Relazione del prof. Nicolino Pompei al 10°Convegno Fides Vita

01 Dicembre 2012

Benvenuti a questo nostro decimo Convegno; tutto particolare per la memoria che, anche attraverso questo raduno annuale, desideriamo vivere di 10 anni della nostra storia e del nostro cammino. Inizia con questa mattina un’avventura lunga e affascinante che durerà 7 giorni e che vedrà coinvolta la nostra Amicizia con la vita, la carne, la faccia, l’intelligenza e la libertà di uomini e donne, amici… invitati a partecipare e a condividerci l’unica Ragione che svela, soddisfa, compie ed esalta l’umano.
Questo incontro di apertura ha come titolo: “10 anni di Fides Vita: un piccolo popolo dentro l’Avvenimento del Cristianesimo”. Così, mi è stato chiesto di intervenire su 10 anni di cammino del nostro Movimento, sulla sua nascita, le sue tappe, il suo breve sviluppo fino ad oggi. Desidero immediatamente chiarire che se questi 10 anni corrispondono anche a 10 anni di questo Convegno, è perché quel gruppo di ragazzi e di ragazze, giovanissimi – che già stabilmente da alcuni anni mi ritrovavo attorno come conseguenza del mio semplice e deciso impegno di proporre il Fatto cristiano, l’Avvenimento di Cristo e della Chiesa – decise di avere una sua fisionomia e identità di cammino specifico, all’interno della santa Chiesa, attraverso la sigla e il nome Fides Vita, che si manifestò ed emerse pubblicamente, per la prima volta, attraverso un Convegno – il nostro 1° Convegno – pensato, costruito, proposto sulla strada (espressione di come molti di noi si erano imbattuti col Cristianesimo e di dove desideravamo proporlo ed affermarlo); e che comunque fosse un luogo di approfondimento razionale del Senso del nostro cammino e della Ragione del nostro stare insieme.
Fatta questa dovuta premessa, quello che inizialmente chiedo a ciascuno di voi è un vero protagonismo; un protagonismo come attenzione e ascolto, che possa risultare decisivo non solo per la comprensione del miracolo della storia che ci è accaduta, ma soprattutto per un’adesione manifestamente più decisa, consapevole, intelligente e totale all’Avvenimento di Cristo e alla sua santa Chiesa, attraverso questa particolare modalità di cammino che ci siamo ritrovati come sorprendente e miracoloso dono alla nostra vita. E anche, risultare decisivo per una disposizione ed assunzione più ragionevole e determinata del compito, costitutivo della nostra Amicizia, che abbiamo. Questo mio elementarissimo intervento – visto anche il poco tempo che ho – mi auguro possa veramente risultare un contributo positivo, utile ed intelligente a questo urgente lavoro, a cui siamo stati richiamati più volte in questi mesi.
Un’altra cosa desidero chiarirvi: ho deciso di parlare come se qui ci fossero tutte persone estranee a questa storia, sapendo però che non è così e che ci sono in mezzo a noi molti di quei primi ragazzi che ho incontrato.
Fatta allora questa ulteriore premessa, occorre partire ponendo nuovamente l’attenzione su ciò che è introdotto in quel sintetico e certamente insufficiente Documento di presentazione elementare del nostro Movimento, che ci è stato chiesto di scrivere dall’autorità alcuni anni fa, a cui alcune volte farò riferimento. Soprattutto al punto in cui si dice: “Ci preme innanzitutto chiarire che quanto stiamo per comunicare circa la vita e il cammino del nostro Movimento non è, e non può essere, frutto di uno schema e di un progetto, ma il semplice riconoscimento di ciò che è accaduto, si è imbattuto, da alcuni anni, nella vita di alcuni giovani, e che è costantemente verificato da essi…”.


LA STORIA

L’inizio: da un incontro tutto

Cosa è accaduto? Pensando a questo intervento di oggi, ho capito che la domanda doveva essere posta prima di tutto a me. Cosa è accaduto a me?
Perché, come penso si capisca, il resto è stato conseguente ed inevitabile sviluppo. Sì, inevitabile. Io non mi sono mai sognato di voler iniziare una storia del genere e oggi più di ieri – sono parole gravissime quelle che sto per dire, ma vere, di una persona vera, di un uomo vero – sento la vertigine e lo struggimento di questa responsabilità che mi sono ritrovato perché innestata in un poveraccio di uomo quale io sono, in una persona così tanto fragile, sproporzionata ed incapace quale io sono, così tanto segnata da un cammino impervio e da parte mia spesso intrapreso con istintività e presunzione; da tentativi assunti spesso dalle e con le mie forze e che sono per questo risultati inutili e fallimentari. Non ho paura di riconoscerlo. Una vita alcune volte anche drammaticamente segnata – oggi ne ho più puntuale consapevolezza e quindi la soffro di più – da momenti di infedeltà grave al mio compito e sui quali ho sempre e comunque filialmente mendicato e costantemente riconosciuto l’infinita Misericordia di Dio Padre.
Ma, per verità, con altrettanta chiarezza e forza, desidero confermare, proprio dentro questa puntuale coscienza che ho della mia miseria, quella mia ardente, indomabile e soprattutto autentica, gratuita, radicale e totale passione e dedizione alla propagazione dell’Avvenimento di Cristo e della sua santa Chiesa, che fin dall’inizio mi hanno animato e che si sono sviluppate di giorno in giorno, fino a diventare l’unica ragione della mia vita.
Allora, cosa mi è accaduto? Lo chiarisco brevemente, attraverso due miei ultimi interventi. Il primo è quello che ritroverete negli Atti del 9° Convegno e l’altro è quello che mi è stato chiesto sui giovani e il loro disagio.

Cosa mi è accaduto?

