QUELLO CHE ABBIAMO DI PIÙ CARO

Ad fruendum Te

Dall'approfondimento “Quello che abbiamo di più caro è Cristo stesso”

Proprio in questi giorni mi è capitato di leggere e di meditare alcune affermazioni di sant'Agostino, commentate dal nostro carissimo amico don Giacomo Tantardini in alcune sue lezioni.

Agostino, parlando dell'esperienza della sua conversione, nel libro delle Confessioni, ci induce a porci la domanda su come si diventa cristiani. Non si diventa cristiani per una conoscenza intellettuale ed erudita dei contenuti di verità del Cristianesimo, ma solo se accade la possibilità, dice Agostino, “ad fruendum Te”: di godere di te - di godere del Signore, della Sua presenza reale. Parlando di sé, dice: “Io cercavo la strada per procurarmi la forza sufficiente per godere di te”. Agostino afferma di conoscere molto più di quello che può conoscere la maggioranza dei semplici fedeli. E nel De civitate Dei riferisce di un uomo, un fedele ignorante, che non sa nulla di filosofia e di teologia. Che conosce solo le poche cose essenziali del Credo cattolico. Lui però ha ricevuto, continua Agostino, “la Grazia attraverso la quale aderendo a Dio siamo felici”. Non basta dire di conoscere Dio e che Dio è la massima felicità e beatitudine perché uno sia felice e beato. Anche Platone, afferma sempre Agostino, intuisce che Dio è la felicità, ma non per questo era felice. È solo l'incontro reale con Gesù, è solo l'incontro con la Grazia, che investe la nostra vita e da cui ci lasciamo investire, che rende possibile l'esperienza di godimento della felicità che solo Dio è. Agostino usa queste parole per dire, in un tratto, la sua conversione: “… Finché non abbracciai il mediatore tra Dio egli uomini, l'uomo Cristo Gesù”, il verbo fatto carne. “…Il verbo si è fatto carne affinché la tua sapienza, attraverso la quale hai creato tutte le cose, diventasse latte per noi bambini”. Perché Agostino è divenuto cristiano? Perché è stato investito dalla Grazia di un avvenimento che lo ha spalancato, non solo al riconoscimento che Dio è la felicità, ma soprattutto all'esperienza di godimento di questa felicità. E così, come abbiamo visto in san Paolo, la sua vita viene introdotta all'esperienza della vera conoscenza. Agostino, parlando di sé ma anche di ogni uomo, afferma che senza l'avvenimento di Dio fatto carne che abita in mezzo a noi, senza la reale presenza di Gesù Cristo, “desperarem”: sarei disperato. Sarebbe disperato. Saremmo tutti disperati. Non ci si dispera perché manca un’idea della vita, un'opinione o un discorso su di essa. Non ci si dispera perché manca una conoscenza teologica e filosofica: ci si dispera perché manca una reale presenza e l’esperienza di una presenza che concretamente possa abbracciare la nostra miseria e debolezza mortale, soddisfare il cuore, allargare la ragione, esaltare la portata della libertà sino alla sua soddisfazione. Ed è per questo che solo la reale presenza e l’esperienza del verbo fatto carne diventa ciò che si ha di più caro, e senza cui ci si dispera.

Ora: noi non siamo qui per esplicitare, come fosse un referendum, il nostro consenso alla risposta dello starets Giovanni. Per richiamarla come la definizione più adeguata di noi stessi e del nostro cammino o per difenderla da quelli che riducono il Cristianesimo a messaggio o a valori. Quello che manca non è certamente il nostro formale consenso. Quello che manca non è certamente l’emergere di un discorso o di attività conseguenti l’annuncio verbale di Gesù come di Colui che abbiamo di più caro. Ma come non si diventa cristiani perché uno dice che il Cristianesimo è la felicità, bensì solo per l'esperienza viva di un incontro umano che, investendomi, sorprendentemente me lo mostra e mi permette di goderlo; così la presenza di Cristo può essere anche la più nominata, la più richiamata all'origine di ogni nostra mossa ed opera, ma risultare astratta ed estranea alla vita.

