Oggi in Europa si può parlare di un segno di speranza! Forse si sta capendo che senza il riconoscimento delle origini cristiane alla base dell’identità di questo continente non si può andare da nessuna parte: infatti se un Paese non sa chi è e non difende il suo patrimonio storico-culturale, come può pensare di essere minimamente credibile di fronte ad altri Stati e quindi operare per il bene comune?
Qualcosa si sta muovendo e recenti fatti storici ce lo dimostrano.
Nella tragica occasione dei dolorosi e cruenti attacchi contro le comunità cristiane nelle Filippine, in Nigeria, in Iraq ed in Egitto, compiuti da gruppi integralisti islamici durante le festività del Santo Natale e nei primi giorni del nuovo anno, il Parlamento Europeo ha presentato, su iniziativa italiana del presidente del gruppo Partito Popolare Europeo e con il sostegno attivo del deputato Magdi Cristiano Allam, una risoluzione all’Assemblea per condannare le violenze di matrice religiosa e gli attacchi al popolo cristiano, chiedendo con forza all’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri, Catherine Asthon, di agire urgentemente per rafforzare il diritto umano alla libertà religiosa nel mondo; in tale risoluzione per la prima volta si parla delle persecuzioni contro i cristiani come un problema collegato al diritto della libertà religiosa, tracciando quanto il Santo Padre sta sostenendo con forza, non da ultimo nel Messaggio per la giornata mondiale della pace dal tema “Libertà religiosa, via per la pace”.
L’Assemblea Parlamentare dell’Unione Europea ha poi approvato tale proposta di risoluzione, redigendo una Raccomandazione su “La violenza contro i cristiani in Medio Oriente”; questo voto, per nulla imparziale, va a rompere finalmente quell’ingiustificato imbarazzo che l’Unione Europea ha avuto fino ad oggi nel parlare esplicitamente dei cristiani e delle persecuzioni che subiscono in ogni parte del mondo e potrebbe essere anche un monito perché l’Europa ritrovi le sue radici e la sua identità cristiana, gravemente taciuta nella propria Carta Costituzionale (Avvenire).
Dopo questo importante spiraglio di luce volto a riscoprire e difendere la verità storica delle nostre radici, è accaduto un evento giudiziario collocabile nella stessa direzione.
Di fronte al rischio di remissione in causa della loro identità profonda, più di venti Paesi europei hanno preso pubblicamente posizione in favore della presenza del crocifisso nello spazio pubblico europeo. Per spiegarci meglio: la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, con quindici voti favorevoli e due contrari, ha definitivamente assolto l’Italia dall’accusa di violazione dei diritti umani per l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche.
Così si mette la parola fine alla controversia Lautsi contro Italia, di cui tanto hanno parlato i giornali; si trattava del procedimento proposto nel 2006 dinanzi alla Corte di Strasburgo dalla signora Sonia Lautsi, cittadina italiana di origine finlandese, nel quale lamentava la presenza del crocifisso nelle aule della scuola pubblica frequentata allora dai figli, parlando di ingerenza incompatibile con il diritto ad un’educazione conforme alle convinzioni dei genitori non credenti. La prima sentenza della Corte (9 novembre 2009) diede, all’unanimità, sostanzialmente ragione alla signora Lautsi, riconoscendo una violazione da parte dell’Italia di norme sulla libertà di pensiero, convinzione e religione. Il Governo italiano, allora, ha presentato ricorso alla Grande Chambre della Corte, organo superiore, ritenendo tale sentenza lesiva della libertà religiosa individuale e collettiva come riconosciuta dallo Stato italiano.
La Grande Chambre ha così capovolto sotto tutti i profili una sentenza di primo grado, adottata all’unanimità da una Camera della Corte, che aveva suscitato non solo il ricorso dello Stato italiano convenuto, ma anche l’appoggio ad esso di numerosi altri Stati europei, in misura finora mai avvenuta, e l’adesione di non poche organizzazioni non governative, espressione di un vasto sentire e di una concreta mobilitazione delle popolazioni.