Un Incontro. Concretamente un incontro con una persona, padre Silvano, durante l’ora di religione – da me costantemente evitata (in tutti i sensi) nella mia frequenza al Liceo – che ha catturato immediatamente e – oggi lo capisco di più – ragionevolmente, la mia attenzione. Questo è il fatto. Come desidererei condividervi, ancora una volta, con dovizia di particolari, quel momento così come sempre ho fatto con i miei alunni a scuola. Ma ci vorrebbe un intero Convegno… Mi limito a dirlo così come l’ho riportato in questi interventi: Un Incontro “… che mi ha ragionevolmente costretto alla considerazione del Cristianesimo – da me totalmente fatto fuori, se non per l’educazione ricevuta (nella mia famiglia è stato sempre evidente, trasudante come fondamento di tutto e per tutto, ma da me, comunque, fin lì completamente evitato) – come Avvenimento, come l’Avvenimento di Carne e Sangue totalmente esatto dal cuore dell’uomo e quindi totalmente corrispondente ad esso. Prima di questo sorprendente Incontro (sì, mi ha completamente sorpreso. Lo ricordo e lo dico, oggi più di ieri, con quella commozione e con quella vertigine di chi si domanda: Se non fossi stato in quella classe, in quell’ora, in quel momento…?) tutto in me era solo ed unicamente, anche se molto nascostamente e spesso inconsciamente, una reazione al non senso (cioè: non c’era il senso, né misura, né direzione) che comandava, misurava il tempo e le giornate, i rapporti, tutto… Ritrovandomi con altri amici a subire la nota fatica, il tragico malessere di chi non vive e «il vuoto nell’anima e nel cuore» come inevitabile conseguenza (di chi non ha il significato della vita). Questo emergeva, «mordendo», in tutti i fattori del mio quotidiano, a partire dal mio rapporto tragico e soffocante con la scuola; in più era favorito da inventati e forzati, ingannevoli e omologati tentativi di risposta, che si nutrivano della stessa assenza ed inevitabilmente di menzogna, e che, anche se in maniera non evidente, di fatto, lentamente mi facevano ritrovare logorato e ripiegato su me stesso”.
A quell’Incontro è poi seguito un semplice invito alla partecipazione ad un Convegno in Assisi, a cui ho immediatamente ed incredibilmente (vista tutta la mia chiusura di allora a queste “cose di chiesa”) aderito. E così mi sono ritrovato davanti a quella potenza di uomo – purtroppo così ridotta, anche all’interno della Chiesa, e così spesso presa a pretesto dall’ideologia dei valori – che è Francesco d’Assisi.
È stato decisivo per farmi emergere nella domanda di Significato e di Felicità, che avevo lasciato sotterrare dallo scetticismo imperante e quindi dall’indifferenza. Sono emersi il mio desiderio e il mio cuore, descritti nella loro costitutiva esigenza.

