NUMERO 2 / ANNO 2019
Buon riposo!
Ognuno di noi ricorderà il famoso “foglietto” che siamo stati più volte invitati a scrivere, elencando cosa vorremmo per essere felici. Quanto vuoi vivere? Di che morte vuoi morire? Quanto deve vivere tuo figlio? Cosa vuoi da tuo marito?... Sono solo alcune delle provocazioni che abbiamo ricevuto come aiuto a considerare in cosa e in chi pretendiamo spesso di far consistere la nostra felicità – senza riuscirci mai, indipendentemente dal fatto che i singoli desideri si realizzino o meno. Chi ha la semplicità e l’umiltà di seguire anche un’indicazione così apparentemente banale sa che tale non è. Quale potrebbe essere il mio foglietto di questo momento? Scriverei ad esempio che vorrei dimagrire facilmente, avere più iscritti nella mia scuola e ricevere più apprezzamenti per il mio lavoro anziché le lamentele e le proteste sia dei genitori che degli insegnanti a cui c’è sempre qualcosa che non va bene… Potrei anche aggiungere che vorrei che i miei genitori non invecchiassero ulteriormente e non si ammalassero più di quanto già non lo siano… Mi fermo qui, perché l’elenco è già abbastanza esemplificativo di ciò che una paterna richiesta come quella di fare un “fogliettino” simile può favorire. Scrivendolo ci si sente ridicoli e si può vedere l’insufficienza di ciò in cui abbiamo la pretesa di far consistere la nostra felicità. Tutti sperimentiamo che, anche quando poi riusciamo ad ottenere o a realizzare uno dei punti del “foglietto”, in realtà non basta esattamente come quando da piccoli ricevevamo finalmente quel gioco tanto desiderato ma che poi finiva nella pila di quelli non usati appena pochi giorni dopo. È il nostro stesso cuore che ce lo dice. E allora? Qual è la questione? “Ci hai fatti per Te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”. Non c’è nulla di male o di sbagliato a desiderare la salute per sé e per i propri cari o l’assenza di problemi al lavoro… Il punto, però, è che non siamo fatti per questo. L’inquietudine è un sintomo speciale che ci permette di riconoscere che nulla basta al nostro cuore fuorché Colui che lo ha tessuto e fatto per Sé. In questo momento mi torna in mente l’accorato invito di Gesù che ci dice: “Venite a me voi che siete stanchi e affaticati e io vi ristorerò”. Ci diceva Nicolino ad un incontro: “A chi si rivolge Gesù quando dice «voi che siete stanchi e affaticati»? A quale stanchezza, a quale fatica si riferisce? Alla stanchezza e alla fatica di chi vive ed è cosciente del dramma del proprio umano, della propria debolezza mortale, dell’incapacità di rispondere al proprio bisogno, di affrontare se stesso, gli altri, le circostanze, una vita che così spesso ti «spezza le gambe». È l’invito ad ogni uomo, all’uomo che ha coscienza di sé, della sua incapacità strutturale, della sua malattia originale. Nelle parole di Gesù viene abbracciata anche la fatica e la stanchezza esistenziale di chi ha presuntuosamente tentato di appoggiare la sua vita su se stesso, di chi ha confidato in se stesso, nella propria misura, sulle proprie forze. Di chi ha tentato di rispondere autonomamente e pretenziosamente al proprio cuore, al suo bisogno più profondo, all’incedere incessante del desiderio. Di chi ha speso tutto se stesso per ciò che «non è pane», non è cibo adeguato al cuore, ritrovandosi nell’amarezza e nella patologica delusione di una continua insoddisfazione. […] «Venite a me ed io vi ristorerò», vi mostrerò che sono io l’unico «Ristoratore» del vostro umano assetato e affamato, stanco e oppresso” (Nicolino Pompei, Ma di’ soltanto una parola ed io sarò salvato). Le testimonianze di cui anche questo numero di Nel frammento è ricchissimo, così come quelle che in quest’estate continueremo ancora ad incontrare dall’Avvenimento in piazza alle Vacanze e in tutto ciò che ci sarà dato di vivere, siano un’occasione per verificare sempre di più che il Signore “ci ha fatti per Lui e che il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Lui”. A ciascuno l’augurio di questo anelato ristoro, di questo beato riposo.
Barbara Braconi
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