Il 30 aprile scorso presso lo Stadio universitario dell'Università Centrale del Venezuela (UCV) è stato beatificato il dottor José Gregorio Hernández, il "Dottore dei poveri". L' UCV è stato il luogo dove José Gregorio ha studiato e si è laureato in medicina, è stato un professore, ricercatore e innovatore della medicina stessa. José Gregorio Hernández è il quarto Beato venezuelano: sono passati più di 70 anni dall'inizio del processo di beatificazione e canonizzazione nel 1949, avviato dall'allora arcivescovo di Caracas, monsignor Lucas Guillermo Castillo. Il 16 gennaio 1986, José Gregorio Hernández è stato dichiarato Venerabile da Papa Giovanni Paolo II e il 9 gennaio 2020 la Commissione Medica della Congregazione delle Cause dei Santi ha approvato il miracolo attribuito alla sua intercessione . Dopo la laurea in Medicina il Governo del Venezuela concesse a Hernández una borsa di studio per perfezionarsi negli studi a Parigi e a Berlino. Nel novembre del 1889 frequentò il laboratorio di istologia di Mathias Duval: durante questi studi José Gregorio approfondì, tra l'altro, le aree di microbiologia, istologia normale, patologia, batteriologia e fisiologia sperimentale. A Berlino studiò istologia ed anatomia patologica e seguì un nuovo corso di batteriologia. Terminati gli studi post-laurea, Hernández ritornò in Venezuela per entrare come professore nell'Università Centrale del Venezuela a Caracas. Inoltre collaborò all'importazione e installazione di attrezzature mediche per l'Ospedale Vargas: fu tra i primi a introdurre il microscopio ottico in Venezuela. Sempre nel 1891, fondò le cattedre di istologia normale e patologica, fisiologia sperimentale e batteriologia, dell'Universidad Central de Venezuela (UCV). Il 14 settembre 1909 diventò professore di un'altra cattedra di anatomia patologica pratica, che era annessa al Laboratorio dell'Ospedale Vargas, e della quale si incaricò fino alla creazione della cattedra di aAnatomia patologica dell'Universidad Central con sede nell'istituto anatomico e che fu retta dal Dr. Felipe Guevara Rojas, nel 1911. Non fu soltanto il fondatore della cattedra di batteriologia, dato che è stato anche la prima persona in Venezuela a pubblicare un libro su questa disciplina nel 1906. La cattedra di batteriologia è stata la prima fondata in America. Con lui cominciò la vera docenza scientifica e pedagogica, a base di lezioni esplicative, con l'osservazione dei fenomeni vitali, la sperimentazione sistematica, pratiche di vivisezione e prove di laboratorio. Introdusse il microscopio ed insegnò il suo utilizzo; colorò e coltivò microbi; fece conoscere la teoria cellulare di Virchow. Fu, inoltre, un gran fisiologo ed un biologo eminente, perché conosceva a fondo la fisica, la chimica e la matematica, scienze basilari e tripode fondamentale sulle quali riposa tutta la dinamica animale. Le applicazioni pratiche di quelle esperienze, le seppe mettere al servizio della finalità suprema della medicina, cioè la cura dei malati e la protezione della vita. José Gregorio viveva il Vangelo rendendolo accessibile a tutti, mostrandosi come vera e squisita sintesi di contemplazione e azione, imoegnandosi nell'aiuto dei più bisognosi. Il suo lavoro di docente fu interrotto quando decise di farsi religioso. Nel 1908 entrò nella Certosa di Farneta (Lucca) prendendo il nome di fratel Marcello. Ma nove mesi dopo l'entrata in monastero, si ammalò piuttosto gravemente, per cui il padre priore gli ordinò di ritornare in Venezuela per rimettersi. Gregorio non desistette mai dal desiderare la vita religiosa, affermava che il sacerdozio "è la cosa più grande che esiste nella Terra". Arrivato a Caracas nell'aprile del 1909 ricevette il permesso di entrare nel Seminario "Santa Rosa di Lima." Tuttavia continuò ad anelare alla vita del monastero. Dopo tre anni, decise di tentare di nuovo. Questa volta si imbarcò per l'Italia con sua sorella Isolina. Frequentò i corsi di Teologia nella Scuola del Collegio Pio Latino-Americano pensando così di prepararsi meglio al monastero. Un'altra volta i suoi piani si videro frustrati dalla malattia: un'affezione polmonare lo costrinse a tornare in Venezuela. Gregorio rinunciò alla vita consacrata. Capì che Dio lo chiamava alla vita secolare. Decise di diventare terziario francescano. Resterà un laico cattolico esemplare, servendo Dio e i suoi fratelli grazie al talento per la medicina, lungo la strada segnata da San Luca l'evangelista medico.