Un Avvenimento di Uomo

Nessuno di noi fino in fondo crede che Dio non esista; e nemmeno io dicevo questo. Ma quell’Incontro mi ha posto davanti alla Carne di Quello che per anni avevo visto, a vari livelli, come qualcosa di estraneo alla realtà, alla concretezza, alla mia vita, alla mia ragione e libertà.
La figura di S. Francesco, oltre a quella iniziale e cara di padre Silvano, è stata profondamente stringente per me. Già fin da allora in maniera incredibile – visto che il contesto spingeva da un’altra parte… – la figura di Francesco, quella irresistibile “carne” di uomo che mi sono trovato davanti e che aveva 800 anni più di me, mi costringeva a domandarmi, a gridare: Perché? Perché tu – così pienamente soddisfatto da tutto quello che la mentalità comune e del mondo (quella del 1200 come d’altra parte quella di oggi… cambia solamente l’espressione) indica come la soddisfazione e il massimo – hai posto, ad un certo momento, la tua vita radicalmente dalla parte opposta? Perché tu, pienamente realizzato, secondo i criteri di valutazione di questa mentalità, lasci tutto e scegli una condizione totalmente opposta?
Erano così elementarmente poste le mie domande. E dentro un entusiasmo ritrovato per la vita – sicuramente ancora molto legato solo al sentimento, alle sensazioni – che comunque questo contesto assisano mi ha fatto ritrovare, queste diventarono sempre più presenti e provocanti.
La familiarità che decisi di avere con la sua figura, quella di Francesco, arrivò ad un punto che mi costrinse razionalmente a guardare la Carne di Uno. Finalmente non un atteggiamento spirituale, dei valori da assumere, uno sforzo morale da intraprendere (anche se – lo ripeto – quell’ambiente, spesso, spingeva a questo). No, mi ha posto davanti ad Uno, Uno presente. Non ad un atteggiamento. Non ad una devozione. Ma ad un Uomo. Un Avvenimento di Uomo con una pretesa e una promessa sconvolgente di felicità, quella a cui Francesco aveva radicalmente (come ritroverete anche nel pannello della Mostra sul presepe), consegnato tutta la propria vita, tutta la propria carne, tutta la propria volontà, tutta la propria intelligenza, tutto il proprio cuore… tutto il proprio io: Mio Dio, mio tutto!
Una Presenza totalizzante, ritrovata presente in tutte quelle domande e circostanze che invece io facevo di tutto per evitare, spesso reprimendole dentro un quotidiano in cui cercavo di emergere solo con un’immagine coerente a quella stabilita dalla massa e ritenuta necessaria. Una Presenza reale che non solo mi ricostringeva a me (alla mia persona), alla domanda di senso della mia vita, alla realtà e al rapporto con la realtà tutta – fino allo studio – ma che pretendeva essere la Risposta piena. Uno presente, con questa promessa e questa pretesa: un Uomo di nome Gesù.
Quell’Uomo di nome Gesù che 2000 anni fa ha avuto la pretesa di identificarsi con la vita stessa, che ha detto che il Senso e la Verità, il Destino di tutto e tutti, erano Lui. In un momento della storia, Uno aveva detto quello che è impossibile che qualcun altro possa dire: Io sono l’Infinito; Io sono l’Eterno. Non vi spiego il nesso tra la vita e l’Infinito, ma vi dico che Io sono il nesso perché Io sono la Vita e l’Infinito; Io sono l’Eterno, Io sono il Destino e quindi proprio per questo vi spiego la vita, anzi la vita si spiega solo in Me che sono la Via, la Verità e la Vita.
Questa pretesa confermata da 2000 anni di uomini e donne, della statura di Francesco, che hanno identificato la loro vita, tutta la loro libertà, la loro intelligenza, la loro carne – a partire proprio da quei primi amici della Sua Compagnia, Pietro, Giovanni, Andrea… passando per Francesco e arrivando a Piergiorgio e a tutti i nostri amici – su quell’Uomo di nome Gesù, fino a morire pur di affermarLo come Via, Verità e Vita. Come la consistenza e la pienezza di tutto.
Questo è stato ciò che mi è accaduto: “Un Incontro che ha avuto la fragile apparenza di un caso, e che nel tempo ha assunto la potenza di un Evento; un Evento che mi ha costretto immediatamente a riconoscere l’esigenza del mio cuore, l’esigenza del mio io, il desiderio che l’uomo è, e che contemporaneamente ha risposto totalmente a questa esigenza. Una Risposta di carne e sangue, non una teoria, sperimentabile, sperimentabile più del pane; una Risposta che chiamava e provocava me in una verifica. Un Avvenimento che ha smascherato e contemporaneamente soddisfatto tutto di me; che immediatamente ha spiegato me, ha rispiegato me, ha fatto emergere questo desiderio indomabile (che costituisce l’essenza dell’uomo); che ha rinverdito la mia vita giorno per giorno, riempiendola di senso in ogni attimo, dentro ogni circostanza; che ha fatto emergere non più la paura delle circostanze ma il gusto di ritrovarle circostanze per me (che volevano me, la mia responsabilità, tutta la mia ragione e libertà), di ritrovarle comunque buone, comunque positive per me…”.
La prima verifica di questa Novità – lo dico anche nell’intervento dell’anno scorso al Convegno – è stato un fattore che a molti di voi sembrerà banale detto da me oggi e che invece per il Nicolino di quel periodo era fortemente tragico. Mi riferisco al rapporto con la scuola e lo studio. Non solo il desiderio di studiare mi sono ritrovato, ma soprattutto l’interesse e la domanda su tutto, a partire da ciò che ascoltavo, che mi veniva proposto e spiegato, e di recuperare tutto quello che avevo saltato-subito negli anni precedenti. (Purtroppo per quanto riguarda il Liceo accadde solo nell’ultimo anno della mia frequenza; ma l’esame di maturità fu certamente l’evidenza di questo).
Il gusto scoperto per la vita, il significato riconosciuto non può che passare immediatamente dentro i fattori più normali, più feriali, come responsabilità, interesse, ragione ed affezione. E non mi è stato semplificato nulla di quei passaggi, da me, negli anni precedenti, completamente saltati ed assenti in questo rapporto (scuola, studio). E anche su questo punto sono costretto, dal tempo, a fermarmi qui.
Comunque il balbuziente e piegato su se stesso Nicolino, verso i 18 anni, cominciò finalmente, dentro questo Avvenimento riconosciuto – in un cammino – come la consistenza di tutto, cominciò finalmente a vivere; non a rivivere ma a vivere. E a scoprire la vera natura, il significato, il dinamismo dei termini della questione umana: ragione, libertà, amore, cuore, io, realtà, Mistero, verità, fede.
Essenziale e decisivo per questo, dentro l’iniziale e intrapreso cammino di adesione alla Compagnia della Chiesa (la contemporaneità di Cristo tra noi), il trovarmi davanti alla straordinaria, acutissima ed entusiasmante persona del Papa Giovanni Paolo II, e la lettura della sua prima Enciclica la Redemptor hominis. È l’interezza dell’Enciclica che mi fulminò e mi folgorò, ma ci sono alcuni passaggi che particolarmente – molti di voi lo sanno bene – mi provocarono. Giovanni Paolo II afferma che Cristo Redentore dell’uomo è “Colui che è penetrato, in modo unico e irripetibile, nel mistero dell’uomo ed è entrato nel suo cuore… La redenzione del mondo – questo tremendo mistero dell’amore, in cui la creazione viene rinnovata – è nella sua più profonda radice, la pienezza della giustizia in un Cuore umano: nel Cuore del Figlio primogenito… L’uomo rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’Amore, se non si incontra con l’Amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio… Questa rivelazione dell’amore viene anche definita misericordia, e tale rivelazione dell’amore e della misericordia ha nella storia dell’uomo una forma e un nome: si chiama Gesù Cristo… Cristo Redentore rivela pienamente l’uomo stesso all’uomo. Nel mistero della redenzione l’uomo ritrova la sua grandezza, la dignità e il valore propri della sua umanità, diviene nuovamente espresso e in qualche modo nuovamente creato. L’uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo e non secondo immediati, parziali e spesso superficiali e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere, deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e la sua morte, avvicinarsi a Gesù Cristo”.
Capite? mi sono trovato davanti alla questione costitutiva di me, di ogni uomo, proprio di ogni uomo tutto considerato. L’uomo che vuole essere se stesso, l’uomo che desidera essere veramente uomo: il punto è questo. Il desiderio di comprensione di sé, di spiegazione di sé, di compimento di sé. E la sua incapacità ad esserlo con la propria misura o con quella dettata dalla mentalità del mondo. Eppure l’uomo rimane sempre questo desiderio, anche dentro l’immane riduzione e violenza che gli si fa. Rimane che egli è questo desiderio e che il suo cuore è questa esigenza. Solo avvicinandosi, solo nell’approssimazione a quell’Uomo di nome Gesù questo è possibile, afferma il Papa con incredibile immediatezza ed elementarità.
E ancora, il Papa chiarisce che il Cristianesimo è quell’Uomo, quella Presenza, un Avvenimento presente e contemporaneo ad ogni uomo. Che la Chiesa è la Sua Compagnia. E che la Risposta è Lui. Che la vita, la possibilità della vita piena, pienamente vita, pienamente umana; la possibilità della libertà, della ragione, dell’amore e della giustizia – con e dentro tutta la miseria e fragilità, la debolezza e insicurezza che l’uomo vive – è solo nel rapporto con Lui, un rapporto reale e presente nella realtà tutta. Con Colui che solo è penetrato in maniera unica e irripetibile nel mistero dell’uomo. Solo Colui che ha fatto l’uomo, solo Colui che ha tessuto il suo cuore, solo Colui in cui tutto consiste può spiegare l’uomo, tutto l’uomo, e compierlo.E il Papa chiarisce che, quando parliamo dell’uomo, “non si tratta dell’uomo astratto, come viene concepito in qualunque ideologia, ma dell’uomo reale, dell’uomo concreto, storico. Si tratta di ciascun uomo”. Insomma si tratta di me e di te.
