Le sezioni unite civili della Cassazione hanno confermato il 12 novembre il decreto dello scorso luglio della Corte d'appello di Milano che aveva dato il via libera alla sospensione dei trattamenti che tengono in vita Eluana Englaro. La giovane donna, che oggi ha 38 anni, è entrata in stato vegetativo nel 1992, in seguito ad un incidente stradale. Qualche anno fa Eluana ha cominciato a invadere le nostre case con la sua storia, con le sue foto risalenti a prima dell’incidente (in cui traspare una giovane avvolta da una lunga chioma di capelli bruni nella serenità poco più che diciassettenne), quando il suo papà ha chiesto di poterle sospendere l’alimentazione. Dopo i contorti passaggi giuridici che ne sono conseguiti, fatti di processi e ricorsi in vari gradi di giudizio, la tragica richiesta del padre da un lato e un dibattimento sulla legittimità della stessa richiesta dall’altro (una breve ricostruzione del percorso giuridico), il caso giudiziario si chiude con questa tragica sentenza che riapre in maniera definitiva la possibilità agghiacciante, legittimandola, che Eluana possa essere lasciata morire di fame e sete… I giudici infatti hanno dichiarato “inammissibile per difetto di legittimazione” il ricorso presentato dal Pubblico Ministero presso la Procura Generale della Corte d'Appello di Milano. Già la decisione della Corte d’appello di Milano dello scorso 9 luglio, quando ha espresso la legittimità a poter sospendere l’alimentazione di Eluana, aveva necessariamente provocato oltre che inquietudine anche un notevole sconcerto. Da più parti era stato immediatamente denunciato il fatto che si trattava di una decisione che non poteva essere accettata oltre che umanamente, neanche giuridicamente, perché presentava equivoci concettuali ed interpretazioni eccessivamente allargate (quando la giustizia pretende di decidere della vita di una persona; siamo forse noi Dio?).
Eppure, nonostante la mobilitazione culturale e sociale questa tragica decisione è stata confermata: alcuni forti, potenti, forse anche credendo erroneamente di esprimere la volontà (ma la volontà soggettiva può evidentemente non coincidere con il bene, la legittimità, la giustizia) di una maggioranza (e chi ha detto che questa si chiama democrazia?) decidono della vita e quindi della morte dei più deboli! Quale differenza sostanziale con il genocidio degli ebrei da parte dei nazisti? Tutto questo senza più la faccia cattiva di Hitler (almeno crediamo, visto che le facce dei giudici che hanno preso questa decisione non le abbiamo viste) ma ben difesi dallo scudo legittimante delle toghe nere. Con l’effetto tremendo non solo di legittimare (che è più di favorire e collaborare) l’uccisione di una ragazza di 38 anni ma soprattutto di aprire la via alla piaga, dagli imprecisabili confini, dell’eutanasia.
In Italia è stata introdotta l’eutanasia
Se è già morta perché farla morire?
Dunque questa sentenza è un fallimento, su tutti i piani. Non si dica che il fallimento è per i cattolici o per i credenti. A fallire è la laicità, col pretesto di difenderla; a fallire è il pluralismo, col pretesto di difenderlo: a fallire è la ragione umana obiettivamente offesa, da ultimo, dai magistrati della Cassazione (Francesco D’Agostino – Avvenire). Ovviamente per chi è leale con se stesso, con la propria ragione, con il proprio cuore, con la propria vita. Altrimenti tutto questo nostro grido addolorato per un così grave consentito sopruso non verrà nemmeno ascoltato da chi ha già stabilito che Eluana è morta. Ma allora perché doverla far morire? Eluana è morta, quel corpo è inerme, quella non è vita, non ci sono segni di vita! Un intero articolo apparso su Repubblica, di Piero Colaprico, dal titolo “Una giornata con Eluana” è infatti tutto intento a dimostrare, nella descrizione di alcuni dettagli più specifici della condizione fisica di Eluana, che la giornata di Eluana non esiste: esiste il «non-mondo» di Eluana, esiste una «non-morta, con gravi handicap». Addirittura lo stesso articolo riferisce che molti utenti si chiedono perché i media continuino a pubblicare le foto di Eluana prima dell'incidente: “Diteci com´è Eluana oggi, perché fate vedere le sue vecchie foto e non mostrate com´è adesso?”. Come a dire “se ce la fate vedere come è ora ci convinciamo tutti che è morta”.