Nell'ottobre del 1912 dovette interrompere nuovamente le lezioni quando il governo dittatoriale del caudillo generale Juan Vicente Gómez decretò la chiusura dell'Università, poiché questa si opponeva al dittatore. Nel gennaio 1916 creò la "Scuola" di Medicina Ufficiale che funzionò nell'Istituto Anatomico nell'angolo di San Lorenzo. Nel 1917 compì un viaggio negli Stati Uniti, visitò New York ed in seguito proseguì verso la Spagna, dove perfezionò i suo studi a Madrid. Lo sostituì temporaneamente il suo discepolo dottor Domingo Luciani. Ricominciò la sua attività docente il 30 gennaio 1918 fino a sabato 28 giugno 1919, vigilia del tragico incidente stradale. Era conosciuto come un professore colto (parlava francese, tedesco, inglese, italiano, portoghese, dominava il latino, era musicista, filosofo e possedeva profonde conoscenze di teologia). Molto esigente, si caratterizzava per la puntualità nel compimento dei suoi doveri professorali. Formò una scuola di ricercatori di eccellenza nella medicina venezuelana. Discepoli di Hernández furono il Dr. Jesús Rafael Fenda che gli succedette nella Cattedra di Batteriologia e Parassitologia, Rafael Rangel (1877-1909), considerato il fondatore della parassitologia venezuelana. Morì a Caracas il 29 giugno 1919, vittima di un incidente stradale, mentre si stava recando a visitare un ammalato. "«In mezzo a una pandemia che mette tutti alla prova e rischia di far pensare solo a se stessi, possiamo trovare - nel nuovo beato José Gregorio Hernández Cisneros - un amico vicino, che si è preso cura della salute della sua gente», amando «le persone» perché «innamorato del Dio fattosi uomo». L’attualità della figura del medico venezuelano elevato agli onori degli altari a Caracas (...)è stata sottolineata dall’arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto della Segreteria di Stato, in occasione della messa di ringraziamento presieduta nel pomeriggio di domenica 2 maggio, nella parrocchia romana di Santa Maria ai Monti, insieme con la comunità del Paese latinoamericano residente nell’Urbe, che abitualmente si ritrova in questa chiesa per la celebrazione eucaristica. Nella circostanza è stato anche benedetto un quadro del nuovo beato, nella cui vicenda umana il presule suo connazionale vede «riflessa l’anima migliore della nostra gente: dotato di spiccate qualità impiegò la sua intelligenza con generosità, servendosene come strumento per servirei più bisognosi. Scienziato, si fece francescano; medico, diventò missionario. Ricco di talento, volle essere fratello dei poveri e così testimoniò Gesù non a parole, ma con la vita», ha esordito. Nel commentare le letture della quinta domenica di Pasqua, l’arcivescovo Peña Parra ha incentrato l’omelia in particolare sul brano del Vangelo, soffermandosi su «un verbo, un sostantivo e un aggettivo, presenti nelle parole che Gesù consegnò ai suoi dopo l’ultima Cena, nell’imminenza della Passione». Il verbo è rimanere e «compare ben sette volte nel breve» testo di Giovanni (15,4-7). In pratica, ha messo in evidenza il celebrante, Gesù «dice che non è sufficiente conoscerlo, seguirlo e neppure imitarlo. È essenziale, per essere suoi discepoli, abitare con Lui». Il che vuol dire «intrattenere una relazione viva, personale e abituale con Lui. Perché Gesù non è solo un personaggio da imitare, ma una persona da amare; non si accontenta di essere il riferimento principale dell’esistenza, vuole innervare della sua presenza tutto ciò che viviamo. Chiede di far convergere tutto in Lui, attraverso una preghiera vissuta e non rituale: quello che sentiamo, pensiamo e facciamo. Come chi vive insieme e condivide tutto», ha chiarito. E quindi proprio come Hernández Cisneros