Per me è stato folgorante tutto questo. E nella mia incessante e continua adesione a Lui come Avvenimento e alla sua cattolica Compagnia l’ho razionalmente sperimentato.
Non posso dirlo con parole più adeguate se non quelle usate dai Primi nella 1ª Lettera di S.Giovanni: “Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo toccato, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato…”.
Scrivo nell’intervento sui giovani che nell’esperienza di adesione a Lui, “immediatamente emerge un tratto di umanità mai conosciuto, che pian piano ti porta a scoprire tutto l’umano, tutti i fattori dell’umano; scopri te (non te in funzione di un’immagine imposta dal potere, ma te veramente e basta: Nicolino), il tuo cuore (che è tessuto di esigenza di verità e felicità), il senso della ragione (che non è essere misura delle cose, ma fattore-esigenza di conoscenza della Verità, per cui la sua natura è fatta e senza la quale non funziona) e della libertà (che c’è per aderire al Mistero, all’Essere, a quell’Uomo); ti scopri e ti ritrovi uomo, ti scopri e ti ritrovi soggetto finalmente e veramente originale e protagonista; ti ritrovi interessato a tutto (perché Colui che hai incontrato e a cui ti sei avvicinato è l’Autore e Padrone di tutto, è il Senso, la Spiegazione di tutta la realtà), ad ogni aspetto di te e della tua vita, ad ogni aspetto della realtà e quindi operoso, dinamico e creativo, ed incredibilmente ti ritrovi interessato al Destino di ogni uomo”.
Incredibilmente, sì, “perché lo sguardo all’altro non è più sotto il criterio (purtroppo comune e senza Cristo inevitabile) della simpatia superficiale o dell’interesse, ma è rivolto semplicemente a lui, al suo bisogno, al suo desiderio, al suo cuore…”, perché è il tuo stesso bisogno, desiderio e cuore. Solo guardando e riconoscendo il tuo bisogno, il tuo desiderio, il tuo cuore, ti ritrovi veramente attento e appassionato al bisogno, al desiderio, al cuore, alla vita di ogni uomo.
Così, mi sono ritrovato ad essere interessato al cuore, al bisogno, al desiderio di alcuni ragazzi che hanno iniziato con me questa storia
Ed è per questo che ad un certo momento ho desiderato fortemente che questo Avvenimento accadesse, fosse riconosciuto anche nella vita di altri. E particolarmente mi si è evidenziato quando – attraverso una sorprendente (sorprendente, sia perché io non l’avevo mai pensato, e sia per chi me la faceva… e voi sapete a chi mi riferisco…) richiesta di responsabilità di guida di un gruppo di catechismo per la Cresima; grazie al rapporto con alcuni “indicibili e sballati” ragazzi che si erano forzatamente iscritti a questo catechismo solo per assecondare l’intransigenza delle mamme, e soprattutto grazie anche ad una voluta e costante presenza nelle strade di San Benedetto del Tronto – mi sono ritrovato ad incontrare giovanissimi ragazzi e giovanissime ragazze, e a sorprendermi appassionato e pian piano coinvolto con la loro vita: con le loro paure e insicurezze, le loro mancanze affettive e i loro capricci, i loro sbalzi di umoralità e le loro inquietudini, le loro chiusure (sto parlando di ognuno di voi…), i loro atteggiamenti eccentrici, volgari, le loro esistenze sballate, scoppiate, spesso violente, istintive, alcune segnate già dalla droga e da forme delinquenziali; i loro miti di riferimento, la varietà e la facilità dei loro innamoramenti, i loro sogni, la gravità di alcune situazioni familiari che subivano… Per altri (e mi riferisco ad altri di voi…), con una vita murata da atteggiamenti perbenisti, da “brava ragazza”, intoccabili, impenetrabili, snob, con la puzza sotto il naso, chiusi spesso nel limbo di certezze intellettuali e pregiudizievoli…
Con la vita di ciascuno di loro mi sono coinvolto a partire da queste maschere spesso ben costruite, ma con e nella certezza dell’unica e vera esigenza del loro cuore. Tutto, solo e unicamente, per il desiderio di proporre il Cristianesimo – così come mi era capitato, così come mi si era rivelato – attraverso un elementare, costante, concreto, forte e ragionevole giudizio, con cui li provocavo, li sfidavo; provocavo e sfidavo la loro ragione e la loro libertà, e attraverso cui tentavo di smascherare la menzogna di una vita – lo ripeto, dentro diverse espressioni – fondata sul niente, sull’istinto, sulla reazione, sul sogno, lasciata nutrire dalla mentalità omologante, atrofizzante, disumana del “mondo”.
Fin dall’inizio ho sempre puntualmente invitato – e voi lo sapete – a paragonare con la loro vita, con quello che facevano e “pensavano”, tutto ciò che gli affermavo, mettendo davanti a loro, attraverso incontri e testimonianze, la possibilità di verificare l’assoluta convenienza, l’immensa libertà e intelligenza, la totale considerazione ed esaltazione di tutti i fattori dell’esistente, della proposta di Gesù Cristo e della sua cattolica Compagnia; ponendola sempre come la Risposta concreta e ragionevole, all’indomabile e inevitabile esigenza di felicità che siamo, facendola sempre guardare (questa esigenza) come l’unico, vero criterio di paragone per stabilire la bontà o meno, la verità o la menzogna di ciò che uno sperimenta e vive, e di ciò che gli viene proposto. Ho sempre richiamato a questa verifica.
Certamente, lo stare con loro mi ha aiutato a guardare e a comprendere maggiormente la drammaticità – e questa volta non sulla mia vita ma sulla loro – e la gravità di un Cristianesimo, non solo affatto considerato e ignorato, ma, se considerato, ridotto ad un fattore lontano dalla vita e astratto, ad un’idea spirituale e moralistica censurante tutte le spinte positive della giovinezza e dell’uomo; ridotto ad una serie di precetti pertinenti a preti, suore, vecchi e giovani “rincoglioniti”; patrocinatore di soli gesti di generosità verso gli altri, verso i poveri, gli ammalati, etc…
Ancora una volta, la cosa più grave che emergeva (come inevitabile conseguenza di una tale recezione e riduzione del Cristianesimo e della santa Chiesa, che troppo spesso evidentemente è vissuta e proposta con questa recezione e riduzione anche in molti gruppi e realtà ecclesiali) era che comunque non c’entrava niente con la loro vita, con il loro tempo, le loro inquietudini, i loro desideri, le loro sofferenze e fatiche, i loro legami, le loro cotte, le loro paure, con la felicità e il divertimento. Insomma, con la loro realtà di ogni giorno – quasi sempre data, spesso con falsa arroganza, per acquisita ed intoccabile.
Di giorno in giorno questi ragazzi sono diventati il tessuto e la passione del mio quotidiano.
Mi invadeva la necessità di incontrarli per condividere tutta la loro vita – così come ho detto prima – col desiderio di far emergere in loro, almeno, la vera esigenza, il vero bisogno, e l’urgente bisogno di chiarire il Cristianesimo non come una religione, ma come un Avvenimento, l’Avvenimento di Dio che si fa Uomo.
Mi muoveva il desiderio di affermarlo nella sua originale e sconvolgente Novità con cui io stesso mi ero imbattuto, e quindi nella sua unica e provocante pretesa. Quell’uomo storico di nome Gesù si era affermato Dio, come la puntuale compagnia di Dio all’uomo, Compagnia di Uomo presente alla storia di ogni uomo; si era identificato come la Risposta di carne e sangue all’intera esigenza di soddisfazione e pienezza del cuore di ogni uomo; come il vero volto dell’Origine, del Significato, del Destino di ogni uomo e della realtà tutta; l’unica possibilità di affermazione e compimento dell’umano in tutti i suoi fattori.
Dire il Cristianesimo nella sua essenzialità e quindi sfrondarlo da tutte quelle immagini con cui veniva spesso pensato e favorito e quasi sempre – da loro – recepito: questo è ciò che mi urgeva.
In me non c’è stata mai l’idea di aggregare dei giovani per far passare loro del tempo (come spesso, scusatemi, si sono ridotte a fare le parrocchie), così da fargli evitare altre strade, quelle cosiddette devianti. L’incontrarli è stato solo per quella ritrovata (nel senso del dono) passione alla e per la mia vita, che mi ha fatto ritrovare contemporaneamente – come ho detto prima – appassionato alla loro, al loro bisogno, al loro destino.
Il mio unico desiderio era l’annuncio di Cristo come l’Avvenimento profondamente anelato dal cuore di ogni uomo, corrispondente alla vera esigenza dell’uomo.
Il mio unico desiderio era di aiutarli a verificare la convenienza razionale, umana e concreta, di questa approssimazione a Cristo e alla Chiesa, e la disumanità, l’irrazionalità, la sconvenienza, l’illusione, l’inganno, la menzogna di un certo modo di pensare, di una certa mentalità, mettendo davanti a loro la vera strategia del potere: questa sì, censurante ed atrofizzante l’umano.
Tutta questa passione e urgenza di comunicazione del Cristianesimo trovò un’ulteriore conferma, possibilità e dilatazione attraverso la mia chiamata all’insegnamento della religione cattolica a scuola. Certamente la scuola comportò un’ulteriore condizione di incontri con giovani provenienti da diverse città limitrofe, che mi costrinsero a pensare ad una modalità di raduno più puntuale e chiara.
Ed è proprio in questa fase della mia vita che, data la maggiore incomprensione e, a mio giudizio, il non corrispondente giudizio di considerazione del Cristianesimo, di ciò che unicamente mi premeva comunicare e del metodo che desideravo offrire a questo consistente gruppo di ragazzi (che ormai era diventato un fatto che non potevo più evitare), decisi, con non poca sofferenza, e non poca solitudine, di avventurarmi con loro (che continuavo a incontrare attraverso il mio impegno di catechismo, nelle strade e a scuola), in un cammino autonomo e specifico; e di lasciare l’esperienza del cammino, fin lì aderito, della realtà Giovani Comunità 2000 animato dai frati minori conventuali, a cui sarò sempre grato, non fosse che per essere stata la prima faccia con cui Cristo mi ha destato a Lui.