Fatto sta che, in maniera quasi paradossale a metà di questo articolo si legge: “Ogni pomeriggio alle 17 una sacca beige, con dentro un «pappone», un composto di nutrimenti e medicine, viene pompato, attraverso il sondino nasogastrico, direttamente nello stomaco di Eluana, che ha perso la capacità di deglutire, non potrebbe cioè essere imboccata. Questo pasto dura dodici ore. Poi viene sostituito dalla sacca dell´acqua, per l´idratazione. Per evitare le piaghe - e non se n´è mai formata una, tanto è efficiente l´amore di suor Rosangela - Eluana viene spostata dal letto. E qua non c´è il paranco, come nell´ospedale, e non ci sono infermieri che protestano per la fatica: questa religiosa con spalle da artigliere l´abbranca, circonda con le sue forme e la sua forza quel fragile essere dalla testa ciondolante, mette Eluana a sedere sulla carrozzella, per un paio d´ore circa. Quando non ci sono giornalisti e fotografi (sarebbe vietato fotografare e pubblicare chi è incapace di intendere e volere, ma non si sa mai), la trasporta nel piccolo giardino, con panchine di pietra e fiori profumati”.
Sarebbe alquanto ragionevole da parte dell’autore chiedersi come è possibile un così “efficiente amore” di suor Rosangela tanto da evitare ad Eluana quelle tremende piaghe da decubito che tutti sanno con quanta facilità si formano nel corpo di una persona inerme…. Cosa sta amando suor Rosangela, chi sta servendo? Un morto? 14 anni dietro un morto? Sarebbe una folle!
Oltretutto imamginiamo di essere presenti a questa scena descritta in questo tratto di articolo, noi insieme a uno dei nostri figli… di 4, 5 o 6 anni e anche più. Immaginiamo di stare lì di fronte ad Eluana accompagnata in giardino su una sedie a rotelle, costantemente trattenuta per evitare che ciondoli e inevitabilmente cada in avanti, assente nello sguardo, immobile nei movimenti, estranea alla realtà e ai rapporti, avvolta nel silenzio. Nostro figlio, guardandola attentamente, forse accigliando anche lo sguardo per capire meglio, per decifrare quell”immagine” che non ha mai visto prima, fissando in maniera imbarazzante quel volto, pensandoci un po’ su… quasi sicuramente rompendo il silenzio, comincerà a chiederci: ma perché quella ragazza non cammina, ma perché non parla, ma perché non sorride?… Ma non si sognerebbe mai di dire che è una “non morta” e che sarebbe meglio per lei e per tutti che non ci fosse più. Non lo farebbe mai: la sua semplicità di bambino di fronte alla realtà, la sua purezza, la sua piccolezza, gli consentirebbero, ne siamo certi, di attraversare la realtà per quella che è senza frapporre nulla, nessun pregiudizio, preconcetto, idea o ideologia di fronte a ciò che semplicemente guarderebbe con occhi da bambino: una ragazza, semplicemente una donna. È la grandezza dei piccoli e di chi si fa piccolo come loro perché semplicemente si fa uomo, si riconosce uomo e quindi dato, e quindi creato e quindi figlio di un Padre da cui siamo venuti e verso il Quale stiamo andando. È la grandezza dei poveri, perché i bambini in fondo non sono ancora insozzati dalle “ricchezze” che soffocano l’uomo e da cui spesso ci lasciamo soffocare, dalla mentalità di un potere che vuole convincerci che tutto è relativo, tutto è possibile, tutto è opinabile, che vuole indurci a pensare che ciò che appare è ciò che unicamente vale. È la grandezza dei poveri in grado di frantumare in un attimo tutta la scienza e tutta la giurisprudenza, o almeno quella che si erge onnipotente sull’uomo, sulla sua vita, sulla sua dignità, sul suo destino. Quel bambino, ricevuta una risposta adeguata alla sua domanda adeguata – Eluana non parla, non cammina, non sorride perché è ammalata – soddisfatto, se ne tornerebbe a giocherellare così come stava facendo 5 minuti prima di fare questo nuovo incontro. E vogliamo essere noi, mamme papà zii insegnanti, a doverlo convincere del contrario?! Come gli renderemo ragione di questa sentenza di morte?
