Nel periodo di preparazione al S. Natale si sta diffondendo sempre più spesso una preoccupante “moda”: bandito il presepe dalle scuole, per non parlare dell’ “innominabile Gesù Bambino” nelle recite, anche quelle delle scuole materne.
A tre anni dalla sospirata sentenza della Corte Europea per i diritti dell’uomo in materia di legalità del crocifisso nelle aule scolastiche, ora il nuovo imputato è il presepe natalizio, simbolo tradizionale della tradizione religiosa natalizia. “E' contro la libertà di religione e la multiculturalità”, è il commento di chi ha protestato contro la presenza dell’ennesimo simbolo della religione cristiana sui banchi di scuola.
Solo per parlare dei fatti più recenti, nell’Istituto De Amicis di Celadina, a Bergamo, il dirigente scolastico ha severamente proibito agli insegnanti di fare il presepe nelle aule, affermando che: “La scuola pubblica è di tutti e non va creata alcuna occasione di discriminazione… Non sono l’anticristo ma questo è l’orientamento che ho dato all’Istituto da otto anni, quando sono arrivato qua”. Tali affermazioni hanno fatto insorgere i genitori, che sono arrivati a protestare davanti alla scuola, coinvolgendo anche la politica locale.
Ed ancora! È stato improvvisamente rimosso il presepe, posto nell’androne della scuola dell’infanzia "Froebel" a Pastena, Salerno, presumibilmente in nome della multiculturalità. Difatti la rimozione del presepe sarebbe stata causata dalla volontà della famiglia di un bambino, frequentante l’Istituto, che, definendosi atea, avrebbe ritenuto non opportuna la presenza di quello che sicuramente, per tradizione ormai consolidata, rappresenta l’emblema del Natale cattolico. La notizia ha scosso notevolmente un folto gruppo di genitori che si sono accorti di tale mancanza e hanno preteso di incontrare la dirigente della scuola che fa parte dell'Istituto comprensivo Alfano-Quasimodo, pronti a chiedere il nulla osta per consentire ai loro figli di frequentare un altro istituto, un posto dove “le nostre tradizioni vengono rispettate”.
“A chi può nuocere - hanno chiesto più volte i genitori - la presenza del presepe o di uno dei tanti simboli del Natale, soprattutto se l’interessato non professa alcun credo?”. Solo dopo tali insistenze la dirigente scolastica ha deciso di ripristinare il presepe.
Un altro caso a Leinì, nel Torinese, dove il direttore di un Istituto elementare ha deciso di mettere al bando la Sacra Rappresentazione. A motivare la decisione, ancora una volta, l’intento di “non offendere la sensibilità” dei fedeli di altre religioni e dei non credenti. Anche qui la notizia ha mobilitato i genitori fino addirittura al consiglio comunale, che ha convocato una riunione straordinaria.
A seguito di questi episodi, precisamente quello di Bergamo, il prof. Giuseppe Savignone, docente universitario, nonché membro del Comitato Nazionale di Bioetica e del Comitato “Scienza & Vita”, ha scritto per l’associazione italiana maestri cattolici della Sicilia un interessante articolo, sottolineando in particolare alcune considerazioni. Si legge infatti: “Il rapporto tra segni religiosi e laicità dello Stato è una costante. Il dirigente ha motivato il suo rifiuto appellandosi all’argomento che «la scuola pubblica è di tutti e non va creata alcuna occasione di discriminazione». Principio di per sé inoppugnabile, ma che forse non si applica al caso in questione. Perché considerare lo spazio pubblico come un territorio neutro, da cui escludere le identità culturali e religiose presenti nella comunità, significa in realtà destinarlo ad essere non «di tutti», ma di nessuno... È la logica della cosiddetta «laicità alla francese», quella che nega l’uso del velo e che per legge confina la sfera religiosa nell’intimo delle coscienze, escludendone le manifestazioni esteriori. Nella convinzione di realizzare, così, una perfetta imparzialità dello Stato nei confronti delle diverse visioni della realtà e della vita. ". Di fronte all'affermazione del dirigente di Bergamo che commentando la propria decisione aveva detto "È stato un modo di rispettare tutti" Savignone si “veramente rispettare le persone significa costringerle a rinunziare alla piena esplicazione della propria fede”. E continua: “Le religioni non sono nate per essere meri stati di coscienza, ma per plasmare integralmente la vita di coloro che le professano. E dietro la pretesa neutralità di questa laicità c’è una precisa ideologia, che nega loro questo diritto in nome della pretesa dello Stato di essere l’unico protagonista della vita pubblica. Cosicché, alla fine, la sola qualifica legittimata in questa sfera rimane quella di «cittadino». Ma gli esseri umani sono molto di più, e non solo in forza della loro vita interiore, ma in tutta la ricchezza della loro esperienza relazionale che li rende comunità. Un paese non può e non deve, per un malinteso rispetto nei confronti degli altri, abdicare alla propria identità culturale e spirituale. L’Italia non può diventare un contenitore vuoto, una mera espressione geografica, per non dare ombra a chi vi giunge, invece, con una forte caratterizzazione religiosa. Sarebbe un suicidio che non gioverebbe neppure al dialogo, perché per dialogare bisogna essere innanzi tutto se stessi. E tanto varrebbe, a questo punto, cancellare dai nostri programmi scolastici Dante e Manzoni, se non addirittura l’intera storia dell’arte, al 90% ispirata a tematiche cristiane!”.
