Una vita per Gesù: alcuni tratti della sua vita
Albino Luciani nacque a Forno di Canale (Belluno) nell’ottobre del 1912. Suo padre Giovanni Luciani e sua madre Bortola erano persone semplici e segnate dalla vita. Giovanni, vedovo, aveva avuto, dal primo matrimonio, cinque figli: tre maschi, morti piccoli, e due femmine sordomute, affidate a parenti. Da giovanissimo fu costretto a lasciare la sua casa natale per lavorare all’estero. Le difficoltà e le sofferenze avevano indurito il suo cuore: fervente sostenitore del partito socialista, aveva abbandonato la fede. Anche Bortola proveniva da una famiglia molto povera e aveva trascorso anche lei parte della sua esistenza lontana da casa per lavorare. Conobbe Giovanni mentre lavorava a Venezia come cameriera e si sposarono nel 1911. Bortola aveva una fede semplice, ma profondamente radicata nel suo animo e con la sua bontà riuscì anche a far tornare il marito alla pratica religiosa. Dal matrimonio nacquero quattro figli. Fin dall’infanzia Albino dovette affrontare situazioni di vita difficili, che lasciarono nel suo animo segni profondi. Fu la madre a crescere e ad educare il figlio e a trasmettergli i valori cristiani. “La mamma è stata la mia prima maestra di catechismo”, ricordava Albino – “Ho iniziato ad amare la Vergine Maria prima ancora di conoscerla... le sere al focolare sulle ginocchia materne, la voce della mamma che recitava il rosario”. Durante la guerra, particolarmente violenta in quella zona del Veneto, la famiglia patì la fame. Edoardo così ricordava quel periodo: “C’erano solo erba e le radici delle piante da bollire… Ogni tanto un pezzo di pane fatto di crusca e di segatura degli alberi….”. Albino stesso ricordò questo periodo della sua vita in occasione dall' Udienza ai Bellunesi del 3 settembre 1978: “È stato ricordato dai giornali, anche troppo forse, che la mia famiglia era povera. Posso confermarvi che durante l'anno dell'invasione ho patito veramente la fame, e anche dopo; almeno sarò capace di capire i problemi di chi ha fame!”. Albino, gracile per costituzione, portò per tutta la vita le conseguenze di quegli anni di miseria: fu ricoverato più volte in sanatorio e in ospedale e subì ben quattro interventi chirurgici. Egli era legatissimo alle sue origini e al suo paese. Fu infatti a Canale che conobbe e si legò al parroco, don Filippo Carli, che ebbe grande influenza sulla sua vocazione e gli trasmise l'amore per Dio e per i libri. Fu sempre a Canale che Albino apprese i primi rudimenti della dottrina cristiana e del catechismo di Pio X, lì ricevette la cresima il 26 settembre 1919 e la prima comunione il 2 marzo 1923. E fu proprio a Canale che intuì la sua vocazione: “A Canale- raccontò lui stesso - io sono stato fanciullo di famiglia povera. Ma quando, entrando in chiesa, sentivo l'organo suonare a piene canne, dimenticavo i miei poveri abiti, avevo l'impressione che l'organo salutasse particolarmente me e i miei piccoli compagni come altrettanti principi. Di qui la prima vaga intuizione, diventata in seguito certezza convinta, che la Chiesa cattolica non è solo qualcosa di grande, ma che fa grandi anche i piccoli”. Lì compose le sue prime preghiere, come questa: “Signore tu che sai tutto e che puoi tutto, aiutami a vivere” e sempre da Canale, salendo su uno sgangherato autocarro con destinazione Feltre, a soli 11 anni, partì per il seminario per seguire un’intuizione, un amore che gli aveva toccato l’anima. Così descrisse la sua chiamata al sacerdozio: “Quando ci si chiama fra noi uomini, la chiamata è chiarissima [...]. Quando chiama Dio, la cosa è diversa; niente di scritto o di forte o di evidentissimo: un sussurro lieve... che sfiora l'anima”. Fu ordinato diacono il 2 febbraio 1935 e presbitero il 7 luglio dello stesso anno nella chiesa rettoriale di San Pietro apostolo a Belluno . Presso il seminario gregoriano di Belluno fu insegnante (1937-1958) e vice-rettore (1937-1947). Il 27 febbraio 1947 si laureò in sacra teologia alla di Roma con una tesi su L'origine dell'anima umana secondo Antonio Rosmini. Qualche anno più tardi, nel 1954 divenne vicario generale della diocesi di Belluno; nel frattempo aveva pubblicato il volume Catechetica in briciole; del libro verranno pubblicate sei edizioni in Italia e una anche in Colombia. Il 30 giugno 1956 fu nominato canonico della cattedrale di Belluno e due anni più tardi vescovo di Vittorio Veneto. Più di venti anno dopo, nell’agosto del 1978, fu eletto Papa.
