In occasione della recente approvazione in Parlamento della legge sulle unioni civili è riemersa l’annosa questione dell’obiezione di coscienza, in questo caso riferita al pubblico ufficiale chiamato a registrare le suddette unioni, e ci si è chiesti se è lecito invocarla nell’ipotesi di disaccordo o se invece, trattandosi di una mera registrazione e non di una celebrazione non è possibile opporsi, pena il commettere un’omissione di atti d’ufficio.
Iniziamo cercando di capire cosa si intende per obiezione di coscienza.
La parola obiezione deriva dal sostantivo latino obiectio -onis, e dal verbo obicĕre, cioè «gettare innanzi», inteso come argomento che si contrappone a un’opinione altrui, o che tende a provare la falsità o l’insufficienza di una tesi enunciata e sostenuta da altri.
Quindi indica la possibilità di rifiutare di rispettare un dovere, imposto dall'ordinamento giuridico o comunque contrario alle convinzioni di una persona, da parte di chi ritiene gli effetti, che deriverebbero dall'ottemperanza, contrari alle proprie convinzioni etiche, morali o religiose. Quindi l’obiezione di coscienza, che induce a disobbedire motivatamente a una legge dello Stato, è lecita e diventa doverosa solo e nella misura in cui questa legge obbliga a compiere un male morale o a cooperare direttamente ad esso. Obbligo che non può forzare la coscienza. E nei cui confronti la coscienza avanza un’obiezione: fa valere il diritto a non agire contro se stessa e non essere costretta al male.
Per essere ancora più precisi, l’enciclopedia TRECCANI definisce l’obiezione di coscienza come “Rifiuto di sottostare a una norma dell’ordinamento giuridico, ritenuta ingiusta, perché in contrasto inconciliabile con un’altra legge fondamentale della vita umana, così come percepita dalla coscienza, che vieta di tenere il comportamento prescritto. Il contenuto dell’obiezione, dunque, si snoda in una duplice direzione: una negativa, di rifiuto di una norma posta dallo Stato, e una positiva, di adesione da parte del soggetto a un valore o a un sistema di valori morali, ideologici o religiosi. Essa si fonda sulla tutela prioritaria della persona rispetto allo Stato e sul rispetto della libertà di coscienza, diritto inalienabile di ogni uomo (si vedano gli artt. 2, 19 e 21 della Costituzione; art. 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo)”.
DOVE E COME NASCE L’OBIEZIONE DI COSCIENZA
Nel mondo occidentale l'obiezione di coscienza nasce come rifiuto del servizio militare e ha originariamente motivazioni di carattere etico e religioso. Di certo l'avvento del cristianesimo ha determinato un notevole sviluppo di questa forma di obiezione; infatti la Chiesa cristiana dei primi secoli ha grandi sostenitori dell'obiezione di coscienza.
La disciplina ecclesiastica fino al III secolo proibì ai battezzati di farsi soldati e combattere (divieto di militare et bellare) e permise ai militari convertiti di rimanere nell'esercito a condizione di non uccidere e di non commettere atti di idolatria.
Il primo grande obiettore di coscienza di cui si abbiano notizie è Massimiliano di Tebessa. Secondo quanto stabilito dalla legge romana nel II secolo d.C. il servizio militare era obbligatorio per tutti i figli dei graduati. Massimiliano, pur essendo figlio del veterano Fabio Vittore, si rifiutò di arruolarsi nell'esercito romano. Per tale ragione il 12 marzo dell'anno 295 d.C. venne condannato dal proconsole Dione e giustiziato. Aveva solo ventun anni. Dagli atti del processo si evince che Massimiliano rifiutava di fare il servizio militare per ragioni di coscienza: “Dione disse: «Fa' il militare se non vuoi morire». Massimiliano rispose: «Non faccio il soldato. Tagliami pure la testa, io non faccio il soldato per questo mondo, ma servo il mio Dio». Il proconsole Dione riprese: «Chi ti ha messo queste idee nella testa?». Massimiliano rispose: «La mia coscienza e colui che mi ha chiamato». Dione si rivolse a suo padre Vittore: «Consiglia tuo figlio». Vittore rispose: «Lui sa da sé, con la propria coscienza, che cosa deve fare»”.
Con la piena integrazione della Chiesa all'interno dell'Impero, in seguito all'editto di Costantino del 313 d.C., si verificò una vera e propria inversione di tendenza. Il Concilio di Arles (314) stabilì l'obbligo anche per i cristiani di prestare servizio militare per l'imperatore. Nei secoli successivi si andò incontro al cosiddetto processo di clericalizzazione, con la divisione della chiesa tra laici ed ecclesiastici. L'originaria militia christi diventerà esclusiva solo per questi ultimi, mentre per i primi andrà a confondersi con una militia saeculi giustificata nelle forme del servizio all'imperatore cristiano.
