L’amarissima vicenda delle scuole residenziali canadesi e la richiesta di perdono di Papa Francesco
All’inizio del suo viaggio apostolico in Canada, Papa Francesco ha detto: “Vengo tra di voi in nome di Gesù soprattutto ad abbracciare le popolazioni indigene. Purtroppo in Canada molti cristiani, soprattutto membri di istituti religiosi, hanno contribuito alle politiche di assimilazione culturale che in passato hanno gravemente danneggiato in diversi modi le comunità native”. Francesco ha posto in primo piano un aspetto particolarmente amaro, doloroso e vergognoso riguardante la presenza e l’agire di un numero non trascurabile di sacerdoti suore, laici, uomini e donne, figli della Chiesa Cattolica in terra canadese.
Don Kim D’Souza, sacerdote dell’Arcidiocesi di Toronto, a questo proposito ha detto: “il pontefice contribuisce al cammino di riconciliazione avviato da più di 30 anni che riguarda il coinvolgimento di alcuni membri della Chiesa Cattolica in vicende molto tristi avvenute nelle scuole residenziali”.
A partire dal 2008, in Canada si è formata la Commissione per la verità e la riconciliazione del Canada (TRC – Truth and Reconciliation Commission of Canada), che ha lavorato fino al 2015 nell’intento di rivelare la verità sulla “storia e l’eredità delle Residential Schools gestite dalla Chiesa, in un modo che documenti pienamente i danni individuali e collettivi perpetrati contro i popoli aborigeni, e onori la resilienza e il coraggio degli ex studenti, delle loro famiglie e comunità” e con la finalità di“guidare e ispirare un processo di verità e guarigione, che conduca alla riconciliazione all’interno delle famiglie aborigene e tra i popoli aborigeni e le comunità, chiese, governi e comunità non aborigene e canadesi in generale [per] rinnovare le relazioni sulla base dell’inclusione, della comprensione reciproca e del rispetto”. ( www.ilpost.it/2021/07/13/canada-indigeni-storia). Dalle indagini svolte è emerso che “le cose cominciarono a cambiare all’inizio del 1800, quando i coloni britannici, in seguito all’evolversi di vicende di carattere storico, nelle regioni interne del Canada furono sostituiti da coloni ormai indipendenti e che pretendevano nuove terre dal Regno Unito. “Progressivamente ampie porzioni delle terre appartenute agli indigeni furono cedute ai coloni per soddisfare questa domanda, attraverso negoziati che avrebbero dovuto garantire agli indigeni terre sufficienti per sostentarsi ma che invece, di fatto, li costrinsero a stabilirsi dentro a piccole riserve inadatte al loro stile di vita. Le acquisizioni andarono avanti fino a metà Ottocento. Oltre a cambiare la situazione territoriale degli indigeni, i coloni statunitensi pretesero che gli indigeni fossero «civilizzati››, e che fossero gli inglesi a dover mostrare loro la via per emanciparsi dal semi-nomadismo, dalla caccia e dalla pesca come principali mezzi di sostentamento.L’assimilazione culturale divenne il centro delle iniziative dei coloni e cominciò a essere esercitata attraverso una serie di leggi come il Gradual Civilization Act del 1857, che offriva denaro e terreni per gli indigeni a patto che abbandonassero il loro stile di vita e accettassero di alfabetizzarsi secondo i canoni europei. Ma la legge più rilevante fu quella del 1876, voluta dal dominio federale del Canada formatosi nove anni prima (l’antenato dell’attuale stato del Canada). L’Indian Act, questo il suo nome, fu una delle leggi più emendate e modificate della storia canadese, in senso sempre più restrittivo fino al 1927: allargò il campo in cui l’autorità canadese poteva intervenire, promuoveva l’integrazione e l’assimilazione delle Prime Nazioni, le forzava ad abbandonare i loro usi e costumi e metteva al bando i loro rituali. Introdusse inoltre il concetto di enfranchisement, attraverso il quale ogni maschio indigeno che avesse superato i 21 anni e che parlasse e scrivesse inglese poteva (e doveva) smettere di essere considerato un indigeno ed entrare a far parte pienamente della comunità britannica, ottenendo cittadinanza e diritto di voto a patto che abbandonasse la propria identità e negasse le proprie origini. Per un certo periodo a questo processo – che comportava anche l’abbandono del proprio nome indigeno – ci si sottoponeva volontariamente, poi nel 1933 divenne automatico per qualunque indigeno che rispettasse i criteri previsti. Un ruolo rilevante nell’assimilazione culturale degli indigeni lo ebbero le Indian Residential School, che cominciarono a diffondersi a fine Ottocento. Alcune rimasero aperte fino a poco più di vent’anni fa. Al loro momento di massima espansione, questi collegi religiosi costituivano una rete di 132 istituti dove i bambini venivano tenuti in condizioni igieniche spesso al limite della sopravvivenza, costretti a non parlare la loro lingua e a rimanere a migliaia di chilometri dalle proprie famiglie, spesso prelevati con la forza dalle loro case. Tra le altre cose, dovevano convertirsi al cristianesimo e molti di loro venivano picchiati e subivano violenze fisiche e psicologiche. A oggi non ci sono stime precise, ma si pensa che migliaia di loro morirono per malattie, malnutrizione, negligenze o suicidio. Molti morirono nel tentativo di fuggire” ( www.ilpost.it/2021/07/13/canada-indigeni-storia)..