Il pontificato
Il 26 agosto 1978 si tenne a Roma uno dei Conclavi più particolari e brevi della storia. Fu il primo che vide esclusi dal voto i cardinali ultraottantenni (come stabilito da Paolo VI) e ad essere seguito in diretta, in mondovisione, dalle tv di tutto il pianeta, e durò appena un giorno. La fumata bianca, anzi grigia (molto probabilmente vi fu un errore dell’addetto alla stufa), si levò alta nel cielo alle 18,24, dopo solo quattro scrutini i cardinali elessero papa Albino Luciani (le prime parole di Giovanni Paolo I). Sembra che le sue prime parole ai cardinali furono: “Cosa avete fatto? Dio vi perdoni”. Non si aspettava infatti di essere nella cerchia dei "papabili". A sua sorella aveva confidato: “Difficile trovare una persona adatta ad andare incontro a tanti problemi, che sono croci pesantissime. Per fortuna io sono fuori pericolo. E' già gravissima responsabilità dare il voto in questa circostanza”. Prese il nome di Giovanni Paolo I: “Intendiamoci – affermò - io non ho né la sapientia cordis di papa Giovanni, né la preparazione e la cultura di papa Paolo, però sono al loro posto, devo cercare di servire la Chiesa. Spero che mi aiuterete con le vostre preghiere” (dall'Angelus Domini del 27 agosto 1978). Il suo pontificato durò solo 33 giorni, ma fu davvero intenso e sono senza dubbio bastati per generare un imprevedibile cambiamento nella chiesa. Molte, infatti, furono le novità che introdusse. Emblematici in particolare il passaggio dal pluralis maiestatis "noi" all' "io", l'abolizione della sedia gestatoria (voleva evitare il “mal di mare”, così diceva), l'umiltà di parlare di sè, il chiamare accanto bambini durante l'udienza generale. Egli inoltre rifiutò l’incoronazione e la tiara, parlava con spontaneità e non di rado metteva da parte i testi ufficiali, allarmando ambienti della curia romana e della diplomazia. Quattro furono le udienze generali, tutte caratterizzate da gesti particolari. Molti i temi affrontati, quali ad esempio l'umiltà, durante la prima udienza, la fede nella seconda, la speranza e la carità, durante ultima udienza generale, un giorno prima della morte Pose sempre l’accento sulla necessità di essere umili e semplici come bambini: “Personalmente”, scrisse “quando parlo da solo a Dio e alla Madonna, più che adulto, preferisco sentirmi fanciullo. La mitria, lo zucchetto, l'anello scompaiono; mando in vacanza l' adulto e anche il vescovo, per abbandonarmi alla tenerezza spontanea, che ha un bambino davanti a papà e mamma. (...) Il rosario, preghiera semplice e facile, a sua volta, mi aiuta a essere fanciullo, se non me ne vergogno punto”. Ma anche e sopratutto sulla tenerezza e sull’infinito amore di Dio per le sue creature “Noi siamo oggetto, da parte di Dio – affermò durante l’Angelus del 10 settembre 1978 - di un amore intramontabile: (Dio) è papà, più ancora è madre”. (Tutta l'umanità e la dolcezza di Giovanni Paolo I)
La morte improvvisa
Il 28 settembre del 1978, papa Luciani trascorse gran parte del giorno tra preghiere e studio personale. Faceva molto caldo. Suor Margherita Marin, che, insieme a suor Vincenzia, Suor Elena e suor Cecilia, si prendeva cura del Santo Padre, così descrive quella giornata: “Fu una giornata normale. Al mattino, in cappella, la messa era alle sette. Poi il Papa ha dato un’occhiata ai quotidiani e infine si è ritirato nel suo studio, perché doveva scrivere un documento per i vescovi. Ha trascorso il resto della mattinata lavorando alla sua scrivania. Poi c’è stato il pranzo […]. Dopo il pranzo, c’è stato come sempre un breve momento di riposo. Poi durante il pomeriggio il Papa ha continuato a lavorare camminando per l’appartamento. Lo so perché io stavo nella stanza guardaroba e stiravo. Lo vedevo passare avanti e indietro, teneva un