Certo, come dice anche Savignone, rimane il “sospetto che la sempre più diffusa rinunzia alla nostra tradizione non derivi tanto dal rispetto verso gli altri, quanto da uno svuotamento interiore della nostra società, la cui sola religione, ormai, è il consumismo, con i suoi onnipresenti simboli pubblicitari (la cui pervasività nessuno contesta). (…) Quanto poco il rifiuto di fare il presepe sia un segno di rispetto verso l’Islam, piuttosto che del trionfante nichilismo, lo dimostra fra l’altro il fatto che i musulmani in realtà non potrebbero minimamente sentirsi offesi dalla nostra celebrazione della nascita verginale di Gesù, perché condividono con i cristiani la fede in questo mistero. Nel Corano la sola Sura dedicata a una donna lo è a Maria e vi viene narrata la scena dell’annunciazione e del concepimento del Signore (sia pure come profeta e non come Figlio di Dio). Sono gli europei, non i musulmani, a non crederci più”.
LA STORIA DEL PRESEPE
Ma quanti conoscono fino in fondo la vera storia del presepe, le sue origini, e quale significato abbia per la nostra tradizione culturale e sociale, oltre che religiosa? Come si fa a rifiutare qualcosa che neanche si conosce?
I presepi sono rappresentazioni artistico - figurative della nascita di Gesù nella mangiatoia di una stalla a Betlemme. Nella capanna troviamo la Sacra Famiglia ed i pastori, sullo sfondo l'asino e il bue. Questi sono gli elementi essenziali del Presepe, il segno della nascita del Salvatore del mondo.
Ma quali sono le sue origini storiche?
Sin dall’epoca romana, nel periodo del paganesimo, possiamo intravvedere, in una nota tradizione, la necessità di realizzare delle raffigurazioni artistiche: durante la festa romana delle Sigilliaria infatti, che ricorreva ogni 20 dicembre, il popolo per propiziarsi prosperità, fecondità e bene, venerava i lares (spiriti protettori degli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vegliavano sul buon andamento della famiglia, della proprietà o delle attività in generale) ed i penates (spiriti protettori di una famiglia e della casa). In ogni abitazione vi erano le statuine di queste divinità che venivano lucidate dai bambini e poste in casa in una rappresentazione bucolica con sotto pane, vino e cibo in ciotole per i defunti. Il giorno successivo i bimbi ritrovavano doni e dolci, in attesa della grande festività romana del solstizio d’inverno, il Natalis Solis invicti cioè “Giorno di nascita del Sole Invitto”, che si festeggiava il 25 dicembre per celebrare la “rinascita del mondo”.
In realtà la vera “rinascita del mondo” dopo alcuni secoli è accaduta in una maniera inaspettata e sorprendente in una cittadina di nome Betlemme. "In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazareth e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo. C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva:«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama». Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro" (Luca 2,1-20).