Se pensiamo, ad esempio, a Maria Maddalena, siamo certi che nessun discorso su Dio, sul fatto che Dio fosse la felicità, sull’esistenza del verbo eterno, avrebbe potuto ridarle quella speranza che solo si è riaccesa nell’incontro con il Signore Gesù, nell’incontro e nell’abbraccio con il verbo eterno fatto carne. Solo l’incontro e l’abbraccio con il verbo eterno fatto carne ha permesso alle sue lacrime di potersi riversare sui piedi di quella Presenza da cui si è sentita totalmente amata, abbracciata, perdonata, riaffermata e rimessa in gioco come “io”, come donna nella vita e nel cammino verso la felicità. Lo stesso Agostino non si è convertito perché ha aggiunto un ulteriore contenuto di verità ad altri che già aveva. Ma solo quando umilmente ha abbracciato l'umile Gesù e, sono sue parole, “quando la tua mano ha curato la tristezza del mio cuore”. Così anche per noi -per la provocazione che attraverso questo incontro sto cercando di favorire in ciascuno- non sarà mai un ulteriore, aggiornato e proclamato contenuto di verità che potrà farci riconoscere e affermare Cristo come la presenza più cara e decisiva della vita. In quello che sto ponendo non c’è alcun intento polemico o alcun pregiudizio verso nessuno. È semplicemente la forza e l’urgenza vitale di ciò che abbiamo messo a tema che mi spinge a chiedervi, con amorevole insistenza, di non evitare l’incedere di questo richiamo, di non fuggire il sacrificio di questo lavoro, per lasciarvi provocare fino in fondo, fino alla radice del vostro essere. Pena quella deleteria divisione dell’io tra un riconoscimento astratto di Cristo e un procedere esistenziale fragile, fluttuante e inconsistente. Pena quella distanza ed estraneità dall’avvenimento di Cristo come presenza viva e provocante ora la nostra vita, come presenza operante e trasformante ora il nostro tempo. Ed è solo in questa esperienza che la presenza di Cristo può attestarsi come provocazione drammatica alla libertà e alla ragione di un uomo, e risultare una continua sfida alla mentalità del mondo. Provate allora ad entrare dentro la normalità di una giornata, in un qualsiasi momento della vostra quotidianità, anche nelle situazioni più elementari della vostra vita quotidiana. Mentre vi state rapportando con una qualsiasi circostanza o intrattenendo in qualche rapporto. Non si tratta di fare un'ispezione o un'analisi censoria e moralistica del nostro quotidiano. È semplicemente l’invito a guardare noi stessi nella nostra esperienza quotidiana. Perché è proprio questa esperienza che lascia trasparire se Cristo è l’avvenimento che investe e decide tutto di noi, se Cristo è la presenza in cui tutto di noi è concepito, vagliato e giudicato, se Cristo è la sorgente di ogni nostro giudizio e l’assoluto movente di tutto quello che diciamo e viviamo. Oppure se è una presenza generica, un argomento fra i tanti, un ideale astratto, richiamato come spunto - anche molto caro – al nostro vivere. Ed è proprio nel giudizio di questa esperienza che vi chiedo di guardare quella frattura o estraneità tra ciò che diciamo verbalmente di riconoscere e il nostro reale procedere esistenziale.  Che infatti per molti di noi è drammaticamente segnato da una ragione fragile e dormiente, un pensiero gretto, pervaso da ovvietà e meschinità, e che spesso si ritrova nel dominio di opinioni e immagini comuni e mondane, che sembrano regnare indiscusse. Drammaticamente segnato dall'esperienza di una libertà così ancora soggiogata da istinti e voglie o paralizzata da paure e angosce. Da un’affezione volubile, prettamente sentimentale, rivolta e schiacciata nelle apparenze del mondo, e in cui nascostamente si favoriscono ambiti e rapporti autonomi e intimistici che non ammettono interferenze di nessun tipo.

È un richiamo che ci coinvolge tutti. Nessuno si lasci vincere dalla presunzione di non esserne in qualche modo coinvolto. In questi giorni, io stesso l’ho favorito a chi si è mobilitato per l'attuazione di questo Convegno, a chi si è coinvolto nella scelta dell'immagine e nella costruzione dell'ambiente che ci accompagnerà e ci accoglierà in questa settimana. Ho ricevuto da parte di tutti un pieno consenso rispetto all’affermazione scelta. Ma un consenso che ho sentito segnato da una serie di ragioni e motivazioni astratte, e non emergente dalla novità e dall’urgenza di una vita che realmente si è lasciata colpire e investire da questa provocazione. Quanta fatica è emersa alla semplice richiesta di dire sé, la propria vita rispetto a questa scelta! Quante frasi fatte e affermazioni precostituite per rendere ragione di questa scelta! Sono persone devotissime, che da anni vivono il cammino. Che potrebbero ostentare la presenza di opere che segnano la loro vita. Ma è proprio questo il punto. Chi è che segna la nostra vita? Chi è che la segna veramente? Come già vi dicevo, nessuna iniziativa, attività o opera potrà mai semplificare in noi l'urgenza vitale e sempre nuova di questa domanda e della nostra risposta. Perché una cosa è motivare in Lui quello che viviamo e facciamo. Un'altra cosa è l'esplicitazione nel nostro umano di un avvenimento che si mostra in tutta la sua portata di presenza decisiva e di incidenza in quello che viviamo e facciamo. E di cui iniziative, attività e opere dovrebbero essere semplice testimonianza.

In questo momento mi ritornano in mente quelle appassionate richieste che mi avete posto per l'avvenimento del vostro matrimonio. Perché anche la “partecipazione” potesse testimoniare la ragione della vostra scelta vocazionale proprio nell’avvenimento di Cristo. Quanti di voi mi hanno chiesto di poter essere aiutati e sostenuti! Ma dov'è tutto questo ora? Se qualcuno si mettesse a seguirvi dentro il vostro cammino quotidiano ritroverebbe vivo, presente e qualificante ciò che verbalmente o per iscritto avete voluto testimoniare come l'avvenimento più caro, non solo a fondamento del vostro matrimonio ma della vostra stessa vita? La vostra vita, anche dentro situazioni di fatica, fragilità, miseria, in questa modalità storica e particolare in cui avete riconosciuto la chiamata del Signore, si è ritrovata nell'esperienza più viva e più certa della presenza di Cristo, senza il quale non solo nulla vale ma niente è possibile? Io stesso pensando al nostro Convegno, a come è cresciuto nella sua proposta visibile, a come si è arricchito di ambiti, gesti e proposte, mi sono trovato investito da una certezza più evidente: che nulla di quello che c'è qui dentro è decisivo per lamia vita tranne Lui. Perché la ragione di tutto -per cui c'è questo Convegno, con tutto quello che mettiamo in gioco e in opera - è solo per affermare la Presenza decisiva per la vita di ogni uomo, solo per testimoniare la Sua presenza ora. Solo per Colui che abbiamo di più caro. Oppure, come dice san Paolo nell'inno alla carità, non vale niente, è pari al niente.

Nicolino Pompei

Resta in contatto

Iscriviti alla Newsletter