Da qualche anno negli Stati Uniti si è diffusa una drammatica pratica: gruppi di teppisti, di solito molto giovani, attaccano velivoli in atterraggio puntando un fascio laser ed accecando i piloti che rischiano disorientamento, perdita della visione tridimensionale e persino danni permanenti alla retina, fino alla tragica possibilità di un atterraggio mortale.
Secondo l’Agenzia per l’Aviazione Civile, la Faa, nel 2010 sono stati registrati 2.836 casi di aerei di linea attaccati dai raggi laser, mentre nel 2005 si trattava solo di 300; l’aeroporto più colpito è quello di Los Angeles con più di 100 segnalazioni nell’ultimo anno.
Purtroppo le denunce aumentano in tutto il mondo. In Germania l'Autorità per il traffico aereo (Dfs) ha dichiarato che la situazione degli attacchi al laser è cresciuta spaventosamente negli ultimi mesi. Nello scorso settembre due ragazzi greci di soli 13 e 14 anni sono stati fermati dopo che avevano interferito nell’atterraggio notturno di un aereo. L’anno scorso, l’aeroporto internazionale di Sydney è stato costretto a deviare gli aerei in arrivo verso un’altra pista dopo che sei velivoli erano stati colpiti da raggi durante un attacco coordinato di 15 minuti. In Australia questo aberrante “gioco” era così frequente che hanno bandito le torce laser ed introdotto una legge ad hoc che prevede anche la detenzione per chi ne viene trovato in possesso.
Più di recente, un californiano è stato giudicato colpevole, con pena di due anni e mezzo, per aver accecato due piloti di due diversi aerei in atterraggio al John Wayne, nella California meridionale, il 21 maggio 2008.
Questa moda folle ha raggiunto anche l’Italia, ove l’Agenzia Italiana per la Sicurezza del Volo già lo scorso anno aveva parlato di progressiva diffusione del fenomeno su diversi aeroporti nazionali: negli ultimi sei mesi sono stati addirittura 260 gli episodi del genere.
Il caso più eclatante è quello dell’aeroporto di Bari-Palese: nelle prime due settimane del 2011 per ben tre volte tre piloti in atterraggio sono stati accecati da una luce laser verde; in precedenza erano stati addirittura segnalati una quindicina di episodi che avevano portato all’arresto di un uomo di Bari, un pescivendolo, che da una strada vicino all’aeroporto prendeva di mira i velivoli in atterraggio.
Altre segnalazioni ci sono state negli aeroporti di Napoli, Pescara, Linate, nel Ticino.
In particolare per l’episodio di Pescara è stato fermato un minorenne quale autore di un tentativo di accecamento di un pilota in fase di arrivo. Il pilota stava cercando di atterrare nello scalo pescarese su un aereo della guardia costiera, ma è stato accecato dalla luce verde. L’aviere ha ripreso quota e ha avvertito la torre di controllo e la Polizia di frontiera, che, in base alle coordinate fornite dal pilota con il sistema GPS, è riuscita a individuare e bloccare in una zona di campagna un minorenne che aveva con sé un puntatore laser.
Ci si è interrogati sull’impotenza della legge in questo ambito. In Europa la vendita delle penne è libera se i laser hanno una potenza inferiore o uguale a 1 mW, in quanto il fascio luminoso è considerato innocuo. Però su Internet e nei mercatini se ne possono trovare di ogni caratteristica, anche a meno di 50 euro, dalle portatili con potenze dai 15 ai 200 mW a quelle più grandi fino a 300 mW. Per capirne la pericolosità si deve pensare che una torcia da 95 mW basta per far scoppiare un palloncino, tagliare del nastro isolante, accendere un fiammifero, fondere la plastica; inoltre un puntatore a norma danneggia l’occhio se lo colpisce per molti secondi a distanza di 3 cm, mentre per quelli fuorilegge bastano 0,25 secondi anche a diversi chilometri di distanza.
Di fronte a questi tristi eventi la Procura della Repubblica di Bari ha presentato una proposta di legge che qualifica giuridicamente questo fatto di reato già nel semplice utilizzo della penna laser, punendolo con pena detentiva da un mese ad un anno di carcere e l’ammenda da 51 a 260 euro.
Ci interroga profondamente constatare, nella vita quotidiana come anche purtroppo nella cronaca giornalistica, la sempre più drammatica disaffezione dell’uomo alla vita. Gli episodi descritti sono un’ulteriore evidenza di questo dilagante odio nei confronti del prossimo, e non solo quello vicino - come il parente insopportabile, il vicino molesto o il collega fastidioso - ma anche lo sconosciuto, nei cui confronti non si nutrono concreti sentimenti di antipatia o rancore. È un’amara evidenza il disamore alla vita alla radice di questi misfatti, purtroppo sempre più spesso compiuti anche da minorenni: ecco il triste spettacolo di un’esistenza detestata al punto tale da macchiarsi dell’omicidio di innocenti, addirittura nella macabra simulazione di un videogioco reale, che quasi esorcizza le tangibili conseguenze subite dalle vittime, “in fondo” semplici puntini lontani nel cielo.