Già nel IV secolo d.c., ai tempi delle persecuzioni cristiane, si trovano nelle catacombe romane immagini della natività: i cristiani che vivevano nella clandestinità la loro fede, amavano disegnare e raffigurare sulle pareti delle catacombe dove si riunivano immagini della nascita di Gesù per sostenere il loro cammino di fede.
In seguito, quando il cristianesimo o meglio il cattolicesimo divenne religione ufficiale, nel giorno di Natale nelle chiese venivano esposte immagini religiose della natività che, dal decimo secolo, assunsero un carattere sempre più popolare, estendendosi poi in tutta l’Europa.
Ma la vera origine del Presepe è da collocarsi storicamente nel 1223 quando San Francesco d’Assisi volle rappresentare la nascita di Gesù Bambino, riproponendo ai fedeli riuniti per ascoltare la sua parola la scena della grotta di Betlemme in una piccola chiesetta a Greccio.
Difatti al ritorno dal suo viaggio in Terra Santa, commosso profondamente dalla visita all’umile grotta di Betlemme, con l’aiuto di un nobiluomo di nome Giovanni, fece costruire una stalla, vi fece portare del fieno e condurre un bove e un asino. San Francesco coinvolse tutto il popolo di Greccio, nobili, soldati, contadini, pastori e tutti i suoi frati per realizzare il primo Presepe vivente, il cui scopo era quello di rendere tutto il popolo compartecipe della presenza di Dio sulla Terra, presenza la cui memoria si rinnova ogni anno e che interroga l’uomo sul significato profondo della sua esistenza. Alcuni avevano portato doni per farne omaggio al Bambino e dividerli con i più poveri.
Poiché a quei tempi le rappresentazioni sacre non potevano tenersi in chiesa il Papa permise di celebrare una messa all’aperto a Greccio: i frati con le fiaccole illuminavano il paesaggio notturno e tutti quella notte accorsero alla grotta per adorare Gesù. Poi Francesco tenne la sua omelia di Natale davanti alla folla rendendo così accessibile e comprensibile la storia di Natale a tutti, anche a coloro che non sapevano leggere.
Stando davanti alla mangiatoia, san Francesco aveva il viso cosparso di lacrime, traboccante di gioia. Allora fu visto “dentro la mangiatoia un bellissimo bambino addormentato che il beato Francesco, stringendo con ambedue le braccia, sembrava destare dal sonno”. Fra i testimoni del miracolo molti erano personaggi degni di fede e questo contribuì a divulgare la notizia in tutto il Lazio, l’Umbria e la Toscana fino a Genova e Napoli. Da quel miracolo molti trassero benefici spirituali e corporali: alcuni si convertirono, altri guarirono da malattie, altri trovarono forza e pace interiore. Tutto il paese sapeva di questi prodigi e teneva memoria di quella notte santa, quando un Bambino era apparso a Francesco, che aveva voluto ricostruire l'ambiente del primo Natale in un bosco dell’Appennino.
Benedetto XVI nell’Omelia della Santa Notte di Natale del 2011 così descrive la grande intuizione del Presepe di San Francesco che ha ridato la centralità all’Evento della nascita di Gesù : “Quando, nel 1223, San Francesco di Assisi celebrò a Greccio il Natale con un bue e un asino e una mangiatoia piena di fieno, si rese visibile una nuova dimensione del mistero del Natale. Francesco di Assisi ha chiamato il Natale «la festa delle feste» – più di tutte le altre solennità – e l’ha celebrato con «ineffabile premura» (2 Celano, 199: Fonti Francescane, 787). Baciava con grande devozione le immagini del bambinello e balbettava parole di dolcezza alla maniera dei bambini, ci racconta Tommaso da Celano (ivi). Per la Chiesa antica, la festa delle feste era la Pasqua: nella risurrezione, Cristo aveva sfondato le porte della morte e così aveva radicalmente cambiato il mondo: aveva creato per l’uomo un posto in Dio stesso. Ebbene, Francesco non ha cambiato, non ha voluto cambiare questa gerarchia oggettiva delle feste, l’interna struttura della fede con il suo centro nel mistero pasquale. Tuttavia, attraverso di lui e mediante il suo modo di credere è accaduto qualcosa di nuovo: Francesco ha scoperto in una profondità tutta nuova l’umanità di Gesù. Questo essere uomo da parte di Dio gli si rese evidente al massimo nel momento in cui il Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria, fu avvolto in fasce e venne posto in una mangiatoia. La risurrezione presuppone l’incarnazione. Il Figlio di Dio come bambino, come vero figlio di uomo – questo toccò profondamente il cuore del Santo di Assisi, trasformando la fede in amore. «Apparvero la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini»: questa frase di san Paolo acquistava così una profondità tutta nuova. Nel bambino nella stalla di Betlemme, si può, per così dire, toccare Dio e accarezzarlo. Così l’anno liturgico ha ricevuto un secondo centro in una festa che è, anzitutto, una festa del cuore”.
