Roma, Galleria Doria Pamphilj
(1595, 135.5 x 166.5)
Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”. Giuseppe destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto. (Mt 2,13-14)
La commissione di quest’opera è piuttosto incerta, sappiamo che entrò a far parte delle collezioni di Donna Olimpia Aldobrandini; non sono noti documenti sull’incarico, ma il quadro era presente nell’inventario dei beni della famiglia, redatto nel 1611. Il tema trattato è quello della fuga in Egitto, anzi, fissa un particolare del faticoso viaggio: il riposo. In primo piano un angelo, con le spalle alate verso l’osservatore, suona al violino lo spartito retto da san Giuseppe; sulla destra Maria dorme con la testa reclinata sul capo del piccolo Gesù. Sullo sfondo il paesaggio fluviale ha le caratteristiche della campagna romana con una piccola quercia, un ramo di rosa non ancora in fiore e una canna, non è raffigurata l’esotica vegetazione di palme e datteri che caratterizza la vegetazione del lungo Nilo, sempre presente quando si descrive quest’episodio evangelico; Caravaggio decide di non inserirla forse perché non poteva rappresentarla “dal vero”. L’opera prende ispirazione dal Cantico dei Cantici, un poema amoroso che narra l’amore dello sposo per la sposa e, in alternanza, della sposa per lo sposo. Sullo spartito retto da san Giuseppe, perfettamente eseguibile, è stato riconosciuto un componimento del musicista Noël Bauldewijn che riprende alcuni versi del testo sacro. Quindi i canti sembrano essere rivolti a Maria che porta la Salvezza all’umanità intera partorendo il Mistero; Maria è dunque la sposa cercata e amata dallo Sposo, cioè Dio stesso. Maria diventa così simbolo della Chiesa e rappresentativa di tutta l’umanità, corteggiata dall’Amore Divino, fattosi carne nell’Amore di Gesù. Egli ricerca continuamente il nostro amore, proprio come lo sposo fa con la sua sposa. La Vergine, addormentata, abbraccia e protegge teneramente il Figlio-Sposo celeste. Anche questo particolare richiamerebbe il Cantico dei Cantici: “Io dormo, ma il mio cuore veglia” (Ct. 5:2), e “Ponimi come un sigillo sopra il tuo cuore” (Ct. 8:6).
Il violino suonato dall'angelo è stato dipinto con una corda spezzata che starebbe ad indicare, simbolicamente, la precarietà e l’aridità della vita terrena (simboleggiata da Giuseppe) rispetto all'immortale rigogliosa vita celeste (simboleggiata dalla Vergine e il Bambino). Si tratta di un'allegoria comune nell'iconografia musicale rinascimentale, essa è infatti presente nella S. Cecilia di Raffaello del 1515, dove sono raffigurati strumenti musicali rotti ai piedi della Santa.
Una nota particolarmente significativa è data al paesaggio, uno tra i rarissimi paesaggi che l’artista dipinge: esso appare chiuso dietro san Giuseppe, l’effetto è dato dall’asino che chiude dietro lo scenario come una parete, e di cui è ben visibile l’occhio accanto alla testa del santo; ai suoi piedi ci sono sassi e foglie secche, simbolo della durezza della vita, della sua caducità e anticipatori della morte. Dall’altro lato il paesaggio si apre con un’ampia visuale, intorno alla Madonna e a Gesù la vegetazione diventa viva e florida e la luce illumina i loro volti, quasi trasfigurandoli. Più in ombra è la figura di Giuseppe, come metafora di ogni uomo chiamato ad accogliere la Grazia che è entrata nel mondoa far nuove tutte le coseper mezzo del Figlio Gesù.
Motetto di Noël Bauldewijn tratto dal capitolo 7 del Cantico dei Cantici
Quampulchra es
Quampulchra es, et quam decora, carissima, in deliciis! Statura tua assimilata est palmae, et tubera tua botris. Caput tuum est Carmelus, collumtaumsicutturris eburnea.
Veni, dilecte mi, egrediamur in agrum; videamus si floresfructusparturiunt, si floruerunt mala punica; ibidabotibi ubera mea.
Traduzione
Quanto sei bella e quanto vaga, o mia carissima prediletta! La tua statura assomiglia a una palma, e i tuoi seni a grappoli d'uva. Il tuo capo è simile al monte Carmelo, il tuo collo a una torre eburnea. »
Vieni o mio diletto, usciamo nei campi, vediamo se i fiori hanno generato i frutti, se sono fioriti i melograni. Là ti darò il mio seno.