libro in mano e leggeva. Poi a un certo punto si è fermato e si è appoggiato sul mio tavolo per scrivere qualcosa. Era sempre molto affabile con noi suore. Mi disse: ‘Suore, vi faccio lavorare tanto. Fa tanto caldo e io sudo… Non perda troppo tempo a stirare le camicie, basta soltanto il colletto e i polsi, perché il resto non si vede mica…’”. Il Papa era sereno, tranquillo, per niente affaticato. Dopo cena si ritirò nei suoi appartamenti. La mattina successiva, il 29 settembre, verso le ore 5, suor Vincenzina, lasciò, come faceva sempre, una tazzina di caffè in sacrestia subito fuori la stanza del papa, davanti alla cappellina. Il Santo Padre uscendo dalla sua stanza era solito prendere il caffè prima di entrare nella cappella a pregare. Quella mattina però la tazzina rimase lì. Suor Vincenzina, allarmata, bussò alla porta della camera da letto del Santo Padre, ma non ottenne alcuna risposta. Allora si fece coraggio ed entrò: “Il Santo Padre – racconta suor Margherita Marin, tra le prima a vedere il corpo senza vita di papa Luciani – era nel suo letto, la luce per leggere sopra la spalliera accesa. Stava con i suoi due cuscini dietro la schiena che lo tenevano un po’ sollevato, le gambe distese, le braccia sopra le lenzuola, in pigiama, e tra le mani, appoggiate sul petto, stringeva alcuni fogli dattiloscritti, la testa era girata un po’ verso destra con un leggero sorriso, gli occhiali messi sul naso, gli occhi semichiusi... sembrava proprio che dormisse. Toccai le sue mani, erano fredde, vidi e mi colpirono le unghie un po’ scure”. Niente era fuori posto. Ad ucciderlo, secondo il dottor Buzzonetti, un infarto del miocardio. Il suo corpo non fu sottoposto ad autopsia. Appresa la notizia, il mondo rimase incredulo. Il giorno dopo la sua morte molti fedeli resero omaggio alla sua salma esposta nella cappella Clementina. Si diffusero quasi subito una serie di tesi complottiste sulle cause della morte che sono giunte fino ai giorni nostri. C’era infatti chi sosteneva che il Santo Padre avesse assunto per errore una dose eccessiva di un sedativo ed era deceduto per questo, altri si spinsero oltre, ipotizzando addirittura un omicidio maturato proprio all’interno dell’ambiente ecclesiale. Si diffusero, infatti, voci relative al fatto che in realtà papa Luciani godesse di molte antipatie all’interno della Chiesa e di un presunto conflitto con lo IOR (comunemente conosciuta come la banca vaticana), addirittura di un coinvolgimento di logge massoniche e di una colluttazione avvenuta la notte del decesso. Tali ipotesi non hanno mai trovato alcun riscontro, anzi sono state definitivamente messe a tacere grazie alla desecretazione vaticana dei referti medici relativi al suo stato di salute. Il pontefice non fu avvelenato da nessuno, non ebbe colluttazioni, non fu oggetto di complotti. Semplicemente fu un infarto a stroncargli la vita, una “cardiopatia ischemica da aterosclerosi coronarica”, una patologia che era presente nella famiglia di origine del santo Padre. Dai referti emerge inoltre che la sera della morte, attorno alle 19:30, il Papa ebbe un dolore protratto per oltre cinque minuti localizzato nella regione sternale. Si verificò mentre era seduto per la recita della compieta con il segretario, padre Magee. “Il Papa – racconta Magee – portò ripetutamente la mano sul petto, il dolore era abbastanza forte, ma era un disturbo che il Santo Padre aveva già sperimentato in precedenti occasioni e che interpretava come di natura reumatica”. Un sintomo al quale nessuno vi prestò attenzione. Papa Luciani si spense dunque così, improvvisamente, tra le 23.00 del 28 settembre 1978 e le 5.00 del giorno successivo, dopo soli trentatré giorni di pontificato, lasciando però un segno indelebile nella vita della Santa madre chiesa.
