Libertà di coscienza o di opinione

16 Aprile 2024

La libertà di manifestazione del pensiero o libertà di coscienza e di opinione,è un diritto fondante riconosciuto negli ordinamenti democratici di tipo occidentale.

In Italia la libertà di pensiero è certamente annoverabile tra i “diritti inviolabili dell’uomo” che, a norma dell’art. 2 della Costituzione, “La Repubblica riconosce e garantisce” all’uomo “sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”; quindi,inevitabilmente, anche nella sua pubblica espressione e manifestazione, sancita ed intesa come libertà di manifestazione del pensiero. Si legge infatti all’art. 21: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denuncia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”.
Quindi è possibile affermare che il diritto di manifestare il proprio pensiero in ogni forma è libero, tranne nei casi di reati (ingiuria, calunnia, diffamazione, vilipendio, istigazione a delinquere, ecc.) e nel caso di offesa al “buon costume” (es. i cosiddetti atti osceni) o comunque in caso di sicurezza pubblica; limiti che non sono applicabili per opere d'arte e scientifiche, le quali sono libere a norma dell'articolo 33 della Costituzione.
Questa libertà è riconosciuta da tutte le moderne costituzioni ed è un pilastro della democrazia e di uno Stato di diritto, così come è stato sostenuto dalla Corte costituzionale più volte fin dalle sue prime sentenze. Infatti, così come affermato dalla Consulta, “è tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla nostra Costituzione, una di quelle […] che meglio caratterizzano il regime vigente nello Stato, condizione com’è del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale… le limitazioni sostanziali di questa libertà non possono essere poste se non per legge” (sent. n. 9/1965).
La Corte costituzionale inoltre ha qualificato la libertà di manifestazione del pensiero come “coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione” (sent. n. 11/1968), come la “pietra angolare dell’ordine democratico” (sent. n. 84/1969) e come “il più alto fra i diritti fondamentali” (sent. n.168/1971).

Sul piano internazionale ed europeo la garanzia della libertà di manifestazione del pensiero è da tempo ampiamente riconosciuta e tutelata da almeno tre fonti:
1) l’art. 19 del Patto (noto anche come “Convenzione”) internazionale sui diritti civili e politici, un trattato delle Nazioni Unite nato dall’esperienza della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, concluso a New York nel 1966 ed in vigore anche in Italia dal 1978, secondo cui “ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”;
2) l’art. 10 CEDU (Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), firmata dal Consiglio Europeo a Roma nel 1950 ed in vigore in Italia dal 1953, che riconosce il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione;
3) l’art. 11 della “Carta di Nizza” ovvero la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sottoscritta dalle istituzioni dell’Unione Europea sulla libertà di espressione e d’informazione, intese come libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.

Oggetto della tutela è la manifestazione del pensiero che viene riconosciuta a tutti come diritto, compreso il diritto di non esprimere il proprio pensiero mantenendo quindi la riservatezza sulle proprie opinioni e intenzioni relative a convincimenti politici, filosofici, religiosi e simili. La manifestazione avviene “con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, quali la radiofonia, il cinematografo, la televisione, la telecomunicazione, internet, i mezzi audiovisivi, riconoscendo così un diritto di critica e di cronaca.
Ne consegue il divieto di sottoporre la stampa ad autorizzazioni o censure, impedendo quindi di sottoporre l’attività diretta a produrre stampati (libri, manifesti, riviste, giornali) a una forma di controllo preventivo della autorità pubblica, nonché il divieto di sottoporre la stampa a sequestro, dopo la sua pubblicazione, se non sulla base di atto motivato della autorità giudiziaria nel caso di delitti ovvero in caso di violazione delle norme di legge.

Questo sacrosanto diritto non trova, di fatto, pieno riconoscimento in tutti i Paesi appartenenti al Consiglio d’Europa (il cui obiettivo è assicurare il rispetto di tre principi fondamentali: la democrazia pluralista, il rispetto dei diritti umani e la preminenza del diritto), specialmente in Russia.
Formalmente la Costituzione russa con l’articolo 29 sancisce la libertà di espressione e vieta la censura. A tutti è garantita la libertà di pensiero e di parola. Non è consentita la propaganda o l’incitazione all’odio e all’inimicizia sociale, razziale, nazionale o religiosa. È vietata la propaganda della superiorità sociale, razziale, nazionale, religiosa o linguistica. Al comma 3 si rimarca che nessuno può essere costretto a esprimere le proprie opinioni e convinzioni o a rinunciarvi. Ognuno ha infatti il diritto di cercare, ricevere, trasmettere, produrre e distribuire liberamente informazioni in qualsiasi modo legale. L’elenco delle informazioni che costituiscono un segreto di stato è determinato dalla legge federale.