L’appartenenza alla Chiesa

Un cammino specifico – come modalità di comprensione e adesione all’Avvenimento di Cristo e alla sua santa Chiesa – che, dopo alcune formulazioni iniziali, si consacrò pubblicamente, per la prima volta attraverso il nostro primo Convegno, con la sigla Fides Vita.
Un cammino regolato da appuntamenti settimanali di incontri e di preghiera dove ritrovarsi ad imparare, a conoscere e ad approfondire il Cristianesimo come l’Avvenimento di Dio tra noi nell’Uomo Gesù e la sua Chiesa.
Dove imparare a giudicare la vita e la realtà, in tutti i suoi fattori, e a lasciarsi educare e cambiare dal rapporto reale con Cristo. Dove, in un cammino di Amicizia, educarsi a giudicare tutto quello che ci accadeva, sentivamo, vivevamo, a partire dal pensiero di Cristo – per dirla alla San Paolo – e della Chiesa, particolarmente del Magistero del Papa.
Una modalità e un cammino di Amicizia e di Unità necessaria di adesione a Cristo e all’unica Chiesa.
Un’Amicizia, un’Unità non dettate o stabilite da noi, secondo una nostra capacità e simpatia umana, ma ritrovata e riconosciuta dall’esigenza di penetrare a fondo la vita scoperta nel suo vero significato, nell’incontro con Chi ci ha destato a questa esigenza e a riconoscere la presenza di questo Significato totale nell’Avvenimento di Cristo e della Chiesa; Amicizia ed Unità costituite, allora, da questo Avvenimento riconosciuto, e per essere aiutati a vivere di Lui, con e per Lui.
Una Amicizia come luogo di educazione per imparare a riconoscere la sua iniziativa come fondante l’umano, a valutare tutto a partire dalla fede aderita ragionevolmente e come criterio unicamente compiuto di spiegazione dell’uomo e della realtà. Di costante richiamo alla vera urgenza di rendere presente nella vita del mondo la sua Presenza attraverso la nostra Unità vissuta nella comunione con la Chiesa.
Come dice la Lumen gentium, Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II: “La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”. Essa è la grande Compagnia di Cristo che permane nella storia e attraverso cui la sua Presenza è contemporanea a ogni tempo, ad ogni cultura, ad ogni uomo, così come 2000 anni fa.
Noi, questa Amicizia, il costante richiamo all’Unità, questo cammino, non potevano che essere modalità particolare, quotidiana, immediata, più evidente, concreta, più persuasiva e avvincente nelle ragioni, di adesione alla grande Compagnia della Chiesa, unicamente segno di Essa e nell’unico urgente compito di affermare Cristo Redentore dell’uomo.

La simpatia per la realtà

Fin dagli inizi – e il Convegno ne è solo una specifica e sintetica testimonianza – emerse l’esigenza di essere una presenza visibile, critica, propositiva dentro ogni fattore e ambito in cui normalmente la vita dei giovani e dell’uomo si svolge e spesso si smarrisce, si dissolve, si ripiega su se stessa, si sfoga, è delusa ed ingannata, omologata e manipolata; per questo l’esigenza di proporre la nostra Amicizia dappertutto attraverso gesti elementari, come sono stati e sono la consegna a mano, in tutti i luoghi dove è possibile arrivare, di Volantini riportanti affermazioni di chiarimento sull’essenzialità del Cristianesimo, sulla ragionevolezza della nostra fede e dell’adesione alla Chiesa; e riportanti, a partire da Essa, giudizi sintetici e pro-vocanti sull’uomo, sulla cultura, sulla realtà.
E ancora, attraverso Cartelloni murali, appesi con non poca difficoltà nelle scuole e successivamente nelle Università e nelle piazze.
Attraverso Banchetti organizzati in piazza che favorissero incontri e dialogo sull’umano nella strada. Il mio continuo richiamo ad essere una presenza evidente, critica e coraggiosa dappertutto ci fosse questa possibilità. L’organizzazione di feste e vacanze, che si pensavano minuziosamente fino all’ultimo capello, perché fossero occasioni, realmente nuove e provocanti, chiarenti il volto della nostra Amicizia, affermanti l’unico Motivo per cui davvero valga la pena vivere.
L’incessante invito, a chiunque incontravamo, ai nostri momenti di incontro e di preghiera settimanale, dentro quell’espressione profondamente ragionevole e affascinante, presa direttamente dalle parole di Gesù (vi ricordate…): “Vieni e vedi”.
Tutti elementi, questi – sinteticamente da me qui riportati e che nel tempo sono stati più ragionevolmente acquisiti e vissuti – descrittivi dei primi passi dentro cui si è sviluppata la nostra esperienza di Movimento, che hanno favorito la crescita anche numerica di questo piccolo e iniziale gruppo di ragazzi, fino ad arrivare ad essere – grazie all’incontro da me direttamente vissuto con alcuni ragazzi della zona di Ancona e grazie all’iscrizione di alcuni di noi nelle Università delle nostre regioni – una realtà che ha cominciato a superare i confini della nostra diocesi di nascita.
Ancor di più, questo mi ha convinto della necessità di dover sempre più chiarire alcuni luoghi, alcuni gesti dove potersi ritrovare ad approfondire – lo ripeto fino all’asfissia – il Fatto cristiano, a verificare l’intelligenza, la compiutezza, la fecondità, la totale esaltazione di tutto l’umano derivante dall’adesione a Cristo e alla Chiesa; dove proporre la fede come un criterio di vita, come il criterio della vita, di ogni circostanza, come misura esplicativa del rapporto con la realtà in un continuo paragone, vaglio e giudizio di ciò che normalmente si respira e si acquisisce dalla mentalità comune e del mondo. Penso, ad esempio, al pressante invito che ponevo di stare nella scuola e nell’Università, in ciò che si studiava, con l’indomabile passione e l’intelligenza di voler capire, approfondire, verificare la verità di ciò che veniva proposto-imposto rispetto all’autentica e globale concezione dell’uomo e della realtà che deriva dalla fede; di saper contestare con ragioni adeguate la “normalità” di certi giudizi che risultavano (e risultano) intoccabili e totalmente, purtroppo, acquisiti dentro la nostra cultura. Per non assecondare più, con la solita, supina, superficiale e purtroppo incidente adesione e devozione, quel noto, subdolo, tirannico, assolutistico pensiero, quella visione laicista e particolarmente anticattolica, che di fatto presenzia la nostra cultura e che è veicolata dalla banda (nel senso di banditi) dei grandi intellettuali del nulla.
Il rapporto e l’approfondimento del Magistero della Chiesa, della sua Tradizione, la fedeltà e l’amore al Papa e al suo chiarissimo insegnamento sono stati sempre richiamati fin dall’inizio e sempre hanno caratterizzato il nostro cammino. Continuamente richiamati e approfonditi, certamente, in corrispondenza alla crescita di consapevolezza di molti di noi e comunque nella certezza che la Chiesa è l’unico Luogo che unicamente e globalmente custodisce, favorisce e difende la Verità dell’uomo e sull’uomo, considerato nel suo Mistero, nel suo essere creatura, nella sua vera originalità, nella sua vera esigenza, nel suo vero bisogno, nel suo vero desiderio, nella sua diversità e nella sua unità, nel suo Destino. La Compagnia dove è custodito e reso possibile oggettivamente l’incontro tra il cuore dell’uomo e la Risposta che sempre va cercando. La Chiesa riconosciuta come il luogo della continua e misericordiosa presenza di Cristo tra noi. La fedeltà e l’obbedienza ad Essa, il sentirci sempre segno di Essa non si sono mai esplicitati in un minimo di formalismo, ma sono stati solo la conseguenza della certezza sperimentata che la Chiesa è il “qui e ora” dell’amore di Cristo e attraverso la quale Egli vive un rapporto di familiarità e contemporaneità con ogni uomo.
Il nostro cammino comunque doveva essere segno, strumento e modalità della Chiesa.
Ci è stato sempre chiaro e decisivo l’attaccamento profondamente filiale alla incredibile, feconda, fervida, indomabile persona del Santo Padre Giovanni Paolo II, al suo chiarissimo Magistero, alla paterna custodia dei nostri Pastori e alla loro autorità.
E a questo proposito, proprio oggi, non posso evitare di sottolineare il fondamentale e paterno coinvolgimento con la nostra Compagnia di due cari Vescovi, che fin dall’inizio – Sua Eccellenza Monsignor Giuseppe Chiaretti – e poi nel suo faticoso sviluppo fino ad oggi – Sua Eccellenza Monsignor Gervasio Gestori – si sono spesi, rischiando di persona, con la loro costante, innamorata e paterna presenza e con i loro puntuali interventi, per la crescita della nostra Compagnia e per la mia custodia (e questo particolarmente lo evidenzierò a conclusione di questo intervento, condividendovi quello che Monsignor Chiaretti mi ha fatto pervenire stamattina come augurio per il nostro Convegno).


