mai staccati dalla questione decisiva della verità; non sono mai il punto definitivo, ma il richiamo alla verità di tutto, con cui Lui comincia a definirsi. Anzi, con cui, man mano, comincia a identificarsi sempre più chiaramente. Emergendo in una sconvolgente confidenza ed unità con Dio, tanto da chiamarlo “babbo” e a definirsi suo figlio. Nel Vangelo ritroviamo puntualmente i riferimenti di questa esperienza… Pietro è uno dei più evidenti protagonisti del primo gruppo di uomini chiamati da Gesù; di quell’amicizia con e attorno a Gesù. Pietro è colui che più di tutti – almeno così si evince dal Vangelo – osa nel rapporto con Gesù. Quello che esprime, non solo a parole ma anche nel volto, domande, perplessità, incertezze, anche a nome degli altri. Lo vediamo sprigionare entusiasmo come sprofondare a testa china dentro i suoi pensieri, nel tentativo di capire o perché richiamato anche duramente da Gesù. È quello che si getta, quasi sempre per primo, nella risposta alle domande che Gesù poneva loro.
Ricordiamo il momento in cui Gesù li sorprende con una domanda costringente: Chi dice la gente che io sia? E qui rispondono un po’ tutti, riportando quello che avevano raccolto in giro. Ma Gesù riprende subito dopo averli ascoltati: E voi chi dite che io sia? È solo Pietro che risponde: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Risponde per tutti, anche per tutti noi. Loro hanno davanti il Verbo di Dio fatto carne, il Mistero fatto uomo, l’Eterno Padre che si manifesta nella carne dell’uomo Gesù... ma Pietro e gli altri ancora non ne hanno piena e definitiva consapevolezza. Eppure egli risponde, e risponde così. E risponde bene, Gesù glielo dice chiaramente: “Beato sei tu, Simone figlio di Giona, poiché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa...”(cfr. Mt 16,13-18).
Oppure l’altro noto momento in cui Gesù, leggendo il loro cuore come sempre accadeva, vedendoli rivolti da un’altra parte per uno di quei momenti di comprensibile perplessità (aveva appena detto che la sua carne e il suo sangue erano da mangiare come l’unica possibilità per avere la vita piena e soddisfatta; come l’unica possibilità del destino, cioè della vita eterna), li fredda con: “Questo vi scandalizza?... Volete forse andarvene anche voi?”. Seguite pure la vostra dubbiezza, i vostri pensieri perplessi e dubbiosi... vedrete che essi risponderanno alla vostra vita, alla vostra esigenza di pienezza... E anche lì Pietro si getta con un impeto pieno di certezza. Una certezza non ancora pienamente ritrovata come riconoscimento della verità di chi hanno davanti, e che non ha risolto quella perplessità rispetto a ciò che aveva ascoltato; ma di chi sa – sì, sa! –, di chi sta sperimentando, che lì c’è uno con cui la vita è totalmente spiegata, rivelata in tutta la sua pienezza. E lo si vede da come Pietro risponde, quasi inseguendolo, trattenendolo: No, no aspetta un attimo, scusaci... cerca di capire che è normale che abbiamo queste perplessità; ma una cosa è certa Signore, dove andiamo lontano da te, chi ci spiega la vita come te, chi ci dice noi a noi stessi come ce lo dici e fai vedere tu? Io, noi, non andiamo lontano da te… Da chi dovremmo andare? “Solo tu hai parole di vita eterna, e noi abbiamo creduto e abbiamo riconosciuto che tu sei il Santo di Dio” (cfr. Gv 6,67-69).
Siate sempre pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in voi. È sempre Pietro che parla e lo scrive, o lo fa scrivere, forse 30 anni dopo la morte e risurrezione di quell’uomo di nome Gesù, in cui lui identifica tutta la sua vita nel ministero affidatogli da Cristo stesso. È lo stesso Pietro, lo stesso che in quei tre anni di convivenza con Gesù non è evitato dal momento più amaro e tragico di quel rapporto, e credo della sua vita: negare di conoscerlo nel momento in cui Gesù manifesta definitivamente la sua identità di Redentore dell’uomo, cioè nel momento dell’arresto e della sua morte in croce. In Pietro, che poco prima aveva affermato: “Signore con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte”, vince la paura. Come Gesù gli aveva predetto, dichiara di non conoscerlo. In Pietro c’è anche questo momento terribile. Sì, nel rapporto con Cristo non è semplificato o censurato nulla dell’esperienza umana, neanche il tradimento. Ma l’ultima parola è sempre di Cristo. Se Lui è il Tutto fatto uomo, l’Eterno Padre che si fa uomo, l’ultimo sguardo, su tutto e su “ogni”, è il suo. E il suo sguardo è solo Misericordia. La Misericordia impossibile a noi, è Lui. Ed è sempre presente e vincente su tutto; su tutto il nostro male, la nostra malattia, la nostra meschinità e presunzione, la nostra cattiveria… il nostro peccato. E in Pietro è ciò che vince, perché vince quel rapporto, comunque certo in lui, più evidente del suo tradimento. Quello sguardo è sempre presente ed è sempre più forte ed evidente del nostro tradimento, di tutto il male del mondo. A Pietro si rivela nel momento in cui Gesù risorto – testimonianza oggettiva del suo essere il Redentore, la salvezza, la liberazione e la vittoria su tutto ciò che accusa, incarcera e soffoca la vita, fino alla morte – appare ai suoi, e chiamando Pietro in disparte non gli dice nulla di quello che lui, come ciascuno di noi, si sarebbe aspettato. Gesù risorto irrompe, invece, nell’imbarazzo e nei suoi tempestosi pensieri, chiedendogli: Pietro tu mi ami? Rispondimi solo a questo: Mi ami?... Pietro che (non facciamo nessuna difficoltà ad immaginarlo...) aveva la faccia sotto terra, che non aveva il coraggio di guardarlo in faccia per la vergogna, si sente alzare lo sguardo da quella domanda che gli va dritta al cuore e che riempie di misericordia tutto il suo essere. E risponde, con un continuo crescendo nell’intensità della voce: Sì, tu lo sai che ti amo; ti amo, sei tutta la mia vita, tu sai che… Chissà quanto avrebbe voluto dire, magari come giustificazione al suo tradimento; ma Gesù lo ferma subito dopo la risposta, e gli dice con tenerissima e somma chiarezza: Pasci le mie pecore, guida la mia Chiesa, la mia Compagnia. Lo conferma, lo fa definitivamente capo e padre della sua Compagnia tra noi nella storia. Da questo commovente, struggente e brevissimo dialogo, emerge la pienezza e la peculiarità della vocazione di Pietro.
Nicolino Pompei