Il 5 settembre 1914, ben cento anni fa, moriva, durante la prima guerra mondiale, a Villeroy, il poeta francese Charles Peguy, colpito in fronte il primo giorno della battaglia della Marna, mentre combatteva eroicamente per la patria.
La sua fede cristiana, carnale e appassionata, è passata nelle sue opere letterarie e ha raggiunto anche noi, grazie all’insegnamento di Nicolino che ce lo ha fatto conoscere e amare nel nostro cammino di fede.
Nel desiderio di fare memoria di questo grande uomo cristiano nei cento anni dalla sua nascita in cielo abbiamo proposto il 13 dicembre, in Ancona, un percorso dal titolo “Nel cuore dell’Avvento con Charles Peguy”, fatto di brani tratti dai suoi scritti accompagnati da canti di musica sacra, e il 20 dicembre a San Benedetto del Tronto, un Incontro con Pierluigi Colognesi, grande studioso della vita e delle opere di Peguy.
La sua vita
Charles Peguy nasce il 7 gennaio 1873 a Orleans, città allora circondata dalla campagna, dove vive la gente semplice, un “popolo” al quale Peguy sempre si vanterà di appartenere.
Il padre, Desire', falegname, muore pochi mesi dopo la nascita del figlio in seguito alle ferite riportate nella guerra contro i prussiani. La madre, per sostenere la famiglia, impara il mestiere di impagliatrice di sedie, che presto insegnerà al piccolo Charles.
A 7 anni va a scuola. Charles è un allievo studioso e attento, e nel 1884 ottiene la licenza elementare. Con una borsa di studio municipale, il giovane va al liceo inferiore, e ne esce brillantemente. Nel 1891, con un’altra borsa di studio, passa al liceo Lakanal di Parigi; si presenta al concorso per l’ammissione all’università, ma viene bocciato, e allora decide di fare il servizio militare.
Nell’agosto 1894, però, Peguy è finalmente ammesso all’università (Scuola normale superiore), ove ad ottobre acquisisce la licenza in lettere, mentre ad agosto 1895 il baccalaureato in scienze.
Intanto fa incontri importanti, conosce il socialista Herr, il filosofo Bergson. Ma dopo due anni Peguy lascia l’università e rientra ad Orleans senza laurearsi: ha un’opera da compiere, letteraria e sociale, e si sente già sufficientemente preparato. Comincia a scrivere “Giovanna d’Arco”, che tra documentazione e stesure lo impegnerà per ben 3 anni.
Il 15 luglio 1896 muore l’amico prediletto Marcel Baudouin; Peguy decide di mettersi al fianco di sua madre e della sorella, Charlotte, che sposerà nell’ottobre 1897. Da lei avrà quattro figli: Marcel (1898), Charlotte (1901), Pierre (1903) e Charles-Pierre (1915, nato dopo la sua morte).
Nel dicembre 1897 il dramma “Giovanna d’Arco” viene pubblicato. Ne vende una sola copia, la critica lo ignora.
Ciò che anima il socialista Peguy è il desiderio e la volontà di una salvezza radicale, integrale ed estesa a tutti; si identifica molto in Giovanna d’Arco, in quanto in lei il bisogno di salvezza è altrettanto assoluto che nel giovane studente rivoluzionario.
Peguy si crede socialista, ma non è un politico, è un mistico, e abbandonerà il partito con delusione e sdegno, quando s’accorgerà che i partiti e gli uomini a fianco dei quali impegna tutte le sue energie per la realizzazione della “Repubblica socialista universale” vogliono sì trasformare gli altri, ma non se stessi, accettano di mettere a fuoco le vecchie strutture borghesi di oppressione, ma non le nuove strutture socialiste di oppressione.
Il 1 maggio 1898 a Parigi è socio fondatore della “Libreria socialista Bellais”, in cui investe la piccola dote della moglie, ma in pochi mesi tutto finisce.
Solo con la fondazione del giornale “Les Cahiers de la Quinzaine”, di cui fu autore, direttore, segretario e finanziatore squattrinato, Peguy riesce a trovare la sua strada editoriale, portata avanti per 14 anni, senza denaro, quasi da solo, fino all’ultimo giorno di vita.
I “Cahiers”, che escono, appunto, ogni 15 giorni, il primo il 5 gennaio 1900 per un totale di 229 numeri. E' un’iniziativa culturale all’insegna socialista e dreyfusista all’inizio, sostenuta dai soli abbonati, e il prezzo dell’abbonamento è lasciato al giudizio del lettore. Sottoposti a un implacabile boicottaggio, i “Cahiers” sopravvivono grazie a una rete di amicizie fedeli ma ristrette.
La “conversione”
Peguy ha beneficiato, durante la sua infanzia, di una formazione cristiana seria e costante. Riceve i primi rudimenti di catechismo alla scuola primaria dall’autunno 1879.
Questa istruzione religiosa si prolunga fino al 1890-91, data della conclusione degli studi superiori al liceo di Orleans.
E' ben conosciuto il suo culto per la Vergine e i santi. Meno conosciuto e' il suo culto degli angeli.
Apparentemente sembra abbandonare la sua fede in un tratto della sua vita, ma dopo essersi staccato dal socialismo ufficiale e da quei vecchi amici che, a parer suo, hanno abbandonato il comune ideale, torna a quella fede, da cui intimamente non si è mai allontanato. Non è una vera e propria “conversione”: “Io non sono un convertito. Sono sempre stato cattolico”, confida a Rene Johannet. E' del settembre 1908 la famosa frase detta all’amico Lotte dal fondo dell’abbattimento, malato, a letto: “Non ti ho detto tutto. Ho ritrovato la fede, sono cattolico”.