I giudici hanno razionalmente accettato la tesi in base alla quale non sussistono elementi che provino l’eventuale influenza sugli alunni dell’esposizione del crocifisso nella aule scolastiche che non può essere dunque ritenuta un indottrinamento da parte dello Stato. Si riconosce dunque, ad un livello giuridico autorevolissimo ed internazionale, che la cultura dei diritti dell’uomo non deve essere posta in contraddizione con i fondamenti religiosi della civiltà europea, a cui il cristianesimo ha dato un contributo essenziale e preponderante. Si riconosce inoltre che, secondo il principio di sussidiarietà, è doveroso garantire ad ogni Paese un margine di apprezzamento discrezionale quanto al valore dei simboli religiosi nella propria storia culturale e identità nazionale e quanto al luogo della loro esposizione.
In caso contrario, in nome di una pseudo libertà religiosa si tenderebbe paradossalmente invece a limitare o persino a negare questa libertà, finendo per escluderne dallo spazio pubblico ogni espressione. E così facendo si violerebbe la libertà stessa che viene tanto sventolata a parole, oscurando le specifiche e legittime identità di un popolo.
La Corte dice, quindi, che l’esposizione del crocifisso non è indottrinamento, ma espressione dell’identità culturale e religiosa dei Paesi di tradizione cristiana. Per la Corte il fatto che “la normativa italiana attribuisce alla religione maggioritaria una visibilità preponderante nell’ambiente scolastico” non basta a costituire “un’opera di indottrinamento”; tale rischio non si verifica neanche se ci si sofferma, come molti hanno fatto, sul dato tecnico che al cristianesimo viene accordato nel programma scolastico uno spazio maggiore rispetto alle altre religioni, in quanto non si tratta di mera preferenza o intolleranza ma di valorizzare e far conoscere il patrimonio culturale che fonda il popolo italiano; ciò non manca di rispetto alle altre religioni, che trovano comunque uno spazio educativo nelle scuole nazionali, che la Corte ha descritto come luogo aperto a tutti. Non sussistono dunque elementi che indichino “intolleranza”, e comunque, continua la Corte, il diritto della ricorrente finlandese contro il governo italiano di orientare i suoi figli “è rimasto intatto”, in quanto non c’è violazione dell’articolo 2 del primo protocollo aggiuntivo della Convenzione (la carta fondamentale della Corte) che impone agli Stati il dovere di rispettare il diritto dei genitori di assicurare l’educazione conforme al loro credo religioso e filosofico.
Significativo, dunque, che la Corte rovesci una decisione presa all’unanimità che sembrava aver irrimediabilmente piegato la giurisdizione europea verso il rinnegamento cieco della sua storia solo per difendere un pensiero definito, in maniera scorretta, laico, proprio perché questo termine “laico” deriva dal greco laikós, cioè “uno del popolo” e non deve invece indicare un generico agnostico o ateo.
Non sono mancate parole di soddisfazione e gioia per quanto deciso dalla Corte Europea.
Mons. Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, ha affermato che “l’Europa ha scritto una pagina di speranza; si tratta di un segno di sapienza e di libertà, una sentenza di valore simbolico che va oltre il caso italiano e che ha una profonda portata unificatrice dei popoli europei, di fronte alla messa in causa dell’identità del continente. Il cristianesimo - ha rilevato - ha questa capacità di unificare l’Europa. È stata una vittoria per l’Europa, un segno di speranza per l’Europa”.
Soddisfazione grande anche del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei. “Una sentenza importante, di grande buon senso e di grande rispetto per le argomentazioni che sono state presentate dal Governo italiano insieme ad un numero significativo di Paesi europei che hanno condiviso questa posizione del Governo Italiano” ha afferma il Cardinale. Intervenuto poi di recente al termine della messa per il Mondo del Lavoro nella Cattedrale di Genova, il Cardinale ha spiegato poi che sono state prese “in considerazione serie argomentazioni” che “sono state riconosciute nella loro validità e questo è un segno molto positivo e apprezzabile”. “Dall’altra parte - ha proseguito - c’è la libertà della religione, sia nel suo esercizio interiore, che nel suo esercizio pubblico, nei suoi simboli, soprattutto il crocifisso, che, come è noto, rappresenta ed esprime una concezione, un insieme di valori ampiamente condivisi dalla cultura e dall’antropologia occidentale che hanno nella dignità della persona, nella cultura dell’amore del dono del sacrificio della dedizione quindi della solidarietà un punto fondamentale”. “Questa sentenza - ha concluso Bagnasco - è un passo importante anche dal punto di vista giuridico perché afferma e rispetta anche il principio giuridico dei singoli dei Paesi e delle singole tradizioni dei Paesi europei”.
