Laddove sono discriminati non solo sono capaci di rimanere fedeli al proprio credo, ma sono pronti a servire il paese vivendo un ecumenismo reale che abbraccia senza scendere a patti sulla verità. I cristiani sono la categoria più perseguita nel mondo, ha confermato un recente rapporto intitolato “Sotto la spada di Cesare”. A stilarlo è stata l’università americana di Notre Dame che, oltre a fare un calcolo percentuale, ha analizzato la risposta delle comunità cristiane alle persecuzioni.
LA REAZIONE DEI FEDELI - La prima reazione, nei paesi in cui è possibile, è il tentativo dell’integrazione nella società, vivendo la carità e l’ecumenismo: un esempio sono i cristiani copti uccisi e martoriati dagli estremisti islamici, ma che grazie anche alla tolleranza del governo possono vivere alla luce del sole contribuendo al benessere della nazione, sacrificandosi per essa senza scappare e persino solidarizzando con quella fetta della popolazione musulmana che li tollera. Diversa la reazione dei cristiani cinesi, iraniani o nordcoreani che non potendo vivere la loro fede alla luce del sole sono costretti alla clandestinità, rischiando, se scoperti, il carcere o la vita. Anche in Pakistan, sebbene la condanna delle autorità non sia formale, esistono leggi, come quelle sulla blasfemia, usate per mettere i cristiani in serie condizioni di pericolo, accusandoli senza ragioni: per questo vengono spesso denuncianti senza prove e condannati a morte, come Asia Bibi in carcere dal 2009 perché si rifiuta di rinnegare la sua fede. Qui i cristiani provano comunque a lavorare e vivere normalmente senza nascondersi, nonostante le conversioni forzate delle loro donne, i rapimenti, le condanne e i linciaggi da parte della popolazione islamica. In Iraq e Siria, invece, i fedeli rispondono rimanendo nei paesi dove è nato il cristianesimo, rischiando la vita, affinché la Chiesa non scompaia.
IL VERO PERDONO - Quel che accomuna tutti i cristiani perseguitati è dunque la volontà di non abbandonare la fede nonostante il sacrificio, fino anche della propria vita e di quella dei propri cari, che questo richiede. Perché se è vero che prevale la logica del perdono dei nemici, ciò non significa il rinnegamento della verità (“Vi perdono - ha recentemente gridato la vedova di un cristiano copto ucciso da un kamikaze –... ma ravvedetevi, state pensateci, siete nell'errore”) e nemmeno la fuga per non essere più pietre di scandalo. Per questo in Sudan accade spesso che i cristiani per annunciare il Vangelo ai musulmani corrono il rischio della pena capitale.
E L'OCCIDENTE? Tutto ciò ha molto da dire al cristianesimo occidentale, perseguitato in modo più subdolo ma non meno grave (basti pensare che un giudice di Berlino ha recentemente costretto un’insegnate a togliere il crocifisso dal collo), dato che spesso la risposta è un cedimento sulla verità pur di non essere emarginati. Molti potrebbero pensare che “il porgi l’altra guancia”dei cristiani orientali e africani significhi arrendevolezza, ma come dimostra il rapporto e i fatti di cronaca significa sopportare la persecuzione senza rinnegare la propria fede, esattamente come fece Cristo di fronte ai suoi nemici. Perciò, commentando il rapporto, il vescovo pakistano di Lahore, Sebastian Shaw, ha dichiarato: “Siete nati in Pakistan, significa che Dio ha un compito speciale per voi”, per questo non dovete ritirarvi “dall’agone pubblico”, ma al contrario “essere assertivi per poter professare la vostra fede”. Perché non rispondere alla violenza con la violenza, non significa “non difendersi e lasciare che le persone vi uccidano. Dovete essere coraggiosi nell’incontro con la gente e molto decisi nel condividere in vostri valori umani e cristiani”.
LA FOLLIA DELLA CROCE - Una follia per le orecchie di tanti “fedeli” occidentali. Eppure, spiega il rapporto, questa scelta potrebbe sembrare di breve periodo e modesta, ma dal punto di vista di coloro che sono perseguitati, la loro risposta riflette la logica divina, radicata non solo nella speranza della ricompensa e della realizzazione nella vita futura (come per i musulmani, ndr) ma anche nella convinzione che queste comunità devono rimanere fedeli alla loro fede, così quando accadrà che i regimi persecutori o i gruppi armati verranno meno la Chiesa potrà fiorire e diramarsi con forza, come è già accaduto spesso in passato”.