E Peguy torna alla sua Giovanna d’Arco, perché sente il bisogno di riscrivere la sua prima opera, con parole nuove: dal “Dramma” nasce il “Mistero”; ma “Il mistero della carità di Giovanna d’Arco”, pubblicato nei “Cahiers” il 16 gennaio 1909, cade rapidamente nel silenzio del pubblico.
Purtroppo anche gli altri due Misteri “Il Portico del mistero della seconda virtù” (22 ottobre 1911) e “Il mistero dei Santi Innocenti” (24 marzo 1912) non si vendono e il numero degli abbonati scende.
Peguy attraversa un periodo veramente oscuro e difficile, arriva ad innamorarsi di una giovane donna, sorella di un collaboratore; ma saprà restare fedele a se stesso e alla sua famiglia.
Gli amici di un tempo lo lasciano, i cattolici non lo riconoscono come tale perché, con suo enorme dolore, non può avvicinarsi ai sacramenti in quanto sposato civilmente e senza aver fatto battezzare i figli; difatti la moglie, atea, aveva opposto il suo rifiuto, ma anche lei, dopo la morte di Peguy, arriverà per grazia alla fede.
E' dunque un cattolico singolare, ma innamorato di Dio: risolve i suoi problemi affidandosi a Lui, getta i suoi figli nelle braccia di Maria. Quando il figlio minore si ammala, fa voto di andare in pellegrinaggio a Chartres se il bambino si salva. Pierre guarisce, e in estate (giugno 1912) Peguy si mette in cammino: 144 km in tre giorni, fino alla cattedrale di Chartres.
Nel dicembre 1913 esce un altro testo colossale: il poema “Eve”, 7644 versi. L’opera sconcerta il pubblico per l’ampiezza e i temi, ma incontra solo il silenzio della critica.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, Peguy si offre volontario e va coraggiosamente a morire sul fronte.
Un uomo di Dio
Dice di Peguy il famoso teologo H.U. von Balthasar: “Tutta l’arte e la teologia di Peguy sfocia sempre più in preghiera... E' la forma della teologia come dialogo trinitario, un dialogo che prima di Peguy non è mai stato ideato e in cui il poeta ha potuto avventurarsi solo grazie a uno stile di popolare semplicità che evita ogni apparenza di elevatezza, ma che mai neppure per un attimo degenera in piaggeria o in falsa familiarità. Solo una fede nello Spirito Santo può far parlare Dio così... Nella comunione dei santi le missioni stanno le une nelle altre e si danno spinta e rilievo a vicenda. Ma le missioni dei poeti - in quanto missioni dei peccatori che nella loro opera si consacrano a un’idea di santità e con il loro servizio la rappresentano - sono allora come riverberi particolari che irradiano dall’ordine e dalla bellezza dei santi, sono nella linea della bellezza teologica, la loro testimonianza per il presente”.
In un articolo di Tempi dal titolo ‘Un uomo che visse all’altezza dell’Ideale: Charles Péguy’ si sottolinea il fatto che “Péguy era sposato, aveva figli, e dunque una famiglia da mantenere, ma per l’Ideale si dà tutto, si attraversa tutto, si patisce tutto, anche la dolorosissima esclusione dai Sacramenti sofferta dopo la conversione al cattolicesimo, in quanto sposato solo civilmente (né la moglie avrebbe accettato un matrimonio religioso). Questo, e molto altro, fu Péguy.
L’impressione è che oggi occorrano uomini così, l’impressione è che senza uomini così non si va da nessuna parte. Uomini così sorgono come figli dell’Ideale, e d’un Ideale che abbia la forma vissuta d’una visibile, gratuita e vera Amicizia”.
Non si può non riconoscere come, cento anni dopo, la sua esperienza del fatto cristiano trova assonanze, affinità sorprendenti nella predicazione, nello sguardo e nella sensibilità pastorale di Papa Francesco, che più volte ci ha detto che “il luogo privilegiato per l’incontro con Gesù Cristo sono i propri peccati”… perché “la forza della Parola di Dio è in quell’incontro tra i miei peccati e il sangue di Cristo, che mi salva. E quando non c’è quell’incontro, non c’è forza nel cuore”.
Queste parole del Papa non sarebbero certo sfuggite a Charles Péguy.
“Le cure, i successi e i salvataggi della grazia” si legge in Peguy “sono meravigliosi, e si è visto vincere, si è visto salvare quel che era (come) perduto”. Perché “le peggiori miserie, le peggiori grettezze, le turpitudini e i crimini, anche il peccato, spesso sono falle nell’armatura dell’uomo, falle della corazza, da dove la grazia può penetrare nella durezza dell’uomo”. Mentre “sulla corazza inorganica dell’abitudine tutto scivola, ogni spada ha la punta smussata”. Così, notava Péguy più di un secolo fa, “la gente perbene, quelli che amano sentirsi chiamare così, non hanno falle nell’armatura, non sono feriti”. Non hanno “quell’ingresso per la grazia che è essenzialmente il peccato”. In loro, anche la morale intesa come capacità di coerenza autosufficiente diventa come “uno strato che rende l’uomo impermeabile alla grazia”. Perché “neanche la carità di Dio medica chi non ha piaghe”. E “colui che non è mai caduto non sarà mai rialzato; e colui che non è sporco non sarà mai asciugato”.
Ringraziamo il Signore per averci donato un amico, un testimone credibile di cosa vuole dire amare veramente Gesù, anche dentro molteplici avversità e cadute, malattie e solitudine, tanto da contagiare chiunque lo incontri o legga i suoi scritti. Un uomo, un peccatore, che però ha permesso alla Grazia di entrare nella sua vita, di fargli spazio, abbandonandosi alla volontà di Dio, come un bimbo in braccio a sua madre.