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All’ultimo comma si legge infine che la libertà dei media è garantita e che la censura è vietata.
Di fatto, però, la censura lavora a pieno ritmo, visto che solo un anno fa, poco dopo l’inizio del conflitto russo-ucraino, veniva emanata una legge che avrebbe punito severamente, con 15 anni di carcere, chi avesse scritto fake news sul conflitto. Purtroppo dal 24 febbraio 2023, il dipartimento Roskomnadzor (l’agenzia governativa russa preposta al monitoraggio, controllo e censura dei mass media) blocca infatti regolarmente tutto ciò che anche lontanamente faccia riferimento alla guerra in Ucraina, come se la guerra fosse una fake news.
La nota testata giornalistica russa Meduza riferisce: “Crediamo che la libertà di parola e l’accesso alle informazioni non siano regali ma risultati duramente conquistati che devono essere protetti. Siamo pronti a lottare per questo”. Tale dichiarazione di resistenza nasce del fatto che Meduza è stata inserita a fine gennaio dal governo russo nella lista delle organizzazioni indesiderate. La legge sulle organizzazioni indesiderate era passata nel 2015, da quel momento il governo russo si è arrogato il diritto di bollare le organizzazioni e definirle minaccia alle basi dell’ordine costituzionale e alla sicurezza.
L’UE nutre preoccupazione per il continuo deterioramento della situazione dei diritti umani in Russia. Infatti l’attuale guerra contro l’Ucraina ha decisamente acuito la repressione interna in Russia, già in piedi da anni, limitando drasticamente la libertà di opinione e di espressione e la libertà dei media e introducendo una censura di guerra. La Russia è uno stato transcontinentale, che per un quarto è in Europa e per il resto in Asia. Sono in atto rapporti politici ed economici con l’Unione Europea, rapporti che si sono deteriorati dal 2014 dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia e poi nel 2022 dopo l’attacco all’Ucraina visto anche come un attacco alla sicurezza e alla stabilità europea.
Partendo dalla concezione di aver avuto un ruolo fondamentale per la risoluzione dell’ultimo conflitto mondiale, la Russia è addirittura arrivata a punire, nel proprio codice penale, l’apologia o la negazione (pubblica) di fatti riconosciuti come crimini di guerra dal Tribunale di Norimberga e la diffusione di notizie false idonee a porre in cattiva luce l’operato sovietico durante la seconda guerra mondiale.

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Secondo Amnesty International, in un recente rapporto anni 2022-2023, le autorità russe hanno introdotto ulteriori severe restrizioni alla libertà d’espressione e di riunione pacifica, in un continuo giro di vite sul dissenso. La polizia ha disperso proteste pacifiche contro la guerra e la leva militare, spesso con uso eccessivo della forza. Sono state arrestate oltre 19.400 persone, compresi i giornalisti che seguivano le proteste. La maggior parte ha subìto pesanti multe o la detenzione amministrativa. Decine di organi d’informazione indipendenti sono stati chiusi e migliaia di siti web bloccati. A marzo 2022, la stazione radio Echo Moskvy ha chiuso i battenti e il suo sito web è stato bloccato. Sempre a marzo, le piattaforme di social media Twitter, Facebook e Instagram sono state bloccate dall’autorità di regolamentazione degli organi d’informazione. La società Meta, proprietaria di Facebook e Instagram, è stata successivamente dichiarata “organizzazione estremista”. A settembre dello stesso anno, un tribunale di Mosca ha revocato la licenza al quotidiano indipendente Novaja Gazeta. Da novembre, il quotidiano indipendente Černovik, con sede in Daghestan, si è trasformato in giornale online, dopo che le autorità hanno fatto pressione sulle tipografie affinché smettessero di stamparlo. A luglio 2023 sono state introdotte delle modifiche al codice penale definite in modo vago, che vietano qualsiasi forma di “cooperazione confidenziale” con organizzazioni internazionali o straniere e stati stranieri, punibile con la reclusione fino a otto anni. A dicembre 2023, le modifiche alla legge che regola le assemblee pubbliche hanno esteso la lista dei luoghi in cui erano vietate le proteste, includendo edifici amministrativi, scuole, università, ospedali, aeroporti e stazioni dei treni e degli autobus. Alle autorità regionali è stato inoltre consentito di introdurre ulteriori restrizioni.
Pertanto l’UE continua a condannare con fermezza la grave espansione delle norme restrittive e della repressione sistematica nei confronti della società civile e dei difensori dei diritti umani, come pure la continua repressione dei media indipendenti, dei singoli giornalisti, dei membri dell’opposizione politica e di altre voci critiche. Addirittura nel dicembre 2021, il Parlamento europeo ha assegnato a Alexei Navalny, l’attivista politico russo in opposizione al regime di Putin, il Premio Sacharov per la libertà di pensiero per la sua lotta contro la corruzione e le violazioni dei diritti umani da parte del Cremlino.

Negare la libertà di opinione e di esprimere un proprio pensiero all’esterno significa negare uno tra i diritti inviolabili dell’uomo, conquistato con grandi sacrifici negli anni, evitando così un sano confronto, una crescita umana e sociale e un vivere democratico. Questo sta alla base di ogni Paese civile che vuole il bene dei suoi cittadini!

Alessandra Mecozzi, Elena Piunti

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