NUMERO 1 / ANNO 2019
Lì è fiorita la Pasqua
“La nostra amicizia non è né l’espressione di un sentimento spontaneo, né di un progetto di rapporti che qualcuno ha pensato. Nasce da un avvenimento assolutamente gratuito e impensato. È l’esperienza di un sorprendente legame originato dalla Grazia dell’incontro con Cristo e ritrovato da e per questa affezione a Cristo. L’esperienza di una novità di rapporti segnati dalla presenza di Cristo e dalla tensione a lasciar investire, afferrare e attaccare la vita a Lui” (Nicolino Pompei, Quello che abbiamo di più caro è Cristo stesso). Conoscevo Silvia da oltre vent’anni, essendo la cognata di due miei storici amici. C’eravamo viste in varie circostanze familiari e ad alcune feste della Compagnia.
Un rapporto cordiale, ma nulla più, se non la costante preghiera per lei ogni volta che la malattia si era presentata alla sua vita. Il 22 gennaio, la cognata mi scrive che Silvia si è molto aggravata, che ne è consapevole e che manifesta il desiderio di “poter contare su un padre spirituale, una persona che la possa accompagnare in questo duro percorso con la fede e con la certezza che solo in Dio anche lei intuisce di poter trovare [...] Chi potrebbe darle quel conforto maggiore che cerca? Chi potrebbe aiutarla a riconoscere quella certezza che può aiutarla anche ad affrontare la grande paura della morte?”. Penso immediatamente a don Armando, ma mi rendo conto che la distanza e vari fattori non gli permettono di rispondere subito e con costanza a questa richiesta. Comincio a sentirmi chiamata in prima persona. Perché non io? Perché non potrei essere io quell’amica in Cristo che Silvia chiede? Il 25 gennaio mi procuro il suo numero di telefono e due giorni dopo oso scriverle, provo ad affacciarmi con delicatezza e preghiera nella sua vita. Lei, incredibilmente, mi accoglie subito e da lì iniziamo un cammino insieme. Ogni giorno, attraverso dei messaggi audio, leggevo con lei la testimonianza di Chiara Corbella, mia grandissima amica affetta dallo stesso tumore che stava devastando Silvia, brani di Nicolino, il Vangelo e alcune preghiere, soprattutto Salmi. Alcuni minuti al giorno che lei poteva liberamente ascoltare e riascoltare quando voleva, che l’accompagnavano nelle notti in cui faceva fatica a dormire, nei momenti in cui faceva la terapia o era sola a casa...
Mi rendeva partecipe del suo cammino, spesso segnato da lacrime e obiezioni che avevano però sempre il sapore della preghiera. “È stata una lunga notte ed ho ascoltato la tua voce con attenzione e mi ha fatto compagnia. È una storia che non può lasciare indifferenti ma ci sono tante tue parole e riflessioni che non sono semplici da capire e accettare per una piccola mente umana come la mia. È un percorso da fare. Se hai voglia di insegnarmi io sono qui ad aspettarti. Grazie della tua presenza e preghiera” - è uno dei suoi primi messaggi. Sapevo che Silvia non voleva ricevere visite se non quella dei più stretti familiari e di una coppia di amici; la malattia segnava moltissimo il suo volto e il suo corpo ed era comprensibile la sua difficoltà. Sentivo, però, che il tempo si stava facendo breve e volgeva al compimento. Il 7 febbraio oso scriverle: “Voglio semplicemente che tu sappia che se e quando tu lo volessi, io sarò felice di venire anche a trovarti. Ma se e come vuoi tu”. Il giorno dopo mi rispose: “È un grande confronto questo mio con te, non semplice ma profondamente vero ed onesto. Spesso di non facile comprensione ma questo momento per me rende anche più difficile avvicinarmi con apertura a un Dio che dentro di me è come se non volesse ascoltare o capire o mi chiedesse cose che non so. Ma sono contenta che ci sei in questa strada. E sono contentissima se hai voglia e tempo di venire a trovarmi, non lo vedo affatto come un problema, lo vedo come un incontro di anime che questa brutta malattia ha avvicinato. Devo far nascere il Bene da questa malattia, devo far nascere il Bello e il Vero, solo così posso farcela. Ti aspetto...”. Sono potuta andare da lei solo il 18 febbraio, per il resto abbiamo vissuto la nostra amicizia attraverso lo strumento dei messaggi audio e scritti, che oggi mi restano come un dono immenso insieme a quell’incontro di quel lunedì mattina che serbo gelosamente nel cuore. Prima di andar via le ho chiesto se potevamo dire un’Ave Maria insieme. Lei mi ripeteva sempre che non riusciva più a pregare ma che era felicissima di sapere che noi pregavamo per lei. Balzò in piedi dal divano con uno scatto che non mi aspettavo e, con la simpatia che la caratterizzava, mi ha detto: “Ce l’ho, piccola, ma ce l’ho!”. È andata vicino al caminetto e mi ha indicato una statuina della Madonna che era tra tanti altri soprammobili. Aveva intuito che stessi cercando con lo sguardo un’immagine sacra da guardare e davanti cui pregare. Abbiamo riso e detto un’Ave Maria e fatto il segno della croce. Mi ha fatto sentire il valore di un’Ave Maria, la potenza di questa preghiera e del segno della croce che spesso mi accade di ripetere in automatico. Salutandomi mi aveva invitato a tornare e a portare i “libri” per leggerli insieme. Sarei dovuta andare da lei lunedì 11 marzo; avevamo appuntamento alle 10.00. Me lo aveva chiesto il giorno prima, stupendomi molto perché stava tanto male. Nel suo ultimo messaggio mi ha avvisato che stava andando al pronto soccorso e che il nostro appuntamento saltava. Quella mattina sono andata a vivere davanti al Santissimo le ore che avrei trascorso con lei. Le ho inviato una foto scrivendole: “Sono qui, davanti a Lui e ti porto con me, nel cuore... prego per te... Ti voglio Bene, carissima Amica e Sorella mia”. Così ci siamo salutate. Silvia è morta nella notte tra l’11 e il 12 febbraio. L’ultimo canto che le avevo inviato (le mandavo spesso dei canti perché l’aiutavano a pregare) e che lei ha ascoltato, nella strofa conclusiva dice: “Così speriamo in Cielo vederci tutti quanti cogli Angeli e coi Santi per tutta eternità”. Così è e così sia.
Il Signore é vivo
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