Il consenso, la coscienza, l’autodeterminazione
Pietà e chiarezza
Questo il comunicato della CEI dopo la conferma definitiva della sentenza: ”La vita di Eluana Englaro, al cui dramma si è appassionata la coscienza del nostro Paese, è ormai incamminata verso la morte. Mentre partecipiamo con delicato rispetto e profonda compassione alla sua dolorosa vicenda, non possiamo fare a meno di richiamare alla loro responsabilità morale quanti si stanno adoperando per porre termine alla sua esistenza. La convinzione che l’alimentazione e l’idratazione non costituiscano una forma di accanimento terapeutico è stata più volte, anche di recente, resa manifesta dalla Chiesa e non può che essere riaffermata anche in questo tragico momento. In tale contesto si fa più urgente riflettere sulla convenienza di una legge sulla fine della vita, dai contenuti inequivocabili nella salvaguardia della vita stessa, da elaborare con il più ampio consenso possibile da parte di tutti gli uomini di buona volontà”.
Mons. Rino Fisichella, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha immediatamente affermato, dopo l’ultima sentenza della Cassazione, che questa è “una sconfitta per tutti”. Innanzitutto per il diritto, perché “non si può sostenere che lo stato vegetativo sia irreversibile. Nessuno può stabilire, neppure gli scienziati di fama mondiale, che lo stato vegetale sia irreversibile. La sentenza parla invece di «irreversibilità», aprendo di fatto le porte all'eutanasia”. In secondo luogo è una sconfitta per la libertà, perché “togliere acqua e cibo a una persona non è libertà”. Mons. Fisichella ha inoltre dichiarato di essere “ancora più profondamente convinto che il popolo italiano, verificando il dramma che si sta per compiere sotto i propri occhi - perché credo che la maggioranza del popolo italiano non condivida quanto sta accadendo – si convincerà ancora di più a formulare una legge il più possibile condivisa proprio perché venga evitata qualsiasi forma di eutanasia attiva o passiva nel nostro Paese”.
Infatti, lo stato vegetativo non è equiparabile alla morte cerebrale. Gli stati vegetativi non si possono definire scientificamente permanenti.
Ormai non è più accettato dalla comunità scientifica la definizione di “permanente” perché non si sa in realtà quando e come lo stato vegetativo possa permanere. Non si sa se c’è la possibilità di ripresa o no. Non lo si sa neanche a distanza di tantissimi anni. Come dimostra anche la storia di Salvatore Crisafulli.
Una legge che regoli la morte?!?
Rispondendo a una domanda circa l’eventualità di una legge che regoli la morte, Eugenia Roccella Sottosegretario al Welfare, lo scorso agosto aveva sottolineato: “Pensavo che l’articolo della Costituzione sulla libertà di cura garantisse sufficientemente la libertà personale e che non ci fosse bisogno di una legge. Perché ogni morte è unica, è una situazione irriducibile ad una norma che ha bisogno di uno standard. Quindi è difficile far rientrare un avvenimento così singolare dentro una normativa”. “Ero e sono ancora reticente nei confronti delle norme che regolano la vita e la morte” aveva sottolineato la Roccella, aggiugendo però che “questo non vuol dire che non si possa fare una buona legge. Una legge garantista che metta paletti e che assicuri sia la libertà del paziente che la professionalità del medico”. Una legge, aveva puntualizzato, “che garantisca e salvaguardi la relazione medico-paziente e la difesa della vita. Ovviamente una legge che non riconosca la legittimità né ad uccidere né a suicidarsi”.
Il Cardinale Angelo Bagnasco già nel corso della prolusione al Consiglio Nazionale della CEI, svolta a Roma il 22 settembre, aveva sottolineato: “si è imposta una riflessione nuova da parte del Parlamento nazionale, sollecitato a varare, si spera col concorso più ampio, una legge sul fine vita che – questa l’attesa − riconoscendo valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita, dia nello stesso tempo tutte le garanzie sulla presa in carico dell’ammalato, e sul rapporto fiduciario tra lo stesso e il medico, cui è riconosciuto il compito – fuori da gabbie burocratiche − di vagliare i singoli atti concreti e decidere in scienza e coscienza”. Dopo aver ribadito che l’alimentazione e l’idratazione, sono universalmente riconosciuti come “trattamenti di sostegno vitale, qualitativamente diversi dalle terapie sanitarie”, aveva anche precisato che si tratta di “una salvaguardia indispensabile, questa, se non si vuole aprire il varco a esiti agghiaccianti anche per altri gruppi di malati non in grado di esprimere deliberatamente ciò che vogliono per se stessi”. Per “volgersi al bene concreto generale”, il Presidente della CEI aveva anche auspicato di evitare “inutili forme di accanimento terapeutico” e soprattutto non legittimare “forme mascherate di eutanasia, in particolare di abbandono terapeutico”. “Sia invece esaltato ancora una volta – aveva continuato – quel favor vitae che a partire dalla Costituzione contraddistingue l’ordinamento italiano”. Perchè “la dignità non viene meno, quali che siano le contingenze o le menomazioni o le infermità che possono colpire nel corso di un’esistenza”.
