Nello spettacolo “Il Desiderio. Omaggio a Giorgio Gaber” il brano “L’elastico” è preceduto da un monologo in cui un uomo comune dichiara di avere tutto sotto controllo per non aver paura di niente. Tutto ha previsto nella sua vita, fin da bambino quando, andando a scuola, doveva confrontarsi con situazioni spiacevoli. Allora tornava a casa e si costruiva una “casella”, cioè una soluzione per “sapere cosa fare” in una determinata situazione. Via via, crescendo, le situazioni sono aumentate di intensità e numero e così anche le caselle. Tutto viene così previsto, valutato, organizzato in una sorta di “bignami dell’uomo”, perché nulla possa prenderlo alla sprovvista. Finché non gli accade un sogno pseudo-reale, strano e imprevedibile. Ma quello è solo un sogno, giustificando, così, l’inevitabile disarmante impaccio con cui si deve confrontare. Perché nella vita normale, invece, lui è a posto.
Inizia il brano in cui l’elastico diventa la metafora della nostra testa che tentiamo di controllare, ma che sfugge ad ogni più ferreo governo. Il click rimanda ad una seduta psichiatrica che fino in fondo sembra non rispondere a questo disagio nei confronti della realtà, ad un “me” che sfugge al nostro controllo fino a generare uno “schianto” nell’immagine di un “bambino spezzato”, di un sentirsi schiacciato da una folla incontrollata, di una sospensione nel vuoto esistenziale da cui si teme di cadere e morire, dal sentirsi come intrappolati in una bottiglia. Sono immagini slegate tra loro che rimandano alla nostra incapacità di affrontare il reale per quello che è, con tutte le situazioni con cui ci dobbiamo confrontare. E che possiamo anche tentare di controllare e prevedere in tutti modi, ma non saremmo mai capaci di gestire fino in fondo: ci sarà sempre “qualcosa che sfugge” al nostro controllo.
Il punto è comprendere chi può metterci nella condizione di stare di fronte alla realtà, così come è, con tutte le sue imprevedibili alternative, da uomini e donne certi, pieni di speranza e di fiducia. A volte basta solo qualcuno che possa ascoltarci, gratuitamente, quale segno di un abbraccio più grande. “Sono io, non abbiate paura”: “Ecco quello che abbiamo bisogno di incontrare, di sentire e di vedere, come un bambino perso, smarrito e pieno di paura ha bisogno di sentire la voce della mamma e poi di vedere la sua presenza che gli viene incontro per stringerlo forte a sé. Non cambiano le circostanze, non diminuisce il dramma, non si placa la furia delle onde che si abbattono sulla vita. Ma il nostro cuore sente di essere dentro una presa e un abbraccio più forte dei flutti e dei venti contrari, che lo rendono certo e capace di poter camminare e affrontare tutto”. (Nicolino Pompei)