Ma gesti così forti, come gettare sassi dal cavalcavia o accecare i piloti di aerei in atterraggio, non possono certo definirsi un gioco! E non ci soddisfano nemmeno le retoriche etichette di “atti delinquenziali” compiuti magari per noia o per “fare branco”… come non sentire drammaticamente dietro questi gesti, che giustamente troviamo aberranti, l’impetuoso grido di una vita senza senso, senza origine, senza scopo e senza orizzonti? Come può infatti valere la vita dell’altro se innanzitutto per me non vale, non è degna la mia?
Non c’è di mezzo un discorso egoistico o filosofico, ma un riconoscimento razionale: la nostra vita è degna in quanto donata, proprio perché siamo creature, figli di Dio, voluti a Sua immagine e somiglianza. Senza questo continuo riconoscimento ciò che rimane è al massimo una mera affermazione personale, che può avere la forma dell’ “io valgo e tu no”, o il relativismo delle proprie simpatie ed immagini, fondate sul “secondo me” o su quello che sento oggi e non domani.
Stiamo imparando per noi che l’uomo ha avuto la pretesa di negare la Verità, ha voluto negare Dio, togliere Dio, ridurre Dio ad un fatto spirituale e per pochi; ha avuto la pretesa di sostituire l’esperienza originaria dell’uomo come desiderio, cioè come bisogno di Infinito, con l’illusione che l’uomo non abbia bisogno di nulla oltre se stesso per essere se stesso.
Di certo l’esito è veramente amaro… difatti, soprattutto nella carne fragile dei giovani, l’inevitabile risultato è quello di una confusione, di una incertezza, una monotonia, una noia, un fastidio esistenziale come respiro quotidiano; di una disaffezione a tutto, ma prima di tutto a se stessi; di un mondo per il quale la speranza, la felicità non esistono, sono impossibili. Ci si ritrova rassegnati alla mancanza di certezza - e senza certezza non si costruisce nulla! – e quindi conseguentemente impauriti. E la paura non può che sfociare poi in un’incapacità strutturata, una insicurezza e diffidenza esistenziale tremende, che si cerca malamente di mascherare con la spavalderia, la violenza, lo sballo... fino alle sopradescritte “bravate” o trasgressioni di vario genere, che sono meramente lo specchio delle stesso vuoto esistenziale che tantissimi altri magari colmano con modalità più “soft”, dal sogno alle varie espressioni di fuga dalla realtà, fino al rifugio in mondo virtuale, di pura immaginazione, oggi ampiamente favorito dal dilagare dei social network.
Ma tutto questo non può che portare prima o poi, come conseguenza inevitabile, ad una profonda e fortissima esperienza di delusione e di inganno, di amarezza e di disperazione… fino anche alla malattia mentale, alla follia di molti gesti, al suicidio.
Già nel 1980, in un discorso tenuto a Torino, Giovanni Paolo II riconosceva questo assurdo tentativo dell’uomo di togliere a Dio se stesso e il mondo. "Il timore, che travaglia gli uomini moderni, non è forse nato anch’esso, nella sua radice più profonda dalla «morte di Dio»? Non da quella sulla croce, che è diventata l’inizio della risurrezione e la fonte della glorificazione del Figlio di Dio e contemporaneamente il fondamento della speranza umana e il segno della salvezza, non da quella. Ma dalla morte, con la quale l’uomo fa morire Dio in se stesso, e particolarmente nel corso delle ultime tappe della sua storia, nel suo pensiero nella sua coscienza, nel suo operare. Questo è come un denominatore comune di molte iniziative del pensiero e della volontà umana. L’uomo toglie a Dio se stesso e il mondo. E chiama ciò «liberazione dall’alienazione religiosa». L’uomo sottrae a Dio se stesso e il mondo pensando che soltanto in questo modo potrà entrare nel loro pieno possesso, diventando il padrone del mondo e del suo proprio essere. Quindi, l’uomo «fa morire» Dio in se stesso e negli altri. A ciò servono interi sistemi filosofici, programmi sociali, economici e politici. Viviamo, perciò, nell’epoca di un gigantesco progresso materiale, che è anche l’epoca di una negazione di Dio prima sconosciuta".
Ma allora perché l’uomo, che sembra l’invincibile proprietario della sua vita, ha paura ed esplode in tutta questa violenza? Rispose l’allora Papa: “Ma perché l’uomo ha paura? Forse addirittura perché, in conseguenza di questa sua negazione, in ultima analisi, rimane solo: metafisicamente solo... interiormente solo. O forse?... forse proprio perché l’uomo, che fa morire Dio, non troverà neanche un freno decisivo per non ammazzare l’uomo. Questo freno decisivo è in Dio. L’ultima ragione perché l’uomo viva, rispetti e protegga la vita dell’uomo, è in Dio. E l’ultimo fondamento del valore e della dignità dell’uomo, del senso della sua vita, è il fatto che egli è immagine e somiglianza di Dio!”.