Le grazie ricevute
Diverse sono state le grazie ricevute grazie alla sua intercessione e, anche grazie ad esse, si è aperto il processo di beatificazione. Si tratta di testimonianze semplici che riguardano guarigioni, conversioni, vocazioni sacerdotali, avvenute in vita e dopo la sua morte non solo in Italia, ma anche all’estero. Eccone alcuni esempi. “Verso la fine del giugno 1985 – scrive suor Ines Pinaffo – mio fratello sig. Rino Pinaffo, residente con la famiglia in Francia, a Confouleux 81800 Robenstans, telefonò al fratello sacerdote, don Aldo Pinaffo, parroco di Crea di Spinea (VE), che un suo genero, il sig. Jacques Albenge Zaching, era ricoverato in ospedale in condizioni molto gravi con diagnosi certa di un tumore maligno alla testa. I chirurghi erano molto incerti sulla convenienza di un eventuale intervento, data la gravità della situazione. Il fratello ci avvertiva, a nome anche della moglie e dei quattro figli, della drammatica realtà. Chiese unanime e fiducioso, preghiera a me e alle suore di Villa Bianca in Tarzo (TV), affinché per intercessione di Papa Luciani, dal quale io stessa sono convinta di aver ricevuto una grande grazia, anche lui potesse trovare conforto e guarigione. Io gli scrissi subito, esortandolo a pregare con fiducia Papa Luciani e gli mandai una cartolina con la foto del Papa invitando loro e gli altri parenti a recitare un Pater Noster, un Ave Maria e tre Gloria confidando nella sua intercessione. L'altra mia sorella suora che si trovava a Roma, andò presso la tomba di Papa Giovanni Paolo I a chiedere che l'intervento chirurgico avesse un esito positivo. Alla vigilia dell'operazione, come mi fu scritto, seppi che uno dei chirurghi si era ritirato affermando che il sig. Albenge, anche fosse operato, avrebbe avuto solo qualche giorno di vita; l'altro chirurgo era molto incerto sul da farsi. Mentre da ogni parte si pregava, i medici si decisero per l'intervento che durò cinque ore. Trovarono una sacca di sangue e, nel cervello, il tumore che non era possibile togliere, se non in parte in quanto sarebbero state lese parti vitali. Prima di informare la moglie dell'esito negativo dell'intervento, gli somministrarono dei sedativi. La situazione era molto seria: il marito sarebbe vissuto solo qualche giorno. Il tumore, ripeto, era maligno, né era possibile toglierlo completamente perché, come ho detto, essendo localizzato in parti estremamente delicate e vitali del cervello, il malato sarebbe morto durante l'intervento. Passarono otto giorni, gravidi di preoccupazione e ansietà. I medici sottoposero l'ammalato a tutti i controlli clinici. Con grande sorpresa e stupore dei parenti, i medici ci informarono che il sig. Albenge appariva completamente guarito perché del tumore non si vedeva più traccia. Venne quindi rimandato a casa. Nel settembre dello stesso anno, mio fratello don Aldo è andato a trovarlo per rendersi conto del fatto e ha trovato il parente al suo posto di lavoro. Fu celebrata una Messa di ringraziamento a Dio per la grazia ottenuta per intercessione (io ne sono del tutto convinta) di Papa Luciani. Erano presenti tutti i parenti. Verso la metà di gennaio 1986, al sig. Albenge furono rifatti i controlli. I medici, constatando la confermata guarigione, si dissero stupiti : "Come può essere guarito così bene, senza sottoporsi ad alcuna radiazione ?". Devo aggiungere che nei primi giorni di maggio il sig. Albenge si sottopose ancora agli esami del caso che confermarono la completa guarigione. La famiglia ringrazia vivamente quanti hanno pregato per la guarigione del parente e si augura con viva speranza che Papa Luciani possa essere, quanto prima, elevato alla dignità degli altari. In fede” (Suor Ines Pinaffo) “Sono una ragazza di 25 anni di Buenos Aires, Argentina. Mi trovo a San Benedetto del Tronto per dieci mesi facendo studi […]. Voglio dirvi ch'io amo moltissimo Papa Luciani e lo tengo proprio come un santo. Lui ha cambiato la mia vita. Da anni che non andavo più in chiesa, da quando ho finito la scuola elementare. Quando l'ho visto sulla TV per la prima volta ero molto emozionata perché non avevo mai visto un Papa così