che «per rimanere in Gesù, partecipava ogni giorno alla messa», facendo «convergere tutto nel Signore. Le ricerche che intraprendeva, i poveri che aiutava, le persone, le situazioni e i molti problemi che portava a cuore: tutto deponeva sull’altare, unendolo all’offerta di Gesù. Da lì scaturiva un dialogo ininterrotto, che proseguiva lungo la giornata e si intensificava nel Rosario quotidiano». Dall’Eucaristia «il beato José Gregorio riceveva soprattutto la pace del cuore. Ciò lo portò a offrire la vita per la pace, in particolare per la pace nell’Europa, devastata dal primo conflitto mondiale. Il 29 giugno 1919, giorno dei santi Pietro e Paolo, condivise con un amico la gioia della pace appena raggiunta con il Trattato di Versailles e al contempo avvertiva dentro di sé che il Signore aveva accolto l’offerta della sua vita». Infatti «poche ore dopo morì, investito da un veicolo mentre portava una medicina a un malato». Ed ecco allora il sostantivo richiamato dall’arcivescovo: «La vite, che raffigura l’unione vitale tra Gesù e noi suoi tralci». In proposito il presule ha fatto notare come il Padre la coltivi potandola. «Noi – ha detto – viviamo con la fame e la sete di avere, accaparrare, aumentare, invece il Padre desidera semplificare. Come la vite non porta frutto senza essere potata, così la vita senza essere purificata. Perché l’esistenza non si realizza accumulando denaro, riconoscimenti e fama, ma donandola». La stessa vita spirituale «non è una collezione di opere e meriti, ma un lasciarci svuotare perché il Signore ci riempia di sé. Più che salire in alto, è scendere in basso, con umiltà». E anche nell’esistenza del nuovo beato «le potature non sono mancate. Più volte – ha spiegato – dovette rinunciare a progetti belli e ambiziosi; spesso da medico sperimentò la debolezza, ammalandosi di sovente». Però «anziché rimproverare la vita, si strinse ogni volta alla Provvidenza, andando sempre più all’essenziale. Non gli mancava la possibilità di diventare ricco e famoso mediante una prestigiosa carriera. Ma scelse il Vangelo, scelse di spendere la vita per i poveri, facendo ciò che pare infruttuoso agli occhi del mondo, ma è prezioso dinanzi a Dio.
I poveri divennero la sua ricchezza». Dunque «la sua testimonianza, perché sia fruttuosa, ci chiama a passare dalla sua venerazione alla sua imitazione», ha esortato il Sostituto, che infine ha spostato l’attenzione sull’aggettivo associato da Gesù alla vite: «vera». Dove «“vero” non va inteso in senso intellettuale, contrapposto a falso», ma in senso biblico, ovvero «affidabile, fedele. Nella lingua ebraica la radice di “vero” richiama la solidità di ciò che non crolla e a cui ci si può appoggiare senza cadere. Ora, tutto ciò che è umano inevitabilmente passa, crolla. Dio, invece, resta. Egli è vero perché non delude le attese e quanto poniamo nelle sue mani non va perso». Del resto, «i nostri sforzi, anche quelli più genuini, non bastano. Solo Dio rende salda la vita, completa le nostre inadeguatezze e ci porta a compimento». A tale proposito, il beato José Gregorio «ha compreso il primato della grazia nella vita. Ha colto la verità nel vivere come mendicante di Dio. E a sua volta si è preso cura di chi, mendicante sulle strade, aveva bisogno di quell’amore che egli aveva trovato nel Signore. Così ha testimoniato la verità, non solo quella delle leggi scientifiche che ha codificato per promuovere il progresso dell’uomo sulla Terra, ma quella che lega la Terra al Cielo, la verità incrollabile e affidabile dell’amore»." (da L’Osservatore Romano del 3 maggio 2021) Pubblichiamo, inoltre, il testo del videomessaggio che il Santo Padre Franecsco ha inviato per l'occasione della Beatificazione.