Recentemente la Chiesa cattolica ha mutato radicalmente il suo atteggiamento verso l'obiezione di coscienza, tornando a considerarla, come in origine, un dovere morale per il buon cristiano. Nel frattempo l'obiezione di coscienza al servizio militare viene riscoperta dalle chiese della riforma e praticato attivamente da alcune di queste (i Quaccheri, i Ducobori, i Mennoniti) che sono universalmente riconosciute come pacifiste. Gli Avventisti del Settimo Giorno del Movimento di Riforma sono una denominazione cristiana protestante, parte del movimento avventista, ed il risultato di una scissione dalla Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno creata proprio dal disaccordo sul servizio militare durante la prima guerra mondiale. Gli Avventisti del Settimo Giorno del Movimento di Riforma sono nati ufficialmente nel 1925 a Gotha, nella Turingia, in Germania, proprio perché convinti obiettori di coscienza al servizio militare.
Ovviamente l’obiezione di coscienza in ambito militare non è prerogativa delle religioni; spesso infatti tale decisione può maturare anche in un contesto laico in virtù di alcune ideologie pacifiste e antimilitariste, poiché l'assolvimento del servizio comporterebbe l'uccisione di altre persone in battaglia.
Il diritto all'obiezione di coscienza nella legislazione italiana venne introdotto per la prima volta dalla legge 15 dicembre 1972, n. 772 che riconobbe il diritto all'obiezione contro il servizio militare di leva in Italia per motivi morali, religiosi e filosofici, introducendo quindi la possibilità di rifiutare il servizio militare sostituendolo con un servizio non armato. Tuttavia la legge del 1972 comminava pesanti limitazioni agli obiettori, che saranno poi superate dalla legge 8 luglio 1998, n. 230, che sancì il pieno riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza inteso come diritto della persona; da quel momento i giovani possono scegliere di difendere la Patria con il servizio militare o con il servizio sostitutivo civile. Con essa l’obiettore non contesta il dovere costituzionale della difesa dello Stato, ma oppone a esso un’alternativa: il servizio civile.
ALTRI IMPORTANTI AMBITI DI APPLICAZIONE
L'esercizio del diritto all'obiezione è possibile anche in altri ambiti, come in quello sanitario e nella sperimentazione animale.
L’obiezione sanitaria viene introdotta con la legge n. 194/1978, sull’interruzione di gravidanza, ed “esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie (quando sollevi obiezione con preventiva dichiarazione) dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza”, inclusa la firma del certificato rilasciato alla donna che chiede l’aborto. Tuttavia, “non può essere invocata [dagli operatori] quando il loro personale intervento sia indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”.
L’obiezione di coscienza interessa medici (ginecologi e no), ostetriche, infermieri e anestesisti.
Anche il Codice deontologico dei medici del 2006 riconosce questo diritto, dichiarando all’art. 22: “il medico, al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita”. Il personale sanitario che abbia sollevato obiezione di coscienza non è tenuto a prendere parte alle procedure presso il consultorio o a garantire i necessari accertamenti medici; l’obiezione di coscienza lo esonera inoltre dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza. L’istituto è subordinato alla condizione della preventiva dichiarazione comunicata al medico provinciale, nel caso di personale dipendente dall’ospedale o, se casa di cura, anche al direttore generale.
In quanto dovere della coscienza, si fonda sul principio generale di origine ippocratica bonum faciendum, malum vitandum, che impone all’operatore sanitario di astenersi da qualsiasi forma di cooperazione diretta o indiretta con azioni volte alla soppressione della vita umana. In termini bioetici, essa si fonda sul principio dell’integrità deontologica delle professioni sanitarie, per il quale, laddove il paziente richieda al medico il compimento di azioni che contrastino con la sua coscienza, questi ha il diritto-dovere di trasferire il paziente a un altro medico per farsi sostituire. In questi termini, non c’è desiderio del paziente che possa obbligare l’operatore a pratiche da lui ritenute offensive della vita umana.
Altre prassi biomediche di recente emerse all’attenzione del legislatore per le evidenti implicazioni etiche che comportano sono l’eutanasia e il suicidio assistito (con cui si procura anticipatamente la morte di un paziente), la fecondazione artificiale e le manipolazioni genetiche, la sperimentazione su embrioni umani e la diagnosi prenatale con finalità eugenetica che, potendo avere come esito la morte del concepito, violano il principio del «non uccidere».