Con Greccio San Francesco non solo inaugurò la tradizione del Presepe, ma diede inizio ad un fenomeno che avrà particolare fortuna nel Medioevo, quello della rappresentazione sacra, il cui culmine si avrà nel XV secolo con il teatro della Passione.
Passeranno pochi anni dal Natale del 1223 ed il primo pontefice francescano, papa Niccolò IV, commissionò al più celebrato artista e scultore fiorentino, Arnolfo di Cambio, la realizzazione di un gruppo scultoreo che eternasse il momento stesso della Nascita di Gesù, non tanto per monumentalizzarlo, quanto per perpetuare, secondo gli insegnamenti di San Francesco di Assisi, quel culto della Natività che costituisce uno dei momenti più importanti per la Chiesa e per tutti gli uomini. L’opera fu realizzata in due anni e conclusa nel 1292, allorquando venne collocata in Santa Maria Maggiore, dove era conservata la reliquia della Mangiatoia nella quale sarebbe nato Gesù. Oggi si trova nella Cappella Sistina a Roma.
Da allora la tradizione del presepe assunse una centralità significativa nell’ambito delle celebrazioni del Natale, e, soprattutto in seguito al Concilio di Trento, l’usanza di riprodurre la scena della natività in cappelle private, iniziò a diffondersi tra le famiglie nobili cattoliche prima e poi, nel corso degli anni, in tutti i ceti popolari. Dal XVII secolo il presepe non fu solo ed esclusivamente il Segno della Nascita di Gesù, ma divenne anche una particolare forma d’arte detta “arte presepiale”, che ebbe il suo culmine nella Napoli borbonica, nella quale gli artisti partenopei riproducevano con minuzia i personaggi principali del presepe e cioè Giuseppe, Maria, Gesù Bambino, il bue e l’asinello, e cominciarono ad inserirli in spaccati della loro vita quotidiana.
Il tradizionale presepe napoletano era ed è costituito da statuine con un’anima in ferro imbottita, la loro testa è in terracotta ed i vestiti sono in stoffa. Prendendo spunto e ispirazione da qui dunque, ogni popolo, ogni artista ha utilizzato i materiali più disparati, più congeniali o più facilmente reperibili; basti pensare che nella stessa Italia incontriamo tante tipologie di presepe: da quello napoletano alla cartapesta leccese, alla terracotta in altre zone della Puglia, alla cartapesta e al gesso della Toscana, al legno del Trentino solo per citarne alcune. Per non parlare poi dell'ambientazione che solitamente rispecchia il territorio e la cultura di chi li realizza.
Un periodo fiorente di presepi fu il Barrocco. Prime notizie certe di presepi di chiese si rilevano dalla Germania meridionale quando, dopo la Riforma i Gesuiti riconobbero per primi il grande valore del presepio come oggetto di preghiera e di raccoglimento, nonché mezzo di informazione religiosa. I Gesuiti fecero costruire preziosi e fastosi presepi, tanto che quest'usanza si estese velocemente nelle chiese di tutta Europa cattolica, finché ogni comune volle un presepio in ogni chiesa.
Baluardi delle costruzioni dei presepi in Europa divennero l’Italia, la Spagna, il Portogallo e il Sud della Francia. Nell’Europa dell’Est la Polonia, la Repubblica Ceca e la Slovacchia, in centro Europa soprattutto l’Austria ed il Sud della Germania.
