La proposta di legge sullo ius soli ha creato in Italia non poche polemiche sia in ambito politico sia in ambito sociale, specie da parte di chi ne ha voluto dare una lettura meramente strumentale. La prova di ciò non è stata solo che tale proposta approvata dalla Camera nel 2015 è rimasta parcheggiata lì per poi arrivare in Senato a giugno 2017, ma anche che al momento di essere votata in Senato ha trovato un altro stop. In particolare sabato 23 dicembre, nell’ultima seduta prima della pausa natalizia, dopo l’approvazione della legge di bilancio, è mancato il numero legale al Senato per la votazione sullo ius soli. A quel punto l’inizio della discussione della proposta è stato rimandato al 9 gennaio, peccato però che le Camere sono state sciolte il 28 dicembre per andare a elezioni il prossimo marzo, e pertanto lo ius soli non potrà, per ora, tornare in aula per essere approvato.
Il dibattito sull’approvazione ha causato numerose polemiche, ad esempio da parte di chi vede nello ius soli una possibile minaccia all’identità culturale italiana o teme un aumento vertiginoso delle richieste di cittadinanza. In maniera molto più meschina, qualcuno – mentendo – alimenta la polemica e la diffidenza, associando i potenziali richiedenti la cittadinanza ai migranti dell’ultimo approdo dal mare sulle nostre coste, uomini e donne che portano un’altra croce e ben diverse domande di solidarietà e di giustizia. Forse aiuta innanzitutto comprendere cosa sia la cittadinanza, una condizione che viviamo senza troppa consapevolezza eppure che si pone alla radice della tutela di una persona nella sua relazione con la comunità; la cittadinanza è uno status che dà diritti e doveri ed è la condizione del cittadino alla quale l’ordinamento giuridico di uno stato riconosce la pienezza dei diritti civili e politici. Si comprende bene quindi perché, nel Messaggio per la 104° Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, celebrata il 14 gennaio 2018 e dal tema “Accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e i rifugiati”, lo stesso Papa Francesco prende esplicitamente posizione sullo ius soli e manifesta appoggio anche allo ius culturae in quanto chiede sia riconosciuto il diritto a completare il percorso formativo nel paese d’accoglienza. Il Santo Padre ha richiamato l’attenzione sul diritto di ogni persona a vedere riconosciuta la cittadinanza. Al momento della nascita “va riconosciuta e certificata” la nazionalità e a tutti i bambini “va assicurato l’accesso regolare all’istruzione primaria e secondaria”. Il Pontefice ricorda che la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo “offre una base giuridica universale per la protezione dei minori migranti. A essi - dice il Papa - occorre evitare ogni forma di detenzione in ragione del loro status migratorio, mentre va assicurato l'accesso regolare all'istruzione primaria e secondaria. Parimenti è necessario garantire la permanenza regolare al compimento della maggiore età e la possibilità di continuare degli studi. Per i minori non accompagnati o separati dalla loro famiglia è importante prevedere programmi di custodia temporanea o affidamento. Nel rispetto del diritto universale a una nazionalità - sottolinea Francesco -, questa va riconosciuta e opportunamente certificata a tutti i bambini e le bambine al momento della nascita”. Ricorda ancora papa Francesco: “Durante i miei primi anni di pontificato ho ripetutamente espresso speciale preoccupazione per la triste situazione di tanti migranti e rifugiati che fuggono dalle guerre, dalle persecuzioni, dai disastri naturali e dalla povertà. Si tratta indubbiamente di un 'segno dei tempi' che ho cercato di leggere, invocando la luce dello Spirito Santo sin dalla mia visita a Lampedusa l'8 luglio 2013. Nell'istituire il nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ho voluto che una sezione speciale, posta ad tempus sotto la mia diretta guida, esprimesse la sollecitudine della Chiesa verso i migranti, gli sfollati, i rifugiati e le vittime della tratta”. Questo non vuol dire però abbassare la guardia sulla sicurezza, avverte Bergoglio. “Il principio della centralità della persona umana, fermamente affermato dal mio amato predecessore Benedetto XVI, ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale”. Nel suo messaggio, Bergoglio si sofferma su quattro principi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Quanto al primo, “accogliere significa innanzitutto offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione”. Su questo il Pontefice argentino auspica “un impegno concreto affinché sia incrementata e semplificata la concessione di visti umanitari e per il ricongiungimento familiare”. Nettamente contrario si dice il Papa alle “espulsioni collettive e arbitrarie di migranti e rifugiati”. Secondo principio: proteggere. Ciò significa “difesa dei diritti e della dignità dei migranti, indipendentemente dal loro status migratorio”. Promuovere significa invece “adoperarsi affinché tutti i migranti e i rifugiati, così come le comunità che li accolgono siano messi in condizione di realizzarsi come persone in tutte le dimensioni che compongono l'umanità voluta dal Creatore”. Dunque, garantire a tutti gli stranieri “la libertà di professione e pratica religiosa”. Da ultimo si sofferma sul concetto di integrare, ovvero “favorire in ogni modo la cultura dell’incontro, moltiplicando le opportunità di scambio interculturale”. Certamente il diritto di cittadinanza matura dentro un processo di integrazione che non si può tradurre però, come qualcuno vorrebbe, nel mantenere in una sorta di limbo un bel pezzo della generazione dei nostri figli. Ovviamente neanche strumentalizzando o meglio usando i minori da parte degli adulti per entrare in Italia e rimanervi anche senza avere i diritti che la legge prevede. Come sempre un’osservazione oggettiva della realtà aiuta a maturare un giudizio e anche a superare posizioni di tiepidezza mascherata da prudenza. Basta andare nelle classi dei nostri figli, nei centri estivi per vedere un bellissimo mosaico multietnico e perfino multireligioso che gioca e condivide valori profondi. Basta guardare negli occhi i giovani con cui i nostri figli tirano calci ad un pallone in cortile oppure con cui hanno vissuto le vacanze estive. Ragazzi nati in Italia o che in Italia sono arrivati da bambini e pensano e parlano italiano, coloro che crescono e studiano qui, condividendo la nostra cultura e le nostre regole di cittadinanza, assimilando i nostri costumi, che appartengono a famiglie di origine straniera ma residenti in questo nostro Paese con permesso permanente o di lungo periodo (e, dunque, sono figli di persone che qui lavorano, pagano tasse e contributi, e non hanno guai con la giustizia) non sono candidati all’italianità, sono già italiani. Non si tratta di concedere nulla, e tantomeno di regalare qualcosa. Si tratta di riconoscere per legge una realtà, vera, importante e buona. Si tratta di rendersi conto che mantenere in una sorta di limbo un bel pezzo della generazione dei nostri figli è un atto di cecità e di ingiustizia. In tempi di populismo becero e di notizie false, occorre uno slancio per evitare che migliaia di giovani, che sono una risorsa per il nostro futuro, si trasformino nel capro espiatorio di un Paese invecchiato, incattivito e ripiegato su se stesso. Non è più una questione solo politica, ma umana. Non prendere una posizione – che sia per presunto calcolo politico-elettorale o per la pavidità di un cristianesimo sbiadito – è una piccineria umana, una miseria morale e, insieme, una scelta pratica imprevidente e imprudente. Infatti un paese in pieno declino demografico non può avere interesse a escludere potenziali cittadini; ormai la rivoluzione migratoria è in corso a livello globale e va governata per il bene comune, oltre che regolamentata con leggi serie e chiare che garantiscano ad ogni individuo onesto di esercitare i suoi diritti e di adempiere ai propri doveri, proprio nel paese che lo accoglie, che gli offre una nuova opportunità di vita e in cui riceve la sua istruzione scolastica. Non deve spaventarci il fatto di concedere a persone di altre razze e culture la cittadinanza italiana, se esiste un sistema legislativo che regolamenta una situazione di fatto ormai di ampie dimensioni. Per l’Italia deve essere un onore accogliere come cittadini sempre più nuovi giovani che saranno una buona risorsa per il nostro Paese. É tempo di essere giusti e di essere veramente concittadini.