I GESTI FONDAMENTALI

Detto questo, è inevitabile, per me, adesso una considerazione rapida ed essenziale dei gesti e dei “luoghi” di approfondimento e di educazione proposti a coloro che aderiscono a questo cammino e a tutti coloro che incontriamo o che sono interessati ai passi fondamentali dell’umano. Gesti e luoghi che nel tempo si sono chiariti fino ad oggi. Tutti comunque vissuti nell’essenzialità e nell’alveo dell’Amicizia. Riformulo alcuni passaggi dal Documento di presentazione.

L’Eco
Esperienza comune e di comunione.

L’Eco è il luogo centrale e normale del cammino educativo del Movimento Fides Vita, in cui attraverso lo spirito e la modalità particolare della nostra Compagnia, siamo educati alla fede, alla speranza e alla carità, cioè al quotidiano riconoscimento della misericordiosa presenza di Cristo tra noi…
L’Eco è il luogo dove si è richiamati, si impara e si approfondisce l’Avvenimento di Cristo e della santa Chiesa, attraverso un lavoro di considerazione, di apprendimento e dialogo, di contenuti e riflessioni espressi durante l’anno, in alcuni momenti precisi, con l’ausilio di strumenti offerti per questo… Dove si è provocati ad aderire alla nuova e vera mentalità – quella rivelata da Cristo – anche attraverso l’apprendimento o la riconsiderazione ragionevole di fattori, di parole e categorie fondamentali dell’umano, della vita e del pensiero, dentro la verità portata da Cristo sulla natura e consistenza dell’umano e della realtà, e custodite e sviluppate dall’insegnamento e Tradizione della Chiesa… Dunque luogo guidato di comunicazione e apprendimento, approfondimento, dialogo ed educazione all’Esperienza cristiana, nella continua provocazione di ragione e libertà.
Luogo di educazione a vivere tutto a partire e dentro l’Esperienza cristiana, riconosciuta come quella che svela, dà senso, esalta, risponde, salva, compie pienamente l’umano, il desiderio, la libertà, la ragione, il cuore, la realtà tutta… nella filiale sequela ed appartenenza alla compagnia della Chiesa, alla sua Tradizione e al suo Magistero.

L’Affidamento

Il gesto comunitario di richiamo ed educazione alla continua, necessaria, personale preghiera.
È il gesto attraverso cui la persona, dentro la necessaria e certa custodia della comunità, viene innanzitutto richiamata all’evidenza, e a prender sempre più coscienza, della propria costitutiva dipendenza; che tutta la vita dipende da un Altro, che la possibilità e la pienezza dell’io è solo nel rapporto con il Tu, da cui tutto nasce e dipende, in cui tutto consiste e per cui tutto è fatto. Alla consapevolezza che in tutto ciò che siamo e che facciamo la nostra vita appartiene a un Altro che la soddisfa, la svela, la compie e che, quindi, non è ragionevole e conveniente, ma tragicamente ingannevole e votato al nulla, confidare (in “qualcosa”) su noi stessi, sulla nostra misura.
L’atteggiamento, la posizione, l’atto primo e proprio dell’uomo, che corrisponde a questa più intima natura dell’uomo, a questa evidenza e a questa coscienza, è quello della domanda, della mendicanza, della preghiera.
Ma il Totalmente Altro, il Mistero da cui, in cui, per cui tutto è e consiste, non ha lasciato l’uomo nella facile errata possibilità di riconoscerlo in chissà quale astrazione, idea soggettiva o simbolo, ma si è reso incontrabile ed identificabile, puntualmente riconoscibile in un Uomo: nell’Avvenimento dell’Uomo Gesù. Dio si è fatto Uomo. La vita e la possibilità del suo affronto, nella sua pienezza, soddisfazione e compiutezza, allora, in tutta l’ampiezza e meticolosità di fattori, rapporti e circostanze, è questa Presenza riconosciuta; è rapporto con questa Presenza costantemente riconosciuta; è affidamento in tutto a questa compagnia presente di Dio all’uomo, nell’Uomo Gesù. Di conseguenza la preghiera è mendicanza di Cristo; che tutto accada, si faccia, si dica, si operi e si costruisca con Lui, in Lui, per Lui.
Questo gesto diventa, allora, la prima, necessaria e quindi inevitabile “attività”; il primo (fin dal mattino), necessario (senza di me non potete far nulla), costante (nel tempo, perché Lui è il Significato e il Destino di tutto) “lavoro”.§
Questo richiamo è stato, fin dall’inizio, un costante fattore di educazione che – dentro la normalità del dialogo della nostra Amicizia – si è sviluppato attraverso un luogo e un gesto che abbiamo chiamato “Affidamento”. Che abbiamo voluto chiamare così per esprimere che la nostra preghiera, così come è stata definita, è vissuta – e non può non essere vissuta – nella costante intercessione e compagnia di Colei che è stata chiamata ad essere la vergine Carne, il vergine Grembo attraverso cui Dio si è fatto Uomo: Maria Santissima, Madre di Dio e Madre nostra. Questo, particolarmente, attraverso la preghiera del santo Rosario e la recita di una preghiera in cui esprimiamo tutto il nostro desiderio e la nostra esigenza di affidare a Lei la nostra vita e la nostra Compagnia. A Lei che ci ricorda sempre, con la sua costante presenza e compagnia di madre e vergine, Chi è la pienezza dell’umano.
E “Affidamento”, anche perché l’espressione in parole e gesti della nostra mendicanza è affidata alle parole e ai gesti certi, chiari, oggettivi, compiutamente espressivi della preghiera e della liturgia della santa Chiesa.
Come ci richiama il Documento, il luogo ed il gesto comunitario dell’Affidamento “è stato, particolarmente, la costante introduzione, partecipazione, adesione, educazione della persona alla preghiera e alla liturgia della Chiesa. Dentro questa esperienza molti di noi hanno avvertito (fin dall’inizio) l’esigenza naturale di approfondire e rendere quotidiano il proprio rapporto con l’Eucaristia, di avvicinarsi frequentemente al Sacramento della Confessione, di scoprire sempre più la ricchezza della preghiera della Chiesa nella Liturgia delle Ore e nella tradizionale preghiera del Rosario…”.