Questo importante orientamento dei giudici europei è stato di poco preceduto da una sentenza della nostra Corte di Cassazione, che, seppur esprimendosi su un caso particolare, ha di fatto confermato il ragionamento logico-giuridico usato e ben sviluppato a Strasburgo; in particolare la Cassazione ha confermato la decisione del Consiglio Superiore della Magistratura di rimuovere Luigi Tosti, il giudice di Camerino, definito dai media “giudice anti-crocifisso”, che rifiutò tempo fa di tenere udienza per la presenza del crocifisso nelle aule di giustizia. La presenza di un crocifisso - scrive la Cassazione - può non costituire necessariamente minaccia ai propri diritti di libertà religiosa per tutti quelli che frequentano un’aula di giustizia per i più svariati motivi, con la conseguenza che il giudice Tosti non poteva “rifiutare la propria prestazione professionale solo perché in altre aule di giustizia (rispetto a quella in cui egli operava) era presente il crocefisso”.
Ecco che l’iniziale spiraglio di luce diventa un vero e proprio raggio di sole che va finalmente a dissipare le tenebre della ragione di chi ha sempre pensato che il crocifisso sia un segno di discriminazione ed intolleranza per chi professa altre religione o per chi si dice ateo.
Certo Dio in croce è uno scandalo per il mondo! Che Dio è se si fa uccidere dall’uomo, facendosi mettere in croce insieme a due briganti?
Ma Gesù in croce è l’espressione dell’Amore infinito di Dio, che solo per amore di tutte le sue creature decide di farsi uomo, di farsi compagnia di uomo all’uomo, di nascere da una Donna, di vivere partecipando della gioia e del dolore di ogni uomo, fino a sacrificare la sua vita sul legno della croce perché ogni uomo possa raggiungere la salvezza. E quest’amore misericordioso è veramente per tutti coloro che desiderano accoglierlo, senza discriminazioni di razza, lingua, sesso e religione.
Questo amore, che ha mosso uomini e donne a seguire la proposta affascinante del cristianesimo, fa parte della storia, non solo dell’Italia, ma dell’Europa intera che ha trovato nell’opera incessante della Chiesa e dei suoi figli uno strumento di crescita, di sviluppo sociale, culturale e materiale; si pensi alla fondazione di scuole, università, ospedali, nonché l’intervento umanitario costante in situazioni di guerra o di crisi in genere.
Questa nuova sentenza della Grande Chambre contribuisce efficacemente a ristabilire la fiducia nella Corte Europea dei diritti dell’uomo da parte di una gran parte degli europei, convinti e consapevoli del ruolo determinante dei valori cristiani nella loro propria storia, ma anche nella costruzione unitaria europea e nella sua cultura di diritto e di libertà.
Ed è per noi indicativa del fatto che finalmente l’uomo moderno si sta mostrando più disponibile a domandarsi chi è, da dove viene, senza temere troppo di far memoria delle sue radici e di mostrarle con fierezza, evitando così di perdersi in schemi ideologici del tutto irrealistici che confondono il termine laico con ateo. Quindi è una sentenza benvenuta, specie in questo periodo quaresimale, perché ci rimette davanti alla santa croce di Cristo, ricordandoci che la sua passione, morte e resurrezione ci sono valse la salvezza, la soddisfazione del desiderio di felicità, la vita eterna, così come ci insegna il Santo Padre nella Deus Caritas est: “…La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti – un realismo inaudito…Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo – amore questo nella sua forma più radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo comprende ciò che è stato il punto di partenza: ‘Dio è amore’. È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve definirsi cosa sia l’amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare…”.