Si tratta di una proposta di legge, approvata dalla Camera nel 2015, arrivata al Senato a giugno 2017, che riguarda la nuova legge sulla cittadinanza, che amplia in particolare i criteri per ottenere la cittadinanza italiana, con particolare riferimento ai minori nati in Italia da genitori stranieri o arrivati in Italia da bambini.
Il testo è sostenuto dal Partito democratico e osteggiato dalle principali forze di opposizione, come Forza Italia e la Lega; neutrale per i 5 stelle.
Ius soli (in latino «diritto del suolo») è un’espressione giuridica che indica l’acquisizione della cittadinanza di un dato Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. Esso si contrappone allo ius sanguinis (o «diritto del sangue»), che indica invece la trasmissione alla prole della cittadinanza del genitore.
Attualmente la normativa di riferimento in Italia è la legge 91 del 1992, secondo cui esiste un’unica modalità di acquisizione della cittadinanza ovvero lo ius sanguinis: un bambino è italiano se almeno uno dei genitori è italiano; ovvero chi è nato in Italia da genitori stranieri può diventare cittadino italiano al compimento dei 18 anni, a patto che abbia mantenuto costantemente dalla nascita la residenza nel nostro Paese.
La legge prevede già due casi di ius soli in Italia, ma riguarda ipotesi eccezionali: per nascita sul territorio italiano da genitori ignoti o apolidi o impossibilitati a trasmettere al soggetto la propria cittadinanza secondo la legge dello Stato di provenienza o nel caso di un soggetto che sia figlio di ignoti ed è trovato nel territorio italiano.
Ed ancora! Lo status civitatis può essere richiesto anche dallo straniero dopo un periodo di regolare residenza in Italia di almeno dieci anni, qualora dimostri di avere redditi sufficienti al sostentamento, di non avere condanne penali e in assenza di impedimenti per la sicurezza della Repubblica. Per uno straniero con cittadinanza europea, la permanenza ininterrotta nel nostro Paese si riduce a quattro anni.
Si può diventare italiani anche iure matrimonii, sposando appunto un cittadino italiano, dopo due anni di residenza legale in Italia o dopo tre anni di matrimonio se residenti all’estero (termini ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi), a condizione di assenza di precedenti penali. Una fattispecie, questa, riconosciuta dal prefetto della provincia di residenza della persona che ne fa richiesta.
Altro caso è lo straniero nato in Italia e che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino alla maggiore età, che può presentare la richiesta di cittadinanza entro un anno dal diciottesimo compleanno.
Si è rimproverato, però, a questa normativa l’esclusione per troppi anni dalla cittadinanza e dai suoi benefici a decine di migliaia di bambini nati e cresciuti in Italia; oltre al fatto che tiene necessariamente legata la sorte dei figli a quelle dei genitori a cui, nel frattempo, il permesso di soggiorno potrebbe scadere, costringendo l’intero nucleo familiare a lasciare il Paese.