Il Convegno

In questo contesto, e nella memoria che stiamo vivendo di 10 anni del nostro cammino, non posso evitare un richiamo al nostro Convegno, che nella vita della compagnia è risultato un importante appuntamento a sostegno della Ragione della nostra Amicizia: il nostro Convegno annuale.
Se Fides Vita pubblicamente è emerso attraverso quel primo Convegno, anch’esso va brevemente chiarito. Esso è stato pensato, fin dall’inizio, come appuntamento e luogo annuale che fosse, sinteticamente, espressivo della nostra Compagnia e contemporaneamente sostegno al nostro quotidiano, costante e pedagogico cammino di comprensione, approfondimento e adesione ragionevole al Cristianesimo, riconosciuto come l’Avvenimento di Dio tra noi nell’uomo Gesù di Nazareth, e alla Sua cattolica Compagnia.
Per questo, occasione tutta particolare di chiarimento del senso quotidiano, pedagogico e necessario, all’interno della santa Chiesa, della nostra Amicizia e del nostro compito. Possibilità preziosa di richiamo forte ad un’adesione intelligente e puntuale alla costante iniziativa, presente e contemporanea, del Mistero tra noi. Certamente, momento particolarmente favorevole di invito e d’annuncio dell’Avvenimento di Dio totalmente coinvolto con l’umano – dentro l’ampiezza e la particolarità della realtà – nell’Uomo Gesù di Nazareth, riconosciuto, aderito e affermato, ragionevolmente, nella e con la Santa Chiesa, come l’unico Redentore dell’uomo.
Un luogo con il volto, l’amicizia e il dinamismo intelligente, affabile e creativo di questo piccolo popolo presente che siamo noi, dentro la proposta di momenti – come questo – di incontro e testimonianza, di dialogo e giudizio, che, con l’aiuto e l’intelligenza, la sapienza e il fascino di vita di maestri, testimoni ed amici, ci aiutassero, insomma, in questa nostra appartenenza e nella comprensione di cosa comporta come umanità, intelligenza, libertà, fecondità, operosità, giudizio il vivere di fede, cioè di Cristo.
Per questo, luogo necessariamente e fortemente pensato, costruito e proposto, fin dall’origine, sulla strada: segno di come molti sono stati incontrati e si sono ritrovati sorprendentemente provocati, attraverso la vita cambiata e la proposta di alcuni di noi, alla considerazione dell’Avvenimento di Gesù Cristo e della Sua cattolica Compagnia; e contemporaneamente significativo di come e dove desideriamo proporlo ed affermarlo.
Esigenza che esprime e corrisponde all’essenza stessa del Cristianesimo, e cioè allo sconvolgente Avvenimento di Dio che si coinvolge, totalmente, con l’intera vicenda umana, facendosi uomo, facendosi compagnia di Uomo all’uomo, in tutto e dappertutto, lì dove l’uomo abita, vive, cammina, soffre, grida, bestemmia, ama, studia e lavora…

