NUMERO 1 / ANNO 2021
CHE NORMALITÀ CI MANCA?
Mentre scrivo, si avvicina per me il compimento di un anno esatto dall’inizio della mia vicenda personale dentro la storia più grande, che ci coinvolge tutti, perfino il mondo intero. Era la mattina del 6 marzo 2020, quando all’uscita dalla Santa Messa, trovai alcune chiamate perse di mia madre. Parlandoci, mi disse che mio fratello era peggiorato e respirava male. Poco più di un’ora dopo ero ad Ancona e coi miei occhi vedevo nella mia famiglia gli effetti di un virus che fino ad allora avevo sentito ancora lontano, seppur già ci avesse fatto chiudere la scuola e giungere notizie a poco a poco sempre più vicine. Iniziava così un Calvario che, fino a poche ore prima, non avrei mai immaginato: Juri sarebbe stato intubato e portato in rianimazione la sera di quello stesso 6 marzo, mio padre solo poche ore dopo lo avrebbe seguito e mia madre il pomeriggio del giorno seguente sarebbe stata ricoverata per Covid, seppure in condizioni molto meno gravi rispetto a loro.
La normalità, se così vogliamo chiamarla, era finita da un paio di settimane; già le lezioni e le celebrazioni liturgiche erano state chiuse alla partecipazione in presenza (anche se io ho avuto il privilegio di poter sempre vivere la Santa Messa in chiesa anche in tutto quel periodo, tranne nei miei giorni di quarantena) e le restrizioni aumentavano a gran velocità, fino ad arrivare poi al lock down totale che tutti ricordiamo.
Al giro di boa di un anno compiuto, siamo ancora una volta nel pieno di una nuova ondata di contagi, con tutte le conseguenze che ormai ci sono familiari. Proprio domani la scuola dove lavoro chiuderà nuovamente e tutto sembra ripiombare al punto di partenza, con la differenza, però, che questo ci appare come “un film” già visto, crediamo di “sapere a cosa andiamo incontro”, la stanchezza si fa sentire più fortemente e gli effetti della crisi economica si allargano a macchia d’olio. Si sente un malcontento generale: chi perché non sa a chi lasciare i figli che devono seguire le video lezioni, chi perché non arriva più a fine mese, chi perché si annoia non potendo uscire liberamente… Capita spessissimo di sentire che la gente vuol tornare alla normalità, alla vita di prima. Ma cos’è questa normalità che pare ci manchi così tanto? È forse avere il Festival di San Remo con il pubblico?! Poter andare a cena al ristorante o a ballare il sabato sera?! Tornare in palestra?! Prendo, non a caso, alcuni aspetti tra i più banali, perché ci aiutano, forse più di altri, a verificare a quale vita vogliamo realmente tornare. Quanto eravamo felici quando potevamo andare a scuola, viaggiare, frequentare bar e locali, andare nelle case di amici e parenti…? Facilmente ora incolpiamo della nostra infelicità le mascherine, i gel igienizzanti, le restrizioni e i divieti… fino alla paura di ammalarci e morire. Non che non ci si debba tutti impegnare perché si possa uscire da questa grave emergenza sanitaria che ci affligge e dalla crisi del lavoro e dell’economia, ma ad essere onesti e leali con noi stessi non possiamo negare quanta infelicità ci fosse anche prima, quando eravamo liberi di fare ciò che ora diciamo ci manchi, ingannandoci che sia questa la causa della nostra inquietudine ed insoddisfazione.
La mia esperienza, invece - sia in questi stessi giorni dello scorso anno, in cui mi ritrovavo nella drammatica situazione di avere la mia intera famiglia in gravissime condizioni di salute a causa del Covid, sia oggi che mi ritrovo per esempio a scegliere quale materasso comprare o a cercare una babysitter per una famiglia in difficoltà – è che “ciò che cambia tutto e rende il nostro cuore lieto è la presenza di Cristo, e di Cristo risorto”. È Lui, il Suo abitare in mezzo a noi e con noi, che rende la normalità del quotidiano (qualsiasi esso sia, pandemia o non pandemia…) terreno per quel “di più” che sempre desideriamo. La normalità che realmente ci manca e a cui aneliamo è la Sua Presenza in tutto e in ogni, è vivere nella fede del Figlio di Dio questa vita che - in ogni ora, pandemia o non pandemia - viviamo nella carne.
Barbara Braconi