Dopo una lunga pausa dovuta alla pandemia che ancora segna la vita del nostro mondo, Papa Francesco ha intrapreso il suo trentatreesimo Viaggio Apostolico fuori dall’Italia. Lo scorso 5 marzo è partito per Baghdad, capitale della Repubblica d’Iraq, per ritornare a Roma dopo alcuni giorni. Per diversi motivi, da tutti i commentatori, questo viaggio è stato definito “storico”. Non senza ragioni: quella terra, indubbiamente, ha un posto speciale nella storia dell’umanità. I nostri ricordi di bambini sono pieni di nomi di cui forse non sappiamo più il significato, ma che di quella terra dicono la stupefacente storia: Mesopotamia, Mezzaluna Fertile, Tigri, Eufrate, Sumeri, Babilonesi… sono tra le prime parole che abbiamo sentito a scuola; siamo cresciuti ascoltando queste parole, e queste parole sono diventate familiari. In quella terra, ricca e fertile, nasce la prima civiltà urbana, circa quattromila anni prima di Cristo; da quella terra viene una fra le più antiche raccolte di leggi scritte, poco meno di duemila anni prima di Cristo: il Codice di Hammurabi (persino questo strano nome evoca ricordi familiari). Quella terra, ricca e fertile, è sempre stata una terra di conquista; è sempre stata una terra martoriata. I Babilonesi di Nabucodonosor, i Persiani di Ciro, i Macedoni di Alessandro Magno; e poi i Parti, i Romani, gli Arabi, i Mongoli, gli Ottomani: tutti lì, tutti a far guerra, tutti a occupare, tutti a depredare. Fino ai nostri giorni, tra colonialismo e colpi di stato, tra lotte per il petrolio e guerre di confine, tra questioni etniche e pretese dittatoriali. A circa quindici chilometri dal corso dell'Eufrate, vicino alla città di Nasiriyah, a sud di Baghdad, c’è un luogo chiamato Tell el-Mukayya. Un tempo, in quel luogo, c’era una città che aveva nome Ur, Ur dei Caldei. Secondo il Libro della Genesi, è lì che nacque Abramo, il Patriarca. Ed è da lì che partì verso la Terra Promessa, obbedendo alla voce dell’Altissimo. Abramo vuol dire “padre di molti”, e in effetti, dopo millenni, egli è ancora riconosciuto come padre da musulmani, ebrei e cristiani. Nessun Papa si era mai recato lì. San Giovanni Paolo II, vent’anni fa, fece del tutto per andare ma non ci riuscì. Per questo Papa Francesco, prima di partire, ha detto: “Non si può deludere un popolo per la seconda volta”.
Francesco ha deciso di intraprendere questo storico viaggio, assumendo tutti i rischi ad esso legati. Il Papa ha deciso di muoversi per andare incontro a quel popolo; ha avvertito l’urgenza di andare per il “dovere verso una terra martoriata da tanti anni”.
“Gesù appena la vede piange, si commuove: misericordia motus super eam / ha un moto di compassione, di pietà fino alle lacrime per lei; un sentimento intenso di amore fino alle lacrime, fino alla commozione, fino allo struggimento verso quella donna straziata dal dolore. E senza preavviso, senza dire una parola, si stacca dal gruppo dei suoi discepoli e si dirige deciso e commosso verso quella donna. E le dice quelle tre parole che nessuno può dire, che nessuno ha mai detto, che nessuno può immaginare di poter dire: «Donna, non piangere!». Gesù le si avvicina, le sfiora leggermente la spalla per avere la sua attenzione, forse anche per aiutarla a riprendere una minima considerazione di sé, e le dice: «Donna, non piangere!»” (Nicolino Pompei, Mi sei scoppiato dentro al cuore).
Per questo il Papa si è mosso: per sfiorare leggermente la spalla di chi soffre, per dirgli: “Non piangere!”. Nella certezza di Cristo, Papa Francesco ha incontrato tutti, di qualunque condizione e di qualunque fede, e si è chinato sulle ferite di ognuno; ha portato la carezza di Gesù, tessendo dialogo con ognuno e costruendo pace con tutti. “(…) Per prima cosa [san Paolo] dice che «la carità è magnanima». Non ci aspettavamo questo aggettivo. Amore sembra sinonimo di bontà, generosità, opere di bene, eppure Paolo dice che la carità è anzitutto magnanima. È una parola che, nella Bibbia, racconta la pazienza di Dio. Lungo la storia l’uomo ha continuato a tradire l’alleanza con Lui, a cadere nei soliti peccati e il Signore, anziché stancarsi e andarsene, ogni volta è rimasto fedele, ha perdonato, ha ricominciato. La pazienza di ricominciare ogni volta è la prima qualità dell’amore, perché l’amore non si sdegna, ma riparte sempre. Non si intristisce, ma rilancia; non si scoraggia, ma resta creativo. Di fronte al male non si arrende, non si rassegna. Chi ama non si chiude in sé stesso quando le cose vanno male, ma risponde al male con il bene, ricordando la sapienza vittoriosa della croce. Il testimone di Dio fa così: non è passivo, fatalista, non vive in balìa delle circostanze, dell’istinto e dell’istante, ma è sempre speranzoso, perché fondato nell’amore che «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta»” (Omelia del Santo Padre, Cattedrale Caldea di “San Giuseppe” a Baghdad, 6 marzo 2021).
Il testimone di Dio fa così… E come a raccogliere in un frammento tutta l’attenzione e la passione per ogni uomo, il testimone di Dio ha anche l’amorevole cura di fare gli auguri alla giornalista Eva Maria Fernández Huescar nel giorno del suo compleanno, in aereo, durante il viaggio di ritorno…