Come già detto, è una triste ed allarmante realtà come sempre più spesso, in questo come in altri casi di reato, siano coinvolti anche minori di 13 o 14 anni. Di fronte a questi poco più che bambini, che nel cuore della notte commettono tali misfatti, viene spontaneo domandarsi: ma dove sono gli adulti? Come fanno a non accorgersi che un ragazzino esce di casa la notte? Che possiede questi raggi laser vietati o chissà cos’altro?
Eccoci all’amara constatazione che al bambino, al giovane manca la presenza certa e responsabile di adulti, di testimoni credibili; manca lo splendore di una carne felice, di qualcuno che ha costruito e costruisce ogni giorno la sua vita su qualcosa di affascinante e certo.
È quanto ha riaffermato il Cardinale Angelo Bagnasco, nel presentare il 24 febbraio, all’Università Pontificia Salesiana di Roma, la Nota pastorale della CEI “Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020”. Nel suo intervento il Cardinale ha invitato a “chiedersi non tanto cosa posso fare per i giovani, quanto cosa siamo noi adulti. Perché siamo punti di riferimento, maestri di vita, sia con le parole che con la testimonianza delle opere”. E quindi “ogni genitore di fronte al figlio, così come ogni educatore di fronte al giovane, non deve chiedersi «cosa posso fare per lui?’» ma «chi sono io?’»".
Per questo l’evidenza di fronte a questi fatti è che mancano adulti appassionati al loro destino, che sono innanzitutto personalmente seri con il proprio grido, con l’esigenza di compimento che sono. Perché l’essere seri col proprio umano in ogni circostanza non può che rimandare alla costitutiva fame e sete che ciascuno è e che necessita di Qualcuno che la soddisfi.
Quando manca una certezza e una persona certa da seguire, cosa resta? Il nulla da cui ci si lascia imbottire ed ingannare, le mode, la mentalità della maggioranza, l’istinto, l’umoralità, il conformismo… Comunque ci si trova svuotati dentro e si finisce per credere che la libertà sia vivere senza freno, istintivamente, senza obiettivi pensando che la realizzazione di sé consiste nell’uniformarsi alla moda dominante, evitando le cose drammatiche di ogni giorno, anche perché non si sa come guardarle ed affrontarle.
La questione all’origine è sempre la stessa per i giovani e per ogni uomo: la domanda di felicità e la risposta a questa domanda, che fonda il senso della vita, ma non genericamente o filosoficamente inteso, ma della vita dentro ogni fattore e circostanza, dal dolore fin dentro i momenti più banali
Se manca questo al massimo puoi andare alla ricerca di frammenti di godimento o di calmante, che possono anche arrivare all’attuare in maniera macabra un “videogioco reale”, come quello di colpire velivoli con a bordo centinaia di persone.
Quanto sarebbe più corrispondente al cuore, per l’adulto come per il minore, essere seri con il proprio umano dentro ogni circostanza, fermarsi a guardare, e non fuggire, quell’inquietudine, quell’insoddisfazione che ti spinge a cercare sempre di più, a cercare qualcosa o qualcuno che soddisfi il cuore, sempre assetato ed affamato, fino a commettere anche le cose più pazzesche; e capire che l’uomo nasce così, con quella costitutiva fame e sete di felicità, di bellezza, di bene che necessita di Qualcuno che la soddisfi, e che la soddisfi per sempre: sì perché - usando di un’espressione di Papa Benedetto XVI – “solo l’infinito riempie il cuore”!
Che respiro sarebbe poi contemplare l’evidenza della vita come dono, fosse solo perché non te la sei data da solo, non fermandosi al dato ma domandandosi chi ci ha fatto questo regalo, quel Padre Creatore che soffia la vita sull’uomo solo per amore.
Solo di fronte ad un’ipotesi di certezza e di senso, una Risposta di carne e sangue, che Cristo ha la pretesa di essere nel volto raggiante della Sua presenza oggi, la Chiesa, solo attraverso testimoni credibili, uomini che nella loro carne rivelano il senso della vita e la risposta al desiderio di pienezza che ciascuno è, è possibile il miracolo della conversione, l’emergere – anche in quei giovani dai comportamenti “devianti” - di un prodigio di umanità ed intelligente adesione alla realtà donata.
Da qui si comprende più profondamente l’emergenza educativa che investe ognuno di noi, che abbiamo incontrato il Cristianesimo, che lo riconosciamo come Avvenimento, come Risposta esaustiva al desiderio, inevitabile, del cuore di ogni uomo e desideriamo testimoniarlo al mondo.