Delicata è anche la posizione di medici e farmacisti di fronte alla possibilità di prescrivere e somministrare farmaci abortivi, configurandosi la fattispecie in presenza della quale si legittima il diritto di appellarsi alla “clausola di coscienza”, dato il riconosciuto rango costituzionale dello scopo di tutela del concepito che motiva l’astensione (si pensi alla sentenza della Corte Cost., n. 35/1997 che ha ribadito tale principio).
In particolare si tratta dell’istituto che regola la possibilità di esercitare un’obiezione di coscienza. Con un documento il Comitato Nazionale di Bioetica ha ratificato il diritto per i medici ad esercitare la “clausola di coscienza” nel prescrivere il farmaco che dopo un rapporto “a rischio” impedisce l’insorgere di una eventuale gravidanza. Ecco che ha fatto molto discutere l’obiezione di coscienza in relazione alla fecondazione artificiale eterologa e alla somministrazione della pillola del giorno dopo; in quest’ultimo caso trattandosi di una pratica di contraccezione d’emergenza, con modificazioni uterine che impediscono l’impianto di un eventuale embrione, il medico obiettore può applicare il principio di precauzione e astenersi dalla sua prescrizione.
Anche nella sperimentazione sugli animali esiste il diritto di obiezione di coscienza; difatti coloro che si oppongono alla violenza sugli esseri viventi possono dichiarare la propria obiezione di coscienza a ogni atto connesso con la sperimentazione animale (come previsto dalla legge n. 413/1993). La norma si estende non solo a medici, ricercatori e a tutto il personale sanitario, ma anche agli studenti universitari, i quali non possono “subire conseguenze sfavorevoli per essersi rifiutati di praticare o di cooperare all’esecuzione della sperimentazione animale”, e “hanno diritto […] ad essere destinati […] ad attività diverse […], conservando medesima qualifica e medesimo trattamento economico”.
A volte è paradossalmente accaduto che l’obiezione di coscienza, accolta come un sacrosanto diritto nell’ambito sanitario-veterinario, è stata criticata quando esercitata in ambito medico, specie nei casi di aborto, fecondazione assistita ed eutanasia, pur partendo dallo stesso principio di non ledere alla vita di un altro essere vivente; per superare ogni critica basterebbe rileggersi il giuramento di Ippocrate, che ogni medico deve professare prima di iniziare la sua professione sanitaria, senza dover arrivare a convinzioni religiose o pacifiste.
L'obiezione attua il principio della libertà di coscienza, e garantisce una libertà di opinione coerente con le azioni, laddove gli obblighi della legge incidono su radicate e profonde convinzioni della persona; solo così l’uomo può svolgere al meglio la sua professione, con la massima consapevolezza e professionalità.
L’OBIEZIONE DI COSCIENZA NON C’E’ NELLE UNIONI CIVILI
Di recente l’istituto dell’obiezione di coscienza è stato acclamato in merito alla possibilità o meno di opporsi alla registrazione delle unioni civili.
A chi ha sbandierato l’esercizio di questo diritto in tale ambito è stato risposto che ricevere e registrare la dichiarazione di "unione civile" – unione non rispondente alla verità morale del matrimonio, in cui un uomo e una donna si uniscono in forma stabile e definitiva – per un pubblico ufficiale non costituisce né un male morale, né un’adesione e approvazione della legge che la consente.
La stessa cosa può dirsi per un giudice quando pronuncia una sentenza di divorzio, in quanto non coopera al divorzio dei ricorrenti, né approva il divorzio che la legge che lo consente, ma ne prende atto.
Quindi sembrerebbe proprio che un pubblico ufficiale (sindaci o altri funzionari di stato civile) che si sottrae all’obbligo di registrazione di un’unione civile non possa appellarsi all’obiezione di coscienza, trattandosi di una via impraticabile ed indifendibile. Si otterrebbe solo di disobbedire ad una legge, discutibile e controversa, quale è la legge Cirinnà che legalizza le unioni civili tra persone dello stesso sesso e non prevede l’obiezione di coscienza. Una disobbedienza che comporterebbe sanzioni civili e penali per il pubblico ufficiale dissenziente.
Non è dello stesso avviso un celebre giurista, Giancarlo Cerrelli, consigliere centrale dell’Unione giuristi cattolici italiani ed esperto di diritto canonico, che ha ricordato come le unioni civili intacchino “la disciplina relativa al matrimonio, istituto che costituisce un pilastro essenziale della convivenza civile e riguarda necessariamente le più profonde convinzioni morali e religiose”, oltre che la Costituzione. Afferma Cerrelli che l’unione civile non si compone solo di una semplice registrazione ma anche di una cerimonia, simile a quella del matrimonio civile. Egli afferma infatti che “prima della registrazione di un’unione civile serve una dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile alla presenza di due testimoni. C’è quindi una cerimonia senza la quale non sarebbe valida l’unione … Chi non vuole indurre il popolo italiano dal punto di vista culturale a equiparare i due istituti deve avere diritto all’obiezione di coscienza… Ogni volta che viene attuata una unione civile tra persone dello stesso sesso si incentiva un processo di ridefinizione della famiglia. E questo significa distruggere la famiglia, indebolirla e depotenziarla. Questo è un male grave. Chi non vuole collaborare alla distruzione della famiglia, voluta da forti lobby culturali, politiche ed economiche, deve poter obiettare”.
