In quest ultimi gorni è stato da molti menzionato e citato il messaggio, datato 7 novembre, che Papa Francesco ha inviato nell'occasione del meeting regionale europeo della "World Medical Association" promosso in collaborazione con la "Pontificia Accademia per la Vita" sulle questioni del "fine vita". Le parole di Papa Francesco sono state indicate da molti articoli e servizi giornalistici come una novità e un segnale di apertura. Ma a che cosa?... In realtà proprio all'inizio del Messaggio il Papa ristabilisce i capisaldi della dottrina in materia di "fine vita" facendo riferimento ad un Discorso di Pio XII di 60 anni fa, ad un Documento della Congregazione della Dottrina della Fede del 1980 e al Catechismo della Chiesa Cattolica. Perchè allora questo effetto novità con cui è stato recepito il Messaggio del Santo Padre? Forse perchè, come ha scritto qualcuno "decenni di contrapposizioni ideologiche sul fine vita hanno messo in ombra, fino quasi a farlo dimenticare, il magistero contrario all’accanimento terapeutico". Sì perchè il messaggio di Papa Francesco è un essenzale chiarissmo "no" all'eutanasa tanto quanto però all'accanimento terapeutico. Perchè, scrive il Papa: "La medicina ha (...) sviluppato una sempre maggiore capacità terapeutica, che ha permesso di sconfiggere molte malattie, di migliorare la salute e prolungare il tempo della vita. Essa ha dunque svolto un ruolo molto positivo. D’altra parte, oggi è anche possibile protrarre la vita in condizioni che in passato non si potevano neanche immaginare. Gli interventi sul corpo umano diventano sempre più efficaci, ma non sempre sono risolutivi: possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute. Occorre quindi un supplemento di saggezza, perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona".
"NO" all'eutanasia e "NO" all'accanimento terapeutico
Senza possibili fraintendimenti il Santo Padre ribadisce dunque che è moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico detto “proporzionalità delle cure”. Si legge: "È una scelta che assume responsabilmente il limite della condizione umana mortale, nel momento in cui prende atto di non poterlo più contrastare. «Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire», come specifica il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2278). Questa differenza di prospettiva restituisce umanità all’accompagnamento del morire, senza aprire giustificazioni alla soppressione del vivere. Vediamo bene, infatti, che non attivare mezzi sproporzionati o sospenderne l’uso, equivale a evitare l’accanimento terapeutico, cioè compiere un’azione che ha un significato etico completamente diverso dall’eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte".
Proporzionalità delle cure
Il punto chiave dunque si può individuare nel concetto di "proporzionalità delle cure" che tecnicamente è stata definita da Paolo Benanti, professore alla Pontificia Università Gregoriana, in questo modo: "una terapia si definisce proporzionata quando si riveli tecnicamente corretta sotto il profilo clinico e giustamente equilibrata tra i due eccessi dell’accanimento terapeutico e dell’abbandono terapeutico e soprattutto commisurata, per quanto detto in precedenza, alle esigenze spirituali dei soggetti ed alla dignità della persona nel rispetto della sua personalità e della sua volontà". Ciò consente di giungere, sia ben chiaro, ad una decisione che si qualifica moralmente come rinuncia all’“accanimento terapeutico”. “Certo, quando ci immergiamo nella concretezza delle congiunture drammatiche e nella pratica clinica - continua il Santo Padre - i fattori che entrano in gioco sono spesso difficili da valutare. Per stabilire se un intervento medico clinicamente appropriato sia effettivamente proporzionato non è sufficiente applicare in modo meccanico una regola generale. Occorre un attento discernimento, che consideri l’oggetto morale, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. […] Lo dice con chiarezza il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità» (ibid.). È anzitutto lui che ha titolo, ovviamente in dialogo con i medici, di valutare i trattamenti che gli vengono proposti e giudicare sulla loro effettiva proporzionalità nella situazione concreta, rendendone doverosa la rinuncia qualora tale proporzionalità fosse riconosciuta mancante. È una valutazione non facile nell’odierna attività medica, in cui la relazione terapeutica si fa sempre più frammentata e l’atto medico deve assumere molteplici mediazioni, richieste dal contesto tecnologico e organizzativo”.
Questione etica
E qui si pone tutta la difficoltà etica: comprendere quali cure siano proporzionate e quali no. Difficoltà che non può prescindere dal rapporto e dalle relazioni umane (professonali o famigliari) coinvolte nell'ambito di certe decisoni. Ecco che il Papa infatti scrive: "Occorre dunque tenere in assoluta evidenza il comandamento supremo della prossimità responsabile, come chiaramente appare nella pagina evangelica del Samaritano (cfr Luca 10, 25-37). Si potrebbe dire che l’imperativo categorico è quello di non abbandonare mai il malato. L’angoscia della condizione che ci porta sulla soglia del limite umano supremo, e le scelte difficili che occorre assumere, ci espongono alla tentazione di sottrarci alla relazione. Ma questo è il luogo in cui ci vengono chiesti amore e vicinanza, più di ogni altra cosa, riconoscendo il limite che tutti ci accumuna e proprio lì rendendoci solidali. Ciascuno dia amore nel modo che gli è proprio: come padre o madre, figlio o figlia, fratello o sorella, medico o infermiere. Ma lo dia! E se sappiamo che della malattia non possiamo sempre garantire la guarigione, della persona vivente possiamo e dobbiamo sempre prenderci cura: senza abbreviare noi stessi la sua vita, ma anche senza accanirci inutilmente contro la sua morte. In questa linea si muove la medicina palliativa. Essa riveste una grande importanza anche sul piano culturale, impegnandosi a combattere tutto ciò che rende il morire più angoscioso e sofferto, ossia il dolore e la solitudine". E se qualcuno ha provato a strumentalizzare le parole del Papa a sostegno dell'approvazione della proposta di legge in Italia sulle dichiarazioni anticipate, basta avere l'umiltà e la semplicità di leggersi il breve scritto di Francesco per prendere le dovute distanze da tali e non neutrali riduzioni.