dolce, amabile, sorridente. Il 16 settembre 1978, sabato sera, mi sono sentita attirata ad andare a Messa, ma non volevo. Fino all'ultimo non potevo più fare opposizione e sono andata. Vedo in questo fatto che il Signore ha voluto di servirsi di Papa Luciani per farmi ritornare alla pratica cattolica che non ho abbandonato mai”. (Gloria C. Molinari, Buenos Aires, Argentina). "Mi chiamo Andrea, ho 18 anni e sono un seminarista di Ravenna, molto affezionato al ricordo della figura di Papa Luciani. Nel 1978 avevo 10 anni ed all'elezione di un Pontefice prestavo l'attenzione tipica di un ragazzo di quell'età, cioè la seguivo con un certo distacco. Una cosa però mi colpì profondamente e fu il saluto che il neo-eletto rivolse al mondo il giorno dopo l'elezione. Non so bene perché, forse il sorriso, forse la spiccata cadenza veneta nel parlare, forse la grande bontà e mansuetudine che scaturivano dal modo di muoversi di Giovanni Paolo I, ma quelle parole mi si stamparono subito nella mente e nel cuore e tutt'oggi le ricordo molto bene. Provai un'estrema felicità per quello che era successo, felicità che aumentava al pensiero di poter vedere e sentire quell'uomo chissà per quanto tempo. Albino Luciani fu una luce folgorante accesasi improvvisamente sulla figura del papato, dopo il grigiore degli ultimi anni di Paolo VI (peraltro grandissima figura della Chiesa contemporanea, da me stimato moltissimo). Ebbene, ai miei occhi di ragazzo appena decenne, l'improvvisa scomparsa di quell'uomo, che era diventato per me un qualcosa di più che una persona da rispettare o da vedere solo alla TV o sui giornali, fu quasi un trauma; da allora è nata in me la sete di apprendere particolari, curiosità, cenni biografici sulla vita di un uomo che mi aveva affascinato così fortemente, ma che troppo presto il Signore ha tolto a noi tutti, quasi non fossimo degni di meritare una grazia così grande. Questo mio interessamento a Papa Luciani mi ha poi portato ad allargare gli orizzonti della mia ricerca, ad estenderla ad altri personaggi da me non conosciuti direttamente dei quali però avevo sentito parlare come ad esempio due altri Papi, già Patriarchi di Venezia, come S. Pio X e Giovanni XXIII. Da qui poi è continuata la strada che mi ha portato alla vocazione alla vita sacerdotale, che tutt'ora percorro con molto entusiasmo e convinzione. Ecco perciò che mi è caro ricordare le radici di questa mia scelta, affondate proprio nella figura di Albino Luciani, in quei 33 giorni che, se poco o nulla hanno significato agli occhi di molti, sono bastati per lasciarci alle spalle un'immagine ormai sorpassata della figura del Pontefice, aprendo ad essa le porte dei tempi nuovi, fino ad interrompere addirittura la secolare sequela di Papi italiani, anch'essa ormai non più giustificata totalmente. Questo a livello storico, senza poi contare quello che l'elezione di Giovanni Paolo I ha operato in tantissime persone” (Andrea Bonazzi, Ravenna). Queste e diverse altre le testimonianze della grandezza di Papa Giovanni Paolo I. Il 7 novembre 1978 il cardinal Samorè scrisse: “Papa Giovanni Paolo I ha impressionato il mondo. [...] La sua presenza ha affascinato per la dolcezza e la semplicità del tratto. [...] La sua fine improvvisa, del tutto inopinata, ha profondamente commosso. Lo si potrebbe definire il Papa del sorriso”. Il Papa del sorriso: con tale appellativo, grazie alla sua umiltà e semplicità, è ricordato ancora oggi. In attesa che si concluda il processo di beatificazione, non possiamo che affidare tutto il mondo alla sua intercessione, pregando così: “Signore Gesù, tu che ci hai dato la grande gioia di venerare Papa Giovanni Paolo I come Tuo Vicario sulla terra, e quindi nei Tuoi inscrutabili disegni ci hai fatto provare l'immenso dolore della sua inattesa scomparsa, concedici le grazie che Ti chiediamo, affinché, sicuri della sua intercessione presso di Te, possiamo un giorno venerarlo sugli altari allora la sua bontà e umiltà, proposte ad esempio dei fedeli saranno un perenne invito a tradurre nella vita il suo insegnamento e a diffondere serenità ed amore. Amen". Mons. Maffeo Ducolin Vescovo di Belluno-Feltre