Anche il magistrato Alfredo Mantovano ricorda in un’intervista che “la legge Cirinnà non prevede l’obiezione di coscienza come, invece, avviene per altre leggi, come quella sull’aborto. Questa assenza è pericolosa, dato il comma 2 della norma che stabilisce che l’unione sia costituita di fronte a un ufficiale di Stato e a due testimoni, con un rito identico al matrimonio. C’è poi il comma 28: quest’ultimo prevede la trascrizione nei registri italiani del cosiddetto matrimonio fra persone dello stesso sesso, non solo dell’unione civile, contratto all’estero. Che ne sarà dell’ufficiale di Stato che ritiene che queste unioni siano in contrasto con la sua deontologia e per cui il matrimonio è solo fra uomo e donna? La legge non risponde”. Continua riferendo casi di uomini che nel mondo si sono rifiutati di aderire alla celebrazione di unioni civili; difatti “alla presenza di norme simili alla Cirinnà ci sono stati ufficiali di Stato licenziati se non arrestati, come Kim Davis negli Stati Uniti, per non aver riconosciuto come matrimonio quello fra due persone dello stesso sesso. Altri hanno dovuto chiudere i loro negozi a causa di multe ingenti per essersi rifiutati di prestare servizio durante la celebrazione di queste unioni. Alcuni sono stati licenziati per le loro opinioni in merito. Infine l’inglese Lillian Ladele, licenziata dopo essersi opposta alla registrazione di un’unione civile con la sua firma, è stata giudicata colpevole anche dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo proprio sulla base del fatto che legge non prevede l’obiezione di coscienza”. Di certo risulta irrazionale, se non incostituzionale, far passare le unioni civili come un valore positivo per la società, senza possibilità di obiettarvi; pure l’aborto viene giustificato in nome del diritto alla salute, eppure le legge lascia spazio alla libertà di coscienza.
Lo stesso Papa Francesco ha fatto riferimento alla questione dell’obiezione di coscienza in una meditazione del 12 aprile scorso parlandone in termini di persecuzione. “Sono due le persecuzioni contro i cristiani – ha detto il Papa: c’è quella «esplicita» e c’è quella «educata, travestita di cultura, modernità e progresso» che finisce per togliere all’uomo la libertà, anche all’obiezione di coscienza”. E prosegue spiegando così: “La prima forma di persecuzione «si deve al confessare il nome di Cristo» ed è dunque «una persecuzione esplicita, chiara». Ma l’altra persecuzione «si presenta travestita come cultura, travestita di cultura, travestita di modernità, travestita di progresso: è una persecuzione — io direi un po’ ironicamente — educata». Si riconosce «quando viene perseguitato l’uomo non per confessare il nome di Cristo, ma per voler avere e manifestare i valori di figlio di Dio». È perciò «una persecuzione contro Dio Creatore nella persona dei suoi figli». E così «vediamo tutti i giorni che le potenze fanno leggi che obbligano ad andare su questa strada e una nazione che non segue queste leggi moderne, colte, o almeno che non vuole averle nella sua legislazione, viene accusata, viene perseguitata educatamente». È «la persecuzione che toglie all’uomo la libertà, anche della obiezione di coscienza! Dio ci ha fatti liberi, ma questa persecuzione ti toglie la libertà! E se tu non fai questo, tu sarai punito: perderai il lavoro e tante cose o sarai messo da parte». «Questa è la persecuzione del mondo» ha insistito il Pontefice. E «questa persecuzione ha anche un capo». Nella persecuzione di Stefano «i capi erano i dottori delle lettere, i dottori della legge, i sommi sacerdoti». Invece «il capo della persecuzione educata, Gesù lo ha nominato: il principe di questo mondo». Lo si vede «quando le potenze vogliono imporre atteggiamenti, leggi contro la dignità del figlio di Dio, perseguitano questi e vanno contro il Dio creatore: è la grande apostasia». Così «la vita dei cristiani va avanti con queste due persecuzioni». Ma anche con la certezza che «il Signore ci ha promesso di non allontanarsi da noi: State attenti, state attenti! Non cadere nello spirito del mondo. State attenti! Ma andate avanti, Io sarò con voi»”.