FIDES VITA: UN PICCOLO POPOLO DENTRO L’AVVENIMENTO DEL CRISTIANESIMO

Fides Vita: la fede come la Grazia del ragionevole riconoscimento della presenza di Dio tra noi nell’Uomo Gesù, Redentore dell’uomo, totalmente coinvolto nella vita di ogni uomo e nella minuziosità e totalità della realtà.
Fides Vita: quindi la vita senza questo riconoscimento non c’è, non può essere vissuta fino in fondo; è nel buio, nella fragilità ed inconsistenza della propria misura e, di fatto, nella disumana, ingannevole, brutale misura del mondo.
Fides Vita: e il Verbo si è fatto Carne e venne ad abitare in mezzo a noi, abita e sta con noi. Quindi la vita e la realtà, con tutto il flusso e la drammaticità di circostanze e rapporti, momenti e fattori – anche i più banali -, sono il luogo dentro cui Lui continua ad accadere, la sua compagnia a raggiungerci, la sua presenza a provocare la nostra libertà e intelligenza al rapporto con Lui; a provocare la nostra responsabile adesione a Lui presente. E attraverso cui ci svela, ci cambia, ci compie, ci salva. Ogni istante è possibilità del rapporto con Lui, è la possibilità di affermarLo. Ogni istante ed ogni momento sono la possibilità della gloria di Cristo, e la gloria di Cristo è tutta la possibilità dell’umano pieno.
Fides Vita: una Compagnia come Amicizia e Cammino pedagogico – segno e modalità particolare e quotidiana della santa e cattolica Compagnia della Chiesa – attraverso cui il Signore si è reso presente come Avvenimento, come l’Avvenimento decisivo ed esauriente di tutto e di tutti, in tutto e in tutti; dove siamo continuamente, ragionevolmente, pedagogicamente sostenuti e richiamati alla memoria di Lui presente; ad avere e a vivere il puntuale rapporto di familiarità con Lui presente; a preferirLo e ad affermarLo sempre, dappertutto.
Sì, affermarLo: questo è il nostro compito. “Non voi avete scelto me ma io ho scelto voi… vi ho chiamato amici… e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga”.
Per questo, riprendendo ancora dal Documento: “… Non possiamo che sentire lo struggente desiderio, nello slancio della carità, di consumare (se è vero, per ciascuno di noi, tutto quello che stamattina ho detto) la nostra vita nella passione per il bisogno dell’altro, ponendo e tessendo rapporti, luoghi e opere di nuova e vera amicizia, che dicano e trasudino di questa ritrovata e imparata passione. Prima di tutto, appunto, promuovendo quello che riconosciamo come urgentissimo in un mondo sazio e disperato come il nostro, e cioè la comunicazione della nostra Amicizia (per quella che essa veramente è), in tutti gli ambiti in cui è possibile incontrare l’uomo, in modo particolare: la strada, la scuola, l’università, la famiglia, il mondo della cultura e del lavoro; e quindi attraverso un’azione caritativa particolare (e speriamo un giorno con delle opere puntuali) là dove la sofferenza e l’emarginazione si evidenziano anche fisicamente, secondo i bisogni che da anni continuiamo a incontrare”. Così ho tentato di rispondere al tema che mi è stato offerto. Così ho scelto di chiarire 10 anni del nostro cammino di Movimento. Sinteticamente questo è e deve essere Fides Vita.
Ma a conclusione – credo non sorprendendo nessuno di voi – con molta chiarezza e forza voglio dirvi che la maggioranza di noi non ne ha nemmeno la minima coscienza, nemmeno la minima ragione, conseguenza di una riduttiva, presuntuosa, indifferente, scontata, sentimentale, superficiale, sufficiente, efficientistica, ruolistica (attaccata solo al ruolo) partecipazione. In cui parole e gesti non sono stati quasi mai recepiti e appresi nella loro ragione, con un minimo di sacrificio e di lavoro di considerazione e comprensione ragionevole, e con una puntuale e continua domanda. Tutto il contrario di quello che ho chiarito e che confermo essere la costante spinta educativa che da sempre, comunque – anche nella rudezza ed insufficienza degli inizi della mia guida – si vive in Compagnia e che attraverso di me ha trovato forte, chiaro e continuo richiamo. Io non posso che prendermi la mia responsabilità. Ma mi auguro che per la verità della vostra vita e per sua convenienza, ciascuno si prenda la sua; e, grazie alla possibilità che è stata donata attraverso questo intervento, all’ulteriore grazia di questi giorni di Convegno che abbiamo davanti, ci si sappia umilmente, ragionevolmente, urgentemente e decisamente riporre davanti a questa Compagnia, alla sua adesione, alla ragione della nostra Amicizia, alla ragione di ciò che è costantemente proposto e affermato in questo cammino, così ridescritto stamattina. Insomma alla ragione di tutto.


Non era previsto, mi sarei fermato qui. Ma, come vi ho accennato prima, sono stato sorpreso da una lettera che è arrivata proprio ieri e che ha riempito di gioia e gratitudine il mio cuore e sostenuto il mio dire di oggi.

È il saluto di Mons. Giuseppe Chiaretti, Arcivescovo di Perugia, che è stato ed è un padre per la nostra Compagnia, ri-testimoniato da questo suo incredibile, intelligente e commovente scritto, inviatoci nell’occasione della memoria dei nostri dieci anni di cammino. E non vi nego, per me, immeritato sostegno alla mia vertiginosa responsabilità. Leggo:

“Carissimo Nicolino e carissimi tutti,
il Movimento Fides Vita celebra i suoi 10 anni di vita: ne godete voi e ne godo anch’io che ho assistito ai primi vagiti di questa creatura nata tra molte difficoltà, al freddo e al gelo della estimazione pubblica come Quel di Betlemme. Poi, strada facendo, le cose ancora incerte alle origini – scopi, contenuti, metodologie, modalità operative – sono andate chiarendosi e la vocazione si è fatta strada. Di vocazione infatti si tratta; una chiamata dall’alto per dire ai giovani d’oggi la Parola che dà senso alla vita e che salva; Parola antica e sempre nuova, che non teme l’usura del tempo. Questa Parola è stata ispirata con forza e con foga da Nicolino ai giovani nella scuola e fuori dalla scuola, ed anche ai genitori smarriti e preoccupati per le sorti dei loro figli affascinati dalla radicalità di una proposta.
È nato così il Movimento, cresciuto d’anno in anno nei maxi convegni spirituali di montagna e nelle annuali conventions in tenda in mezzo alle piazze. Ma ancor più si è irrobustito con i vecchi arnesi con cui si formano i cristiani seri di tutti i tempi, anche moderni, e di tutti i paesi, anche in Italia, e cioè la preghiera, i sacramenti, l’allenamento al sacrificio. Ingenuità? Incontri-scontri? Errori? Molti, certamente! Ma perché meravigliarsene? È la vita. L’importante è vivere nell’umiltà della ricerca e dell’attesa, nella pazienza dell’ascolto, nella generosità dell’obbedienza, nella gioia per le sorprese di Dio ed anche nella volontà di fare il possibile e l’impossibile, come se tutto dipendesse da noi, ma insieme di credere appassionatamente invece che tutto dipende da Dio.
Penso all’endiadi che avete scelto come motto e sigla riassuntiva. Fides Vita: la fede che si immerge nella vita ed è vita, e la vita che si invera nella fede ed è fede. Viene da ripensare alle austere parole del Concilio che dice: «Il distacco che si constata in molti tra la fede che professano e la loro vita quotidiana va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo» (È la Gaudium et Spes). Per questo il Movimento è diventato quel laboratorio di fede che il Papa ha proposto ai giovani nel grandioso raduno di Roma, nell’agosto scorso. Come Vescovo sento di dovervi raccomandare una full immersion nella Chiesa, non solo quella universale, ma anche quella locale, la quale ultima, per povera e meschina che sia, è quella che vi ha trasmesso il dono della fede. Ora questa Chiesa vi chiede di essere aiutata nel far risplendere la fede a vantaggio di tanti altri giovani in ricerca o già incantati da ben altre suadenti e mortifiche sirene. Coraggio allora! Non sottraetevi alla missione, siate fedeli alla Chiesa, miei cari, e la Chiesa sarà fedele a voi! Offrite serenamente i vostri servigi alle parrocchie senza pretendere di imporre tout court la vostra esaltante esperienza. La Chiesa è sempre un fatto di popolo che cammina con il passo un po’ lento degli ultimi, anche se c’è bisogno di giovani esploratori che facciano strada: è il loro dono, dato come tutti i carismi per l’edificazione della Chiesa, popolo santo di convocati.
Ricordando la vostra generosità e il vostro entusiasmo, mi commuovo e insieme ne ringrazio e ne lodo la Misericordia di Dio che vi ha condotto lungo vie di rinnovamento che nessuno pensava.
Consentite anche al Vescovo dei vostri primi vagiti di stendere la mano sul capo di ognuno di voi a cominciare da quella di Nicolino, il tenace, per benedirvi uno ad uno e darvi il bacio santo della pace”.

Questo è ciò che ci attende, questo è il nostro compito.
Buon lavoro, buon Convegno e auguri a tutti.

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