Oggi, dopo la terribile sentenza queste parole ci sembrano ancor più urgenti. Ma non devono essere interpretate. Infatti perché questo possa accadere occorre che la congiuntura politica sia tale da permettere di ottenere un successo, una legge rispettosa del diritto naturale. La negoziazione non sia sul principio che non è negoziabile della sacralità della vita. Quello non deve essere toccato, da nessuno. Perché in realtà qualcuno ha fatto notare che il vuoto legislativo non esiste se non nella testa di chi vuole l'eutanasia. Infatti l'articolo 575 del codice penale punisce chiunque cagiona la morte di un uomo; l'articolo 579 sanziona l'omicidio del consenziente; l'articolo 580 punisce severamente chi “determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione”. Chi parla di vuoto legislativo lo fa dunque appositamente per scalzare questi principi chiari e inequivocabili.
Eppure Eluana verrà lasciata legittimamente morire.
Si legge infatti in un comunicato del Comitato Verità e Vita: “ Non si evita l'accanimento terapeutico con il testamento biologico: al contrario questo strumento rende il concetto di accanimento terapeutico del tutto soggettivo, slegato dalla condizione di malato terminale e permetterà ad altri di decidere se quel malato (l'anziano in stato di demenza senile, il giovane in stato vegetativo persistente e così via) è sottoposto a quello che essi ritengono essere accanimento terapeutico. 2 Le sentenze che legittimano l'uccisione di innocenti come Eluana Englaro necessitano di una sola risposta dal Parlamento: è vietato uccidere, sia il paziente incosciente, sia il paziente consapevole. 3 Riconoscere valore alle dichiarazioni anticipate di trattamento che impongono la cessazione di cure non ridurrà affatto l'accanimento terapeutico, ma renderà lecito quello che fino a questo momento è illecito, l'omicidio del consenziente.” .
Speriamo e preghiamo che si agisca per far sì che Eluana viva
Cosa dobbiamo aspettarci adesso. Cosa ci auguriamo? Rispondiamo con le parole di Eugenia Roccella: “Chiunque voglia applicare la sentenza lo fa attraverso un’assunzione di responsabilità personale. Vorrei sottolineare, però, che non c’è obbligo per nessuno. Prima di tutto ci può ripensare il padre. Tanto più che ormai ha vinto la sua battaglia. Non è obbligato il medico, non è obbligata la struttura sanitaria pubblica, né quella privata, né gli hospice, né le Regioni che amministrano la Sanità pubblica. A questo punto ci appelliamo alla responsabilità di tutti i soggetti. Perché è la prima volta che una cosa del genera accade. E speriamo (e preghiamo ndr) che si agisca per far sì che Eluana viva”.
Nessuno chiede al papà di farcela, tanto meno da solo. Nessuno si permette di ridurre il dolore che questa tremenda condizione di Eluana ha suscitato al suo cuore e a quello di tutti i famigliari. Gli chiediamo di non ostinarsi nel suo dolore e di non chiudersi alla vita. Non ce la deve fare se non ce la fa ma si lasci aiutare, lo può fare qualcun altro. “Se c’è chi la considera morta, lasci che Eluana resti con noi che la sentiamo viva”. La lasci con le suore di Lecco che la sentono viva da 14 anni. Non è una colpa, non è un’umiliazione! Signor Beppino si lasci accompagnare e portare da questa presenza reale, concreta, amorevole, gratuita e silenziosa che non chiede nulla in cambio e che vuole solo amare Eluana. Amore, solo amore. E “Omnia vincit Amor”!