L’arte dei Presepi visse un periodo aureo nel XVIII secolo, quando si cominciò ad ampliare e completare la storia di Natale sempre più immersa nella realtà quotidiana della gente che lo costruiva, con stazioni ed episodi, ed il presepe si faceva un po’ ovunque: sia nelle chiese che nei castelli che nelle case della gente comune.
La fine del XVIII secolo fu contrassegnata dall’Illuminismo e dalla Secolarizzazione. In alcuni luoghi vennero vietati i presepi: soprattutto in Baviera si dovettero eliminare tutti i presepi dalle chiese e furono portati nelle case contadine per evitarne la distruzione. La conseguenza fu che il popolo solamente portò avanti la tradizione del presepe al punto che raffinarono sempre più l’arte presepiale addirittura intagliando le figure.
Tra il XVIII e il XIX secolo l’interesse per il presepe diminuì sensibilmente, ma ci furono dei collezionisti che impedirono che molte rappresentazioni andassero irrimediabilmente perdute. Ne fu un esempio Max Schmederer, consigliere di commercio di Monaco, che raccolse presepi di tutto il mondo e lasciò in eredità ai suoi posteri una delle più grandi collezioni di presepi del mondo, che oggi è possibile ammirare al Museo Nazionale di Monaco di Baviera.
Oggi il Presepe in Italia è ancora un’importante tradizione popolare nonostante la sottile tendenza generale allo svilimento del significato vero del Natale, alla riduzione ad una festività quasi pagana, e all’ingannevole pensiero di voler laicizzare tutto in nome di un rispetto indefinito e generico.
Il presepe non fa altro che ricordarci l’Avvenimento di Dio che si fa carne, che sceglie di venire ad abitare in mezzo a noi, di scomodarsi per noi, di sacrificarsi per noi, come direbbe Peguy. Non è una cosa per bambini, non è un simbolo religioso, ma è la memoria dell’Amore di Dio per ciascuno di noi, che incessantemente ci viene a trovare, bussa alla nostra porta, ci chiede di entrare, e lo fa nelle sembianze di un bambino che nasce e rinasce nella fredda grotta di Betlemme, dunque nella nostra quotidianità, fatta di dolori, di gioie, di miseria, di lavoro, di famiglia, di solitudine, e ci dice che Lui è qui, è in mezzo a noi, è la Luce nelle nostre tenebre, la nostra Salvezza e ci permette di rialzare la testa in un mondo che mostra così tanta ingiustizia e male di vivere.
Ci rinnoviamo e rigustiamo, allora, insieme il senso profondo del S. Natale utilizzando le parole di Papa Francesco, che abbiamo desiderato inserire nel nostro augurio di quest’anno:
“Egli è venuto nella nostra storia, ha condiviso il nostro cammino. È venuto per liberarci dalle tenebre e donarci la luce. In Lui è apparsa la grazia, la misericordia, la tenerezza del Padre: Gesù è l’Amore fattosi carne. Non è soltanto un maestro di sapienza, non è un ideale a cui tendiamo e dal quale sappiamo di essere inesorabilmente lontani, è il senso della vita e della storia che ha posto la sua tenda in mezzo a noi. I pastori sono stati i primi a vedere questa “tenda”, a ricevere l’annuncio della nascita di Gesù (…).Con loro ringraziamo il Signore di averci donato Gesù, e con loro lasciamo salire dal profondo del cuore la lode della sua fede: Ti benediciamo, Signore Dio Altissimo, che ti sei abbassato per noi. Tu sei immenso, e ti sei fatto piccolo; sei ricco, e ti sei fatto povero; sei l’onnipotente, e ti sei fatto debole.
In questa Notte condividiamo la gioia del Vangelo: Dio ci ama, ci ama tanto che ha donato il suo Figlio come nostro fratello, come luce nelle nostre tenebre. Il Signore ci ripete: «Non temete» (Lc 2,10). Come hanno detto gli angeli ai pastori: «Non temete». E anch’io ripeto a tutti voi: Non temete! Il nostro Padre è paziente, ci ama, ci dona Gesù per guidarci nel cammino verso la terra promessa. Egli è la luce che rischiara le tenebre. Egli è la misericordia: il nostro Padre ci perdona sempre. Egli è la nostra pace. Amen.”
Solo così possiamo augurarci veramente BUON NATALE!!!