L’obiezione di coscienza indica la possibilità di rifiutare di ottemperare a un dovere, imposto dall'ordinamento giuridico e contrario alle convinzioni di una persona, attuando il principio della libertà di coscienza. Il riconoscimento dell'obiezione di coscienza nella legislazione italiana è avvenuto per la prima volta con la Legge 15 dicembre 1972, n. 772, che lo ha introdotto per il servizio militare di leva. Da quel momento si è aperta la possibilità di rifiutare il servizio militare per motivi morali, religiosi e filosofici sostituendolo con un servizio non armato; in precedenza non ottemperare al servizio militare obbligatorio significava che gli obiettori di coscienza, in quanto “disertori”, venivano reclusi nelle carceri o in ospedali psichiatrici militari, per poi perdere molti dei propri diritti civili. La legge ha sancito dunque il pieno riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza quale diritto del cittadino: un riconoscimento che è stato decisivo, con tutto quello che storicamente ha comportato a danno di chi si è battuto per ottenerlo, per distinguere appunto l’obiezione di coscienza dalla cosiddetta “resistenza”, che nega la validità della legge dello Stato e della legittimità dell’autorità statale, e anche dalla “disobbedienza civile”, considerata come un fenomeno collettivo che ha lo scopo di evidenziare l’ingiustizia di una legge per indurre il legislatore a riformarla.
L'esercizio del diritto all'obiezione è possibile oggi in Italia anche in altri ambiti come quello scientifico, contro la sperimentazione animale, e medico, in relazione all'interruzione volontaria della gravidanza (IVG). Ne abbiamo dialogato con la nostra amica Katia Bellucci, dottoressa ginecologa, prima in varie aziende sanitarie della Regione Marche e ora presso il Distretto Sanitario di Fabriano.