A fronte di queste notizie, non sono mancati anche articoli di approfondimento secondo cui ci sarebbero perplessità riguardo ai dati fin qui citati. Alcuni editorialisti (Stefano Chiappalone sul sito la Nuova Bussola Quotidiana in un suo articolo del 30 luglio 2022 e un editorialista de Il Foglio con un suo articolo del 29 luglio 2022) hanno riferito che mancano riscontri che dimostrino la completa attendibilità dei fatti. Non vogliamo ora addentrarci in questo aspetto, rimandando a futuri approfondimenti il suo chiarimento tutt’altro che semplice. Ciò che adesso più ci deve interessare, ciò che veramente fa notizia in tutta questa amarissima vicenda è proprio la richiesta di perdono fatta in questi giorni da Papa Francesco, che a suo tempo fu espressa già da Papa Benedetto XVI quando vennero alla luce le notizie dei fatti sopra detti.
Perché? Perché si insiste a chiedere al Pontefice di chiedere perdono? Perché Papa Benedetto XVI, ma prima ancora Giovanni Paolo II per altre vicende storiche ed oggi Francesco sono anche così solleciti nel chiedere perdono? Forse perché la loro richiesta di perdono è formulata sì al cospetto degli uomini e per le colpe commesse, ma soprattutto perché questo gesto indica in modo evidente, inequivocabilmente chiama in causa Chi solo può assicuraci il perdono, la pietà di cui incessantemente abbiamo bisogno. La Chiesa è l’unica realtà che nella storia si mostra capace di chiedere perdono con libertà perché vive sempre nell’esperienza di un Avvenimento che continuamente la libera e la redime, perché ha coscienza di essere una realtà sempre reformanda e che la propria fragilità data dai membri umani che la formano non potrà mai comunque fino in fondo corrompere o diminuire la realtà divina che l’ha costituita e la anima. Per questo la Chiesa non teme di riconoscere i propri errori e di chiedere perdono, rioffrendo anche così a ciascun uomo la possibilità di essere sempre accolto e perdonato. È la stessa esperienza dello sguardo amorevole che l’adultera del Vangelo riceve da Gesù: “Alzando lo sguardo su di lei, [Gesù] non fa ricadere solo su di lei- su di noi- la capacità e la forza di non peccare più, ma sulla forza e sull’attrattiva del suo amore e del suo perdono, sperando che risultino più avvincenti da vincere tutto quello che ci vince e che ci potrà portare a peccare. È come se le avesse detto: «Ora vai, torna a casa, segnata da questo sguardo, dal mio perdono, dal mio inesauribile e irrevocabile amore per te; e nella forza, nella continua memoria, nell’attrattiva, nell’avvincente esperienza di questo sguardo, di questo mio amore per te, troverai la forza e il piacere di non soccombere ultimamente al peccato". (Nicolino Pompei, Mi sei scoppiato dentro al cuore).
Chissà che non sia proprio così che in fondo dietro la richiesta di perdono del Papa, dietro l’ammissione della colpa della Chiesa non si voglia altro che chiunque ci indichi il volto buono, eternamente buono